Cultura

  • Letteratura - Poesia

    “Lu Communi” poesia di Angelo Siciliano

    Angelo Siciliano

    [Ed. 27/01/2005] Zell TN – L’edificio comunale montecalvese, col suo aspetto architettonico così diverso e inconsueto rispetto agli altri palazzi del paese, fu edificato dopo il terremoto del 1930, secondo lo stile littorio elaborato dall’architetto e urbanista del regime, Marcello Piacentini, che tanto contribuì allo sventramento di Roma. Strutture architettoniche dello stesso tipo, spesso più elaborate e con intenti celebrativi e monumentali, sono presenti in tutte le città italiane. Il terremoto distruttivo del 1930 causò, solo a Montecalvo Irpino, la morte di 83 persone. Poi vi sono stati altri due terremoti distruttivi: quello del 1962, che provocò indirettamente la morte di una signora, e quello del 1980, che non provocò vittime a Montecalvo, ma ne causò quasi tremila nel resto dell’Irpinia e in Lucania.
    Delle due foto del Comune di Montecalvo, una l’ho scattata nel 2004, l’altra, a cui ho dato i colori, è del 7 aprile 1946 e appartiene all’archivio di Agnese Cristino, vedova di Oreste e nuora di Pietro Cristino, primo sindaco democratico di Montecalvo Irpino, eletto proprio nell’aprile del 1946. [Nativo]

    LU CUMMUNI

    Lu cummùni, nu palazzu fatt’a shcàtuli:
    la pìccula ‘ncòppa, cu lu llòrgiu,
    la ròssa sótta, cu lu barcóne andó s’affacciava
    chi cummànnava e ss’éva fa vidé.
    Fu lu rijàlu fascista pi li tanta
    muórti di lu tirramóte di lu Trènta,
    ca facètt ‘nchjanià palazz’e chjiésiji.
    Pócu luntànu, dòppu lu tirramóte
    di lu Sissantadùji, sfrattànnu la cantina
    di nu palàzzu, truvàrnu li shcatulètt fràcidi
    ca lu padrone s’er’ammucciàt’a lu tirramóte
    di lu Trènta, ‘mméce di li spinzià a la gente.
    Ma puru dòppu lu Sissantadùji
    e dòpp’ancóra, ci fu chi si n’apprufittàvu
    cu lu magna magna: si cagnàva partìtu,
    si facéva carna di puórcu,
    paréva ca ‘n s’abbuttàvunu maji.
    ‘Nd’à stu municìbbiju, da quannu
    ci trasètt lu pudistà, dint’a lu suttànu,
    c’abbijàrn’ammintunà carti e ccu lu tiémpu
    s’ave chjinu com’a n’uóvu.
    Si unu cerca cóccósa ddrà ddintu,
    jà com’ascià n’ agu ‘nd’à nu pagliàru,
    ci pó’ ttruvà puru nu nidu di sórici.
    Dòppu la uèrra, sótt’a lu cummùni ci stéva
    la Càmmira de’ llavóro e ‘mmiézz’a la chjazza,
    a la stagióna, s’accugliévunu li mititùri ‘la séra
    ca li massàri si li mminévun’a ccapà.
    D’ati tiémpi, si mittévunu l’uómmini‘ncòppa
    a li fiérri: accuntàvun’a ffil’a ffilu quéddru
    ca l’era capitàtu a li ddóji uèrri mundiàli.
    Passàvunu cu li ciucci cu la sàlima li cristijàni,
    uagliùni ch’alluccàvunu, fèmmini cu lu varrìlu
    o na césta ‘n capu, sèrivi cu li bórzi chjéne,
    cócche ssignóre cu la códa crécca.
    Po’ cócchidùnu si shcaffàvu ‘nd’à li cchjòcchi
    ca ‘stu paese era viécchju e ssi di n’ómu
    viécchju si ni scòrdunu, li ccàsura vècchji
    s’abbandónunu. Accussì lu paese s’ave dillatàtu
    da quà e da ddrà pi ddint’à li tterr’attuórnu.
    Si tatóne lu vidéss mo’ da luntànu, dicéss
    sicuramènt ca pare Nàbbuli pìcculu.
    Ma li genti so’ ccuntènt di ‘sti ccasi nóvi
    a lu mmarànu, ‘nfacci’a bbòrija?
    Da quannu puru lu Trappìtu ave muórtu
    pi ‘nnant’a ‘stu municìbbiju, a la sera,
    ci passa sulu cócche ccanu spèrzu.

