Editoria
-
Streghe, cavalieri e fanti, sacri serpenti, monaci, pellegrini e santi.
Abstract
G.B.M. Cavalletti/R. Patrevita
Tra il 108 e il 114 d. C., per volontà dell’imperatore Traiano, nasce una delle strade che per la sua straordinaria funzione di collegamento tra la Campania e la Puglia e, quindi, tra l’Italia e i principali porti d’imbarco verso l’Oriente, segnò, come poche altre, entrambi i millenni dell’era cristiana.
Partendo da questo oggettivo dato storico il volume evidenzia la rilevanza degli insediamenti dislocati lungo la direttrice della via Traiana con particolare riferimento alla centralità di Benevento, punto di partenza e di arrivo della stessa via consolare.
Fu questa la circostanza che offrì al capoluogo sannita l’opportunità di riappropriarsi, nel Medioevo, del ruolo di capitale che aveva dovuto lasciare dopo la conquista romana.
Erede e custode, dopo la capitolazione di Pavia, del patrimonio politico e culturale dei Longobardi d’Italia, ed unico baluardo alle vittoriose campagne belliche di Carlo Magno, la città di Benevento accentrò in sé la forza del nordico popolo mutuandola, in una sorta di sincretismo magico religioso, con l’eredità sannita e romana.
Di qui la nascita ed il propagarsi della magica tregenda delle streghe, che intorno al terrificante albero della tradizione imparavano da Satana ogni sorta di maleficio.
Fu a Benevento che papa Pasquale II approvò l’ordine dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, la cui instancabile e leggendaria attività di perlustrazione della Via Traiana, in difesa dei deboli e dei pellegrini in marcia verso la Terra Santa, segnò l’inizio di un processo di crescita morale e spirituale che, ispirata agli insegnamenti evangelici, diede un notevole contributo all’unificazione morale e politica della nuova Europa.[Cavalletti G.B.M. – Patrevita R., Streghe, cavalieri e fanti, sacri serpenti, monaci, pellegrini e santi, Bascetta Edizioni, Avellino, 2014]
-
La comunità Romana di Tressanti
Presentazione
M. Sorrentino / A. Caccese
Mario Sorrentino [Edito 00/06/2004] Raccogliamo e pubblichiamo questi due scritti così come essi sono stati redatti e lanciati nel vasto iperspazio del Web tramite il sito “Irpino.it”. Scritti che registrano quasi alla lettera, oltreché i primi appunti, anche i dialoghi e i discorsi tenuti prima di tutto tra noi due autori e poi tra noi con altri amici, durante i sopralluoghi nel territorio di Tressanti di Montecalvo, nell’agosto 2003. Segnatamente con Gianbosco M. Cavalletti, Franco D’Addona e Franco Cardinale. La genesi del primo scritto (“Anzano”) è presto detta. Nell’udire un giorno un certo nome, “Anzano”, uno di noi, modesto praticante di linguistica diacronica e di toponomastica, sentì nel suo orecchio uno squillo di campanello. Il proseguimento potrete trovarlo nel primo capitolo della Parte Prima. Nacque così la formulazione dell’ipotesi principale della nostra ricerca. Poi, il linguista, mentre andava a spasso per campi arati in quel di Pratola di Tressanti, inciampò (letteralmente), e così successe anche agli amici ricordati sopra che erano con lui, in una miriade di reperti sparsi tra le zolle. Il linguista, a quel punto, fu sospinto ad invadere il terreno alieno dell’archeologo e , più tardi, anche quello dell’epigrafista latino. Ha fatto bene? Lui crede di aver soltanto supplito alla palese incuria di altri specialisti, forse più fortunati di lui quanto a residenza prossima ai luoghi, ma , molto probabilmente, meno curiosi e amanti della comune terra d’origine. Noi, per un certo verso, abbiamo raccolto il testimone passatoci dai benemeriti nostri antenati, i quali, a partire da poco prima della fine del XVIII sec. (Settecento) e sino ai primi decenni del XX (Novecento), trovarono, decifrarono