Giovanni Pedersoli, sopravvissuto ad Auschwitz
Mario Aucelli
[24/06/2012] In occasione della Giornata della Memoria (istituita con L. 211 del 20/07/2000) i giovani dell’Associazione Libera Mente di Montecalvo Irpino, con il presidente Antonio Siciliano e il segretario dott. Francesco Pepe, nei locali del cinema Pappano, hanno ricordato l’Olocausto in un incontro con specialisti che hanno trattato, da varie angolazioni, il “Ricordo”. Il giovane biblista don Leonardo Lepore ha rivisto la Shoah dal lato religioso. Il Prof. Giuseppe D’Angelo, dell’Università di Salerno, ha trattato, storicamente, lo sterminio scientifico avvenuto nei campi polacchi. Ha moderato il dibattito il giornalista Vincenzo Grasso. Un giovane dell’Associazione, Angelo Michele Luisi, ha letto una scheda tratta da un mio libro in corso di pubblicazione, che fa conoscere e rivivere la figura di un montecalvese uscito vivo, ma distrutto nel fisico, dal campo di Auschwitz. Si tratta di Giovanni Pedersoli. Eccone il profilo: il “nostro” nacque a Concordia sulla Secchia, in provincia di Modena, il 12 ottobre 1919. A Roma, il 30 ottobre 1971, vedovo, sposò la montecalvese Maria Giovanna Sorrentino. Abitava a Montecalvo a via dei Mille dove aveva trasferito la residenza da Roma il 1 aprile 1977. Morì da noi, in modo tragico, l’8 gennaio 1987.
Era solo in casa. Era andato in bagno. Aveva difficoltà di deambulazione. Perse la presa di uno dei bastoni con cui si muoveva e, scivolando, andò a sbattere sullo spigolo della vasca da bagno. Al ritorno a casa la moglie fece la macabra scoperta. Il pronto intervento del medico non riuscì a salvarlo. Ritorno a Pedersoli: era maestro elementare e diplomato in stenografia. A Roma svolgeva il lavoro di sostituto capostazione nelle Ferrovie. Aveva 23 anni quando, all’indomani dell’8 settembre, volle recarsi nel paese d’origine per vedere i familiari ivi residenti. Passeggiava, con degli amici, nella piazza di Concordia sulla Secchia quando incappò in una retata di tedeschi. Fu subito rinchiuso in un vagone bestiame e spedito in Polonia. Mi diceva la moglie che, all’epoca, era un bel giovane aitante e di belle speranze. Nel campo di sterminio di Auschwitz i valorosi soldati dell’Armata Rossa, il 27 gennaio 1943, entrando per liberare i prigionieri sopravvissuti allo sterminio scientifico, in una “cuccetta”, notarono un “mucchietto umano” relegato in un angolo. Era Giovanni Pedersoli, che per le “bastonate” giornaliere in testa con un nodoso randello, come mi ha ricordato la moglie, era stato ridotto peggio di Quasimodo, il sacrestano che suonava le campane di Nostre Dame, l’essere deforme uscito dalla penna di Victor Hugo. I continui patimenti lo avevano distrutto e trasformato nel fisico: era costretto a camminare, curvo, con due bastoni. Per evitare che i muscoli si atrofizzassero era sempre in movimento come una trottola. Giocava anche a tennis con due racchette appositamente costruite e fissate ai gomiti. Guidava anche un’auto adattata alle sue menomazioni. Del tempo trascorso nel campo di sterminio parlava ai giovani con orrore. Citava sempre Primo Levi e il suo “MAI PIU’!“. La moglie mi confermava che era lo zio del famoso attore Bud Spencer. In paese si racconta che Carlo Pedersoli (l’attore), in occasione del decesso del congiunto, sarebbe venuto in incognito, per non rubare la scena al parente defunto, a Montecalvo e sarebbe andato ad omaggiare lo zio, all’imbrunire, al locale cimitero dove Giovanni Pedersoli riposa. Aveva sei figli. A Montecalvo era amico di tutti e con tutti si intratteneva in lunghe chiacchierate. Istituì pure una scuola di stenografia e si affacciò anche alla ribalta della politica amministrativa locale candidandosi con lo scomparso PSI. [Nativo]