    IL MUNICIPIO

    Il municipio, un palazzo fatto a scatole:
    la piccola sopra, con l’orologio civico,
    la grande sotto, col balcone da cui s’affacciava
    chi comandava e doveva farsi vedere.
    Fu un regalo fascista per i tanti
    morti del terremoto del 1930,
    che fece abbattere palazzi e chiese.
    Poco distante, dopo il terremoto
    del 1962, svuotando la cantina
    di un palazzo, si rinvennero barattoli corrosi
    che il proprietario aveva imboscato al terremoto
    del 1930, invece di distribuirli alla gente.
    Ma anche dopo il 1962
    e dopo ancora, vi fu chi si approfittò
    con accaparramenti: si cambiava partito,
    c’era chi se la sapeva godere,
    mai mostrando d’essere soddisfatto.
    In questo municipio, da quando
    vi entrò il podestà, nel seminterrato,
    iniziarono ad accumulare documenti
    e col tempo s’è riempito come un uovo.
    Se uno va per qualcosa lì dentro,
    è come cercare un ago nel pagliaio,
    vi potrebbe trovare anche un nido di topi.
    Dopo la seconda guerra, sotto il comune vi era
    la Camera del lavoro e nella piazza,
    d’estate, vi si radunavano i mietitori di sera
    per essere ingaggiati dai massari.
    In altre stagioni, i reduci si sedevano
    sulle sbarre di ferro: raccontavano con ordine
    le loro disavventure nelle due guerre mondiali.
    Passavano con gli asini con la soma gli uomini,
    ragazzi che schiamazzavano, donne col barile
    o una cesta sul capo, serve con la borsa piena
    della spesa, qualche borghese altezzoso.
    Poi qualcuno si incaponì
    che questo paese era vecchio e se un uomo
    vecchio va dimenticato, le case vecchie
    si abbandonano. Così il paese s’è dilatato
    di qui e di là nei terreni coltivi tutt’intorno.
    Se il nonno lo osservasse ora da lontano,
    direbbe sicuramente che è una piccola Napoli.
    Ma la gente è contenta di queste case nuove
    senza sole, esposte sempre a bora?
    Da quando anche il Trappeto è morto
    davanti a questo municipio, di sera,
    vi passa solitario qualche cane randagio.

  • Ricorrenze religiose

    I fuochi e i piccoli aerostati di S. Giuseppe nella tradizione montecalvese

    [Ed. 20/03/2005] A Montecalvo Irpino il 19 marzo si festeggia S. Giuseppe e nel pomeriggio il paese si anima, perché è attraversato dalla processione con la statua del santo, appartenente alla chiesa di S. Bartolomeo, seguita dai fedeli e da diversi automezzi.
    In passato, questa festa riguardava soprattutto gli artigiani. Anche i contadini e i massari, tuttavia, partecipavano con mucche e carri.
    Con l’introduzione di camion e trattori nelle attività lavorative, si cominciò a sfilare anche con questi mezzi dietro la processione e i gas di scarico ammorbavano l’aria rendendola irrespirabile.
    Era una specie di sfida per mostrare agli occhi della gente le mucche più belle, con le corna infiocchettate di nastri colorati, e anni dopo il trattore lucidato, più grosso e potente di quelli della concorrenza.
    All’imbrunire, era tradizione accendere dei fuochi negli slarghi del paese e davanti alle case di chi viveva in campagna.
    Questa tradizione è comune ad altri paesi dell’Irpinia.
    Qualche giorno prima della festa, le famiglie, o la gente dei rioni che era animata dallo spirito di clan, si davano da fare per raccogliere materiale da ardere per l’occasione. Accatastavano paglia, ramaglie, fascine e, giunto il momento dell’accensione, adulti e bambini si radunavano eccitati e vocianti attorno al cumulo di materiale che si era riusciti a costruire.
    A un certo punto colui che fungeva da capo clan, diventava piromane dando fuoco alla catasta.

  • Carnevale,  Cultura

    Chiacchiere e Strufoli

    [Ed. 07/02/2005] Montecalvo Irpino AV – “A carnevale ogni scherzo vale”. I ragazzini scorazzano mascherati per le vie del paese entrano nelle case con allegria e gioiosità. Al carnevale chiedono poco o niente. “Carnuvàle, carnuvalicchiu, daccì ‘nù pocu di sausicchiu e si ‘nun ci lu vuoi dàne cà ti pozza ‘nfraciddàne”.