e denunciarono alle autorità preposte dell’epoca il dissotterramento, a Piano di Anzano e dintorni, di tanti reperti che noi, in vena di scrivere in modo ricercato, abbiamo chiamato “reperti litici impreziositi da iscrizioni”. Monumenti parlanti che sarebbero diventati subito muti se non fossero stati registrati, dopo la segnalazione dei ritrovatori, nel Corpus Iscriptionum Latinarum (C.I.L.) (v. Vol. IX, registr. con i nn. 1421, 1423, 1431,1434,1446, e altri meno importanti), raccolta edita dal grande Theodor Mommsen. I nomi dei benemeriti nostri antenati che ritrovarono le lapidi con le epigrafi latine sono: il dott. Gaetano Rèndisi (ep. N. 1421, su “Mefiti solvit”), l’arciprete Donato D’Agostino ( ep. n. 1423), Carlo Pizzillo (ep. n. 1434), Giuseppe Pizzillo ( ep. n. 1446), Nicolamaria Lanza (ep. non repertata dal Mommsen, su “Ofillia Quintilla”). (v. APPENDICE)
-
Montecalvo dalle pietre alla storia
Prefazione
Alfredo Siniscalchi
Molto si è scritto su Montecalvo e ritenevo del tutto inutile riproporre ancora un libro.
Mi sono dovuto ricredere in quanto “Montecalvo – dalle pietre alla storia” non è il ripetere di cose già raccontate, ma è una ricerca insolita, ricca di curiosità, il tutto confortato da una documentazione ineccepibile.
L’impegno dimostrato dall’Autore è notevole, sia per la raccolta dei dati che per la loro interpretazione in un’ottica indubbiamente insolita.
Il libro è un’esposizione semplicissima dell’evoluzione storica di Montecalvo Irpino che, partendo dalle vestigia ancora esistenti, giunge alle cause che nel passato hanno dato vita al paese che noi oggi conosciamo.
La ricerca dell’Autore è stata difficile in quanto gli innumerevoli terremoti che si sono abbattuti sul nostro paese hanno cancellato le testimonianze che ci avevano lasciate le popolazioni succedutesi nei secoli.
Esistono ancora dei ruderi e l’Autore li richiama: le rovine del Castello e degli Ospedali dell’Annunziata e di Santa Caterina; i palazzi de Cillis e Pirrotti; le chiese di S. Gaetano e di S. Antonio. Ma Giambosco Cavalletti non si ferma ad esaminare le “pietre” del centro, esce dal borgo e nel capitolo VIII analizza i ponti romani di “S. Spirito” e di “Pezza di Cristina”; le “Bolle” della Malvizza; la chiesa di S. Vito; il Castello di Corsano con le chiese di quel feudo.
Due sono gli scopi dell’opera:
– corredare il patrimonio letterario montecalvese di un libro semplice, ma completo, che dia almeno un’idea dello sviluppo storico della nostra comunità;
– educare al rispetto del patrimonio storico-artistico, in particolare i nostri giovani, in un’epoca in cui la conservazione dei beni artistici è compromessa.
Auguro a quest’opera il miglior successo, in quanto ritengo che il fine propostosi dall’Autore sia pienamente conseguito.
[Cavalletti G.B.M. Montecalvo dalle pietre alla storia, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1987] -
Fonti per la Storia di Montecalvo Irpino
Prefazione
Carmelo Lepore
[…] I due volumi delle «Fonti per la Storia di Montecalvo Irpino» sono opera di due montecalvesi, che l’amore per il natìo borgo ha indotto, distogliendoli dalle comuni propensioni del nostro tempo, a ricercare, compulsare e, spesso, recuperare polverosi e ammuffiti registri, nell’ansia di conoscere e far conoscere uomini, tradizioni e istituzioni del passato, sottraendoli all’incuria e all’oblio in cui il volger degli anni li aveva immeritatamente inviluppati.
Essi, a prima vista, sembrano risentire d’una temperie storiografica oggi alla moda, di quella montante corrente della demografia storica, che nell’ultimo decennio in ispecie ha ricoperto, per usare un’affermazione del villani, il valore dei libri e degli archivi parrocchiali come «fonte essenziale per lo studio analitico della popolazione».
L’opera pur potendo servire come valido strumento a uno storico della demografia, non si propone affatto quale studio delle curve demografiche in Montecalvo. Più semplicemente essa s’inserisce in uno dei più antichi e gloriosi filoni della moderna storiografia, quello cioè della pubblicazione delle fonti, che fra ‘800 e ‘900 (senza con ciò voler pretendere immotivate e ingiustificabili comparazioni, che sarebbero davvero fuor di luogo!) ha conosciuto l’esemplare monumentale delle collezioni dei «Monumenta Germanie Historica» e delle «Fonti per la Storia d’Italia» che in questi ultimi anni ritrova nuova linfa nelle pubblicazioni dell’Institut de Recerche et d’Histoire des Textes».
Inserita in siffatto filone, l’opera di Lo Casale e Cavalletti risulta, ovviamente, oltremodo ponderosa e tale, quindi, da scoraggiare la massa dei lettori superficiali e frettolosi. Essa non è, e non vuole essere, un’agile sintesi dei vari momenti storici. E’ solo un’opera di consultazione. Lo dimostra chiaramente il suo impianto; lo dimostra soprattutto il secondo volume, incentrato per tre quarti su un’apparente congerie documentaria.
I lettori frettolosi, quelli che si dilettano di storia locale, possono ben limitare la propria attenzione al primo volume, il più agile dei due, dedicato alla presenza degli Agostiniani in Corsano e Montecalvo, o anche al 3° capitolo del volume 2°, che soddisfa «ad abuntantiam» i curiosi di onomastica montecalvese. Ma il lettore paziente, lo studioso, troverà nell’intera opera molto pane per i suoi denti […]
[…] resta una realtà essenziale e inconfutabile: la realtà del fondamentale contributo che, con queste loro «Fonti», Lo Casale e Cavalletti apportano alla conoscenza storica della terra montecalvese; la realtà del valore incommensurabile che la loro documentazione, sottratta all’incuria degli uomini e all’edacità del tempo, acquista per chiunque in futuro vorrà accingersi a tracciare un profilo documentato alla storia di Montecalvo e di Corsano.
[Cavalletti G.B.M. – Lo Casale G., Fonti per la Storia di Montecalvo Irpino, Poligrafica Ruggiero , Avellino, 1985]
-
Montecalvo Album di Famiglia
Prefazione
Giovanni Bosco Maria Cavalletti – Antonio Stiscia
Il libro scaturisce dalla magnifica esperienza della mostra fotografica «Montecalvo ieri ed oggi» che, organizzata dalla Pro Loco Montecalvo nel corso delle manifestazioni per l’«Estate Montecalvese1979», ha ottenuto un notevole successo di pubblico e di critica.
…
Esso si presenta come un modesto contributo alla divulgazione di un patrimonio storico-fotografico caro al cuore dei Montecalvesi.
Non ha l’intenzione di essere una cronologica successione fotografica, ma ha l’intento di avvicinare il lettore ad una Montecalvo solo in parte esistente, testimone di un passato ricco di elementi culturali, più propriamente storici e sociali, che dimostrano le autonome capacità di vita del popolo montecalvese.
…
Il titolo «ALBUM DI FAMIGLIA», non è casuale.
Nostra intenzione è che quest’opera non sia semplicemente un «libro», ma abbia le caratteristiche di un vero e proprio «album» che, come tale, serbi i ricordi, belli o brutti, ma sempre cari perché tali, di un popolo che attraverso i secoli ha vissuto momenti di gioia di dolore, di angoscia e di speranza, di ansia e di serenità.
Abbiamo lasciato, alla fine di ogni capitolo, alcune pagine libere, perché ognuno, potendovi inserire, come in un vero album, personali ricordi fotografici, senta questo libro più caro e più familiare».