     

     

    Redazione

  • Carnevale,  Cultura

    La Magia del Carnevale

    Alfonso Caccese

    [Ed. 08/02/2005] Montecalvo Irpino AV – Tradizionale appuntamento in piazzetta (piazza Vittoria) per tutti i bambini in maschera per partecipare alla consueta sfilata di carnevale. La manifestazione patrocinata dalla amministrazione comunale di Montecalvo Irpino in collaborazione con la Pro-loco ha visto la partecipazione di tanti ragazzi che hanno dato vita ad un colorito corteo colorato che ha sfilato per le strade del centro cittadino per poi ritrovarsi di nuovo in piazzetta dove si sono abbandonati a scherzi e lazzi di ogni genere sotto gli occhi vigili di organizzatori e genitori precocemente canuti per il classico ed oramai immancabile lancio di farina e coriandoli. Dopo la manifestazione in piazza, le mascherine si sono ritrovate presso il palazzetto dello sport di via Roma dove è continuato l’appuntamento con la fantasia, l’allegria ed il buon umore. [Nativo]

     

     

  • Cronaca,  Gastronomia

    I nostri prodotti tipici, in mostra, a Donceel

    [Ed. 22/02/2005] Montecalvo Irpino AV – Nel Comune di Donceel (Belgio) è stata organizzata una manifestazione sui vini, dal 18 e 19 febbraio c.a. all’interno della manifestazione è stato allestito uno stand di prodotti tipici Montecalvesi. La cena di gala, che ha chiuso la manifestazione, è stata organizzata con i nostri prodotti: cicatielli, pomodori, olio, salumi, formaggi e vino.
    I nostri produttori si sono attivati per spedire le merci su richiesta delle autorità di Donceel per l’ organizzazione si è interessato l’Assessorato allo Sviluppo e Promozione del Comune di Montecalvo con il contributo della locale Pro-Loco.
    Alla manifestazione hanno partecipato, oltre alle autorità Belghe, alcuni imprenditori già interessati all’esportazione dei nostri prodotti tipici, questa iniziativa è stata apprezzata dai produttori locali, che si sono impegnati all’ importazione in Belgio dei nostri prodotti qualora si definiranno le trattative intraprese. Foto F. D’Addona

    Redazione

     

  • Letteratura - Poesia

    Nell’antologia “Fermenti” c’è A. Siciliano

    [30/09/2004] Il volume 7 di FERMENTI, l’antologia di poeti italiani contemporanei edita dal Libro Italiano World- Ragusa-2004-e12, accoglie quindici liriche di Angelo Siciliano, distinte tutte da una dolente visione della vita e da una tormentata coscienza dell’uomo scorto nel turbinoso fluire della storia.Il poeta coglie nei suoi versi, al di là del cangiante alternarsi dei fenomeni in cui si proietta e sovente si smarrisce la nostra vita, la trama segreta ed essenziale che interessa l’eterno e il caduco, il divino e l’umano, l’ideale e il reale in un dramma che sempre si rinnova e ripropone, nuovo ed antico al tempo stesso, aperto ad accogliere le sempre rinascenti illusioni umane di eternità ed onnipotenza.Tutto è luce, allora, ai nostri occhi che, però non l’intendono più perché, ignari dell’ombra, non hanno più la consapevolezza e la coscienza del limite; vale a dire che tutto ci è chiaramente comprensibile eppure tutto ci resta arcano ed ignoto.Il divino si fa storia ( vedi le liriche ARCHEOLOGIA DIVINA- PADRE E MADRE ) e la storia volge alla SCRISTIANITA’ e al MERCATO DELLE PULCI, altre due liriche, mentre nell’ARCHEOLOGIA DEI RIFIUTI e in GROVIGLIO ANTICO si ripropongono echi lontani di vita che spengono in orizzonti senza più cielo.
    Il mito remoto ( vedi la lirica DOPO IL RATTO D’EUROPA), colmo di sangue e di pena, è alla radice di un secolo “lungo più di un incubo infinito” ( si veda la lirica XX° SECOLO) e LA GUERRA è generatrice di morti senza una vera ragione (“Per chi?….Per cosa?), mentre nella lirica COZZARE DI STELLE, in un universo sconosciuto forse proprio perché esplorato e scoperto, un PIONEER 10 va “ad incontrare non si sa” chi, e l’uomo tragicamente si illude di aver conseguito l’eternità con la clonazione. Una riflessione esistenziale unitaria e, come si vede, accorata e disincantata, si fa per questa via canto di dolente umanità, e le immagini richiamate non lusingano o brillano ma dicono e suggeriscono verità a lungo ignorate.
    Queste poesie, invero, sono colme di un pensiero che non solo discetta razionalmente ma medita e soffre, riflette e comprende, intende ed ama.
    Il canto che nasce è sintesi di vita ed in questa sintesi è il suo messaggio lirico più vero e più significativo per l’uomo di oggi dimidiato tra un amaro scoramento di essere ed un inconfessato sogno di amore e di bontà sotto cieli infiniti. [Nativo]