…
Un doveroso riconoscimento è da farsi alla Pro Loco, e in particolare al Presidente Sig. Antonio Cusano che, avendo promosso la mostra fotografica «Montecalvo ieri ed oggi», si è reso ancora promotore della preparazione di quest’opera continuamente spronando e incoraggiando noi Autori durante la lunga e impegnativa opera di stesura[Cavalletti G.B.M. – Stiscia A., Il cardo di San Giovanni, Pro Loco Montecalvo, Calitri, 1981]
-
Il Cardo di San Giovanni
Prefazione
Giancarla Mursia
Il romanzo si svolge in un piccolo paese dell’Irpinia dalla metà del Seicento ai primi del Settecento.
Vincenzo Ciolla uomo, prete artista, è il protagonista della vicenda narrata con matura abilità dall’Autore alla sua opera prima. Il contenuto, regolato da una pacata armonia di avvenimenti, personaggi, situazioni, figure, incominciate da un personaggio essenziale, è in perfetta, quasi inconsapevole sintesi con la forma asciutta e disinvolta.
Vincenzo Ciolla è veramente esistito e molte sue opere policrome si possono ancor oggi ammirare. Di conseguenza esiste nel romanzo una realtà che viene raccontata e regolata da una fantasia che non si sa dove cominci e dove finisca, tanto i due elementi sono ben controllati e connessi. Questo di Giovanni Cavalletti è un romanzo nell’autentico significato della parola. Una “storia” che prende le mosse da un uomo, don Vincenzo, sacerdote all’inizio, che troviamo preso da meditazioni e riflessioni, pieno di bufere dentro, sconfitto in una guerra che non ha mai dichiarato, all’apparenza normale, burattino in balìa delle occasioni, turbato dal fatto di essere prete, con l’impegno morale di rivolgersi soltanto all’autorità ecclesiastica per mettere a posto la sua coscienza.
Il turbamento controllato e razionalmente esaminato del sacerdote è il punto fermo di tutta la vicenda dove gli altri personaggi, Angiolina, Felicetta, Francescantonio, Agostino e via via gli altri sempre autentici, s’incontrano in una umana e reale situazione di vita vissuta a completare uno spazio temporale di naturale svolgimento.
Forse è il solo don Diego una figura un po’ retorica nella sua modestia arrogante e, in fondo, sprovveduta, ma anche scontata.
Non mancano, nel tessuto narrativo, la descrizione di tradizioni, di usi e costumi che danno un non inutile supplemento alla storia, se mai rafforzandone invece la veridicità e suscitando una opportuna curiosità.
L’atmosfera, il cielo, il freddo, la neve, il terremoto completano, in una rigida economia, lo svolgimento dell’azione che coinvolge il lettore, quasi a sua insaputa. Un romanzo nell’autentico senso della parola. Un bel romanzo. Con i temi di sordida negligenza che viviamo anche nella dimensione letteraria non si può dire quanti se ne accorgeranno. Ma è bene che sia pubblicato nella speranza (o illusione) che qualcuno apra gli occhi e se ne accorga. Poi, se sono rose fioriranno. E se mai, sarà l’autore ad una successiva prova a confermare l’unanime impressione della giuria del premio Montblanc e a rafforzare la convinzione di aver letto, una volta tanto, un bel romanzo.[Cavalletti G.B.M., Il cardo di San Giovanni, L’autore libri Firenze, 1994]
-
Contributi per la Storia di Avellino e dell’Irpinia – Volume IV
Giovanni Bosco Maria Cavalletti
[Ed. 00/02/2022] Ancora una volta lo storico avellinese Armando Montefusco ci sorprende con una delle sue pubblicazioni, come sempre impreziosita dall’impeccabile impaginazione e dalla magnifica grafica dell’ottimo Geppino Del Sorbo, destinate, per la grande valenza scientifica che le contraddistingue, a diventare punto di riferimento per quanti vogliano avvicinarsi alla linfa delle nostre comuni radici sannito-irpine.
Le 375 pagine del sudato lavoro si aggiungono alle altre 2.435 distribuite tra i primi tre volumi, i precedenti due tomi de «I Gesualdo nella Storia e nelle Genealogie del Regno» e il volume unico «Monografie per la Storia di Avellino».