    Giuseppe d’Errico

  • Letteratura - Poesia

    Le poesie di Angelo Siciliano. Al risveglio

    Il poeta – scrittore Angelo Siciliano

    [Ed. 21/01/2005]
    [Nativo]

    Redazione

     

    AL RISVEGLIO*
    S’è fatta notte fonda
    al paese
    dove a ogni casa
    il frigo sta alla cantina
    la tivù al focolare
    non c’è fuoco di quercia
    che sfavilli né cunti.
    Da tempo una cultura
    maligna
    s’è troppo radicata
    come una donna presa
    con forza tante volte
    ci si è assuefatti alle violenze.
    Al risveglio del cuore
    spera un vegliardo tra gli ulivi
    con le nacchere tra le dita:
    chissà che non torni
    ai giovani
    la voglia a favellare.

    *Alla memoria di Rocco Scotellaro e
    Manlio Rossi Doria.

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  • Letteratura - Poesia

    Il Convento e il Tiglio

    Angelo Siciliano

    [Ed. 21/12/2004] Zell TN – Il convento di Montecalvo Irpino, dedicato a S. Antonio da Padova, fu ultimato nel 1631 e di fronte ad esso, com’era consuetudine, ad alcune decine di metri fu messo a dimora un tiglio. Affidato ai frati minori di S. Francesco d’Assisi, il convento subì dei ritocchi nei secoli passati e fu abbattuto dopo il terremoto del 1962. Forse, con le tecniche di recupero e di restauro messe a punto in questi ultimi anni, lo si sarebbe potuto salvare e vederlo ancora nella sua integrità. Della sua storia è rimasto poco: qualche quadro, qualche statua, il coro ligneo. Ma il tiglio è ancora al suo posto. I terremoti non lo spaventano di certo. [Nativo]

    LU CUMMENT E LU TIGLIU*

    Dicévunu l’antìchi di cócchidùnu
    ca era fitènt e ‘n zi putéva tòlliri:
    «Puzza milli cummiénti!»
    Ma pi nnuji lu cummènt
    era l’addóre di lu ‘nciénzu,
    ‘li gigli di Sant’Andòniju,
    ‘li rròsi d’ogni mmése,
    lu ffrishcu di la stagióna.
    Li santi pittàti ci trimindévunu
    da sótt’a la làmmija
    e Ssa’ Mmattèu, sèmpe
    cu lu libbru ‘mmani,
    uardàva stuórtu a cchi di nuji
    nun buléva studijà.
    Quanta cristiani so’ ppassàti
    sótt’a ‘stu tigliu!
    Chi partéva e cchi s’arritiràva,
    chi jéva fóre a ffatijà
    e cchi minév’a mméssa.
    Pinzàti, tre ssècul’e cchjù:
    justu l’ajità di ‘st’àrbulu!
    Ma chi sa quale malu juórnu,
    chi fu ccapàce di minà ‘n terra
    la storia di ‘ddru cummènt,
    ‘n zi ‘ncrécca e ddice:
    «Sigàti quiddru tigliu
    ch’ave fattu li juórni suji!»
    * A padre Lorenzo

    IL CONVENTO E IL TIGLIO

    Un detto antico su qualcuno
    che era un tipo abietto e insopportabile:
    «Puzza come mille conventi!»
    Ma per noi il convento
    era l’odore dell’incenso,
    dei gigli di S. Antonio,
    delle rose di ogni mese,
    la frescura dell’estate.
    I santi affrescati ci osservavano
    da sotto la volta
    e S. Matteo, eternamente
    con un libro in mano,
    guardava torvo chi di noi
    non aveva voglia di studiare.
    Quante persone sono passate
    sotto questo tiglio!
    Chi partiva e chi rientrava,
    chi si recava in campagna per lavoro
    e chi veniva a messa.
    Pensate, tre secoli e più:
    giusto l’età di questo albero!
    Ma chissà quale infausto giorno,
    chi mostrò il coraggio di cancellare
    la storia di quel convento,
    non si rizzi e ordini:
    «Abbattete quel tiglio
    che è suonata la sua ora!»