Un lavoro imponente paragonabile, per mole e valore storiografico, alle monumentali edizioni storico-araldiche del XIX secolo.
A differenza di queste, però, le opere dell’amico Armando si allargano ad un contesto molto più ampio, abbracciando i vari settori culturali della nostra provincia: la ricostruzione degli alberi genealogici, resa vitale dalle note biografiche e da una narrazione spesso aneddotica; la riscoperta e la riproposizione ai lettori dell’ingente patrimonio architettonico, artistico e ambientale dell’intero territorio provinciale; le straordinarie ricostruzioni urbanistiche del capoluogo, ma anche di molte delle nostre contrade, frutto, il più delle volte, dei ben noti infausti eventi come i terremoti e le epidemie; offrono il destro, di volta in volta, per ricordare eventi e persone del nostro passato che grazie alla rinnovata visibilità che da tali libri riemerge, rivivono restituendoci spaccati di vita di un tempo che solo agli occhi di chi non vuol vedere appare lontano.
Il corposo corredo grafico e fotografico, frutto anch’esso della professionale ricerca dell’autore presso i ricchi fondi archivistici, quelli dell’Archivio di Stato di Avellino in particolare, virtualmente ci restituisce pezzi importanti di quel mondo già vissuto dagli avi e preziosa eredità, oggi, per chi voglia costruire un futuro che non prescinda dalla storia passata. E’ in questa luce che “Piazze, Chiese, Strade, Fontane ed altre opere di Pace Tra Ottocento e Novecento”, giusto per restare ai contenuti della nuova opera, riemergono dal soporoso oblio delle distratte comunità; riaccendono il nostro orgoglio di eredi e stimolano un rinnovato amore per la Terra di appartenenza.
“Perla” tra le perle, è la descrizione dell’antico e scomparso feudo di Corsano, “Capitolo 8°/ Montecalvo e il Feudo di Corsano/ Una perla della Valle del Miscano” (pp. 204-239), che fa rivivere la storia della mitica terra corsanese, affascinante nelle memorie di ferali epidemie e di inquietanti invasioni di serpenti; generosa di cavalieri offerti alle belliche imprese delle epiche crociate; patria del beato Felice, attivo protagonista nell’agone teologico dell’era luterana e abitatore della celebre grotta delicetana (Deliceto-FG) che porta il suo nome, fonte ispiratrice di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori che al suo cospetto donò al mondo le celestiali note di “Tu scendi dalle stelle”.[Montefusco A., Contributi per la Storia di Avellino e dell’Irpinia – Volume quarto, Ed. CORRIERE, Rotostampa srl – 2021]
-
Arturo De Cillis. Quando i Borbone ordinavano: FACITE AMMUINA!
Alfonso Caccese
[Ed. 00/00/2000] Il tentativo di cercare in rete, elementi utili per la ricerca storica locale, proteso alla divulgazione, in modo onesto e trasparente, di una cultura, quella Montecalvese, carica di passionalità spesso confinata nei più profondi meandri della memoria, mi ha fatto scoprire ( anzi ritrovare ) e rispolverare quelle esperienze latenti che sapevo esistere ma mai sperato così copiose conoscere. Ultima scoperta, una pubblicazione di un mio caro,vecchio amico d’infanzia : Arturo De Cillis, ( non l’incontro da oltre 20 anni) che non conoscevo come ricercatore storico, ma sapevo e ricordo essere persona sensibile e appassionato cultore della nostra storia. Rischio di cadere nel banale ma credo che per l’intera comunità Montecalvese, scoprire la passionalità di persone che pur vivendo fuori dal paese, hanno quotidianamente impressa nella loro mente il nostro piccolo paese, rappresenti una forza e una qualità che credo ci distingua da tante altre piccole realtà a noi vicine. [Nativo]
[De Cillis A., Facite ammuina!, GDS EDIZION, 2000]
-
Grammatica del Dialetto Irpino
Aniello Russo
Prefazione alla terza edizione
[Nativo] Dopo oltre quindici anni dalla prima edizione della mia Grammatica di un dialetto irpino, che vide la luce nel 1988, ecco qui la terza edizione, riveduta e ampliata, che ora reca il titolo di Grammatica del dialetto irpino, in quanto lo studio e la ricerca interessano tutta quanta l’Irpinia. Il nuovo testo, infatti, riporta le particolarità fonetiche e morfologiche delle varie aree della vasta provincia di Avellino.
La stesura della grammatica è stata condotta esclusivamente sul materiale di trasmissione orale, patrimonio culturale di pochi anziani che non hanno del tutto alterato l’antico vernacolo paesano. Un vasto materiale, testimonianza della nostra parlata, che è stato raccolto su audiocassette negli anni che vanno dal 1975 a oggi. I racconti (oltre cinquecento), i proverbi (circa diecimila) e centinaia di altri testi (canti, filastrocche, nenie, indovinelli) sono stati rilevati su un’area estesa che va dall’Alta Irpinia (Calitri, Lacedonia, Guardia) ai paesi dell’Alto Ofanto (Nusco, Lioni) all’area arianese (Ariano, Montecalvo), al Serinese (Senno, Solofra, Montoro) all’area del versante napoletano Avella, Baiano) a quella del versante beneventano (Cervinara, ecc.).
Non c’è dubbio che il dialetto irpino abbia caratteristiche sue proprie che riguardano non solo la fonetica, ma anche la morfologia e la sin tassi. Alcune di queste caratteristiche sono comuni in tutto il territorio irpino, altre interessano solo un’area o addirittura una sola comunità. Per esempio, l’uso dell’articolo neutro è quasi del tutto scomparso nella parte bassa dell’Irpinia, mentre resiste in altre aree; i fenomeni di metafonia e di dittongazione sono comuni a tutte le parti irpine e anche al dialetto napoletano. Così pure il raddoppiamento della consonante iniziale, dopo specifiche particelle, è caratteristica di quasi tutti i dialetti campani.
Soprattutto l’Irpinia più interna mostra nei suoi linguaggi una maggiore parentela con le aree confinanti (Cilento, e Lucania in generale) che col dialetto dell’area napoletana. Come rileva Nicola De Blasi (Profili linguistici, op. cit., p. 25 segg), i dialetti irpini presentano sostantivi e aggettivi terminanti in —i: càoci (calce),fàvici (falce), croci (croce), ecc. che il napoletano ignora. E ancora: il pronome latino ille ha dato nel napoletano chille, ma in Irpinia una varietà di soluzioni:
quiri, quiddi, quiddri La stessa parola indicante il ragazzo, guaglione (comune al napoletano e all’irpino) presenta il suo femminile in guagliona (a Napoli) e in guagliotta (in Irpinia) e in quadràra (a Montecalvo). Nel nostro dialetto, almeno nelle parlate dell’Alta irpinia, si segnala l’assenza del futuro e del condizionale che, invece, è presente nel napoletano
-
Presentazione opuscolo
Comunita Romana di Tressanti[06/06/2004] Montecalvo Irpino AV – Presentazione dell’opuscolo informativo sulla “Comunità Romana di Tressanti”,presso l’Ente Rosa Cristini, per gentile concessione del Parroco Don Teodoro Rapuano con l’introduzione del Prof.Alberto De Lillo, consigliere d’amministrazione dell’Ente. Nel fare una breve cronistoria di questa struttura, dalla fondazione ad oggi, il Prof.De Lillo si è soffermato sulla nuova trasformazione della associazione che dovrà essere nei prossimi anni centro di cultura e di recupero delle tradizioni popolari montecalvesi e non solo. Con l’augurio e speranza che la presentazione di questo opuscolo informativo sulla “Comunità Romana di Tressanti” sia la prima di una lunga serie di conferenze che tanto potranno dare alla collettività,ha ringraziato tutti gli intervenuti e dato inizio alla conferenza [Nativo] [Correlato]
Alfonso Caccese
[Bibliografia di riferimento]
[Sorrentino M./Caccese A., La comunita romana di Tressanti, edito in proprio, Bologna, 2004]