  • Gastronomia

    Corsi di cucina per promuovere la gastronomia locale

    [Ed. 00/00/0000] Montecalvo Irpino AV – Un corso di arte culinaria per la promozione e degustazione dei prodotti tipici locali. Lo organizza la pro-loco di Montecalvo Irpino, diretta dal presidente Franco Aramini, in collaborazione con l’assessorato al Turismo del paese ufitano coordinato da Nicola Serafino. Il corso, che si svolgerà presso i locali della mensa scolastica del paese, inizia domani, giovedì 7 luglio, e si protrarrà fino al mese di agosto.
    Il Comune di Montecalvo è in questi giorni presente, con un proprio stand espositivo, alla terza edizione di Agricultura 2005 in svolgimento a Città della Scienza (Napoli) fino al prossimo 10 luglio.
    L’obiettivo della manifestazione è una promozione capillare dei pregevoli giacimenti enogastronomici che il territorio campano offre e possiede.
    L’evento, organizzato dall’assessorato regionale all’Agricoltura e dall’Ersac (diretto da Raffaele Beato), si propone, infatti, come grande vetrina dei prodotti agricoli tipici campani offerta ai consumatori interni che hanno la possibilità di poter conoscere ed apprezzare il meglio della produzione agroalimentare regionale.
    L’intento è quello di riuscire a trasmettere presso il grande pubblico, anche attraverso un approccio accattivante e coinvolgente, la consapevolezza delle tante risorse alimentari presenti in Campania, del loro significato culturale ed umano, dell’identità territoriale che tale patrimonio esprime. [Nativo]

    Redazione

  • Beni etno-antropologici,  Restauri

    Montecalvo. Presentazione del restauro registro battezzati anni 1699-1716

    Giovanni Bosco Maria Cavalletti

    Una meravigliosa storia nell’affacinante contesto del Settecento montecalvese.
    Tratto dalla mia relazione:
    “… Rimasugli di secoli si addossavano gli uni agli altri rievocando tempi di gloria e di abbandono. Il grigio argenteo delle ragnatele, illuminate dal fascio improvviso di luce penetrato dalla porta sospinta, si rifletteva sulle pareti e sulle cose. Aveva avuto, netta, la sensazione di essere atteso in quella stanza. Penetrò con lo sguardo la trama d’argento.
    Frammenti del tempo erano sparsi dovunque. Eppure da essi, impalpabili, lucide scie si componevano in disegni finiti e consumati. Vissuti. Ma c’era dell’altro, lo sentiva.
    Avvertiva un richiamo istintivo, necessario. Avanzò con cautela, timoroso di rompere quello strano, affascinante equilibrio. Un rumore leggero, un fruscio, quasi un sussurro, accompagnò un lievissimo sfarfallio delle ragnatele. Trepidante, come in attesa, si senti scivolare in una strana dimensione, come avvolto dal tempo. Mamma Bella! – Esclamò…

    … La fisicità della morte ancora promanava dall’aria. Era presente nella memoria e nei luoghi, nelle tracce di bruciato come nell’acre odore della calce cosparsa a coprire e a cancellare.
    Era lì, tra i vivi, angosciante negli echi sopiti degli urli, terrificante nei silenzi degli sguardi impotenti.
    Rievocata dai fumi d’incenso, prodighi ma insufficienti a coprirne i vapori esalanti dalle cripte.
    Non erano bastate le fosse di sepoltura: Santa Maria, San Sebastiano, Santa Caterina, il Santissimo, la Buona Morte, Sant’Antonio, l’Angelo…, si era ricorsi alle fosse comuni.
    Sentimenti di intensa pietà, misticismo, ambizione di poteri straordinari, magia: questo il variegato scenario, surreale, apparentemente normale nella pratica indifferente del popolo che la quotidianità affollava di esperti fattucchieri, mavari, ianare e occhiarole, e con essi, le storie raccontate ai guizzi dei caldi camini invernali, o sulle afose aie d’estate intorno a covoni sempre più magri di grano, in tuguri di tufo già risuonati di pianto, bisognosi di forti esorcismi…”