Cultura
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Ricordando Giuseppe e Pietro Cristino nella terra del silenzio
Angelo Siciliano
Pietro Cristino 1° Sindaco di Montecalvo Irpino [Ed. 00/00/0000] [N. 10/12/1991] Parlare di Giuseppe e Pietro Cristino, oggi, nell’epoca del crollo delle ideologie, dopo l’implosione dei regimi totalitari dell’Est europeo, ma anche di guerre sanguinose – basti pensare a quella del Golfo Persico e all’altra tra le nazioni dell’ex Iugoslavia – che sicuramente hanno trovato una concausa nel crollo del Muro di Berlino del 1989, che ha segnato la fine della guerra fredda e dei blocchi contrapposti, guidati dalla fine della seconda guerra mondiale rispettivamente da USA ed URSS, potrebbe anche significare andare ad indagare fatti, persone e vicende del Novecento, la cui storia, oltre che non sempre ripercorsa e chiarita adeguatamente e a sufficienza, ci appare distante anni luce. E proprio tale distanza consente che tanti personaggi di primo piano, che hanno fatto la storia civile e sociale del nostro paese, possano essere spesso posti in discussione per le scelte politiche fatte e per il loro operato nel secondo dopoguerra, in quanto hanno contribuito, seppure indirettamente, a quel sistema politico nazionale bloccato, rimasto senza alternativa. Si è parlato e si parla anche di democrazia incompiuta. La realtà è che per più di quaranta anni ci hanno governato più o meno le stesse persone, realizzando – caso unico tra i paesi occidentali – una sorta di “dittatura” in democrazia, che ha determinato conseguenze assai gravi: invecchiamento e inefficienza delle Istituzioni pubbliche; alcuni fenomeni gravi di collusione tra politica e criminalità organizzata; intere regioni alla mercé di mafia, ‘ndrangheta o camorra che insanguinano il Sud sostituendosi allo Stato come se questo avesse rinunciato alle proprie funzioni; malcostume diffuso della pratica del pizzo e della bustarella per cui, sempre più spesso, la cronaca nera è ricca di casi di burocrati e amministratori locali divenuti essi stessi, in prima persona, i gestori del malaffare. È il “diritto negato” ad alimentare spesso faide tra i malavitosi e comportamenti omertosi anche tra i cittadini. I partiti politici si sono trasformati in qualcosa di diverso da ciò che erano originariamente: da strumenti di democrazia sono diventati organizzazioni di potere. Tuttavia pare che ora qualcosa cominci a cambiare e fasce non trascurabili della popolazione non sono più disposte a concedere la propria delega in bianco ai politici, portati sempre più ad anteporre gli interessi particolari, di pochi privilegiati, all’interesse generale della collettività. I problemi sono tanti. Da locali o nazionali che erano, sono divenuti di portata planetaria. Non sarà di certo la logica delle lobby, delle multinazionali e della propensione al consumismo a prospettare le soluzioni più eque o più giuste per la nostra società.
1946: Elezioni del Sindaco Dott. Pietro Cristino -
Il Palazzo Peluso
Montecalvo Irpino AV – Corso Vittorio Emanuele
Il palazzo Peluso appartenne in precedenza alla famiglia Ciampone, che abitò a Montecalvo già nel XVI secolo. I Peluso, famiglia di famosi avvocati, abitarono invece a Montecalvo a partire dalla seconda metà del XVII secolo, stabilendosi in quella dimora che nel XVIII secolo fu dotata dell’attuale assetto. Venduto di recente alla famiglia De Julis, esso é stato successivamente e per ben due volte ceduto ad altri. Allo stato attuale, purtroppo, esso non è conservato nella sua integrità in quanto subì una parziale demolizione sul lato che va verso via S. Antonio. Tra gli elementi superstiti della facciata sul corso Vittorio Emanuele è l’ingresso, a sagoma mistilinea, inquadrato da un ricco portale in pietra scolpita. Esso è reso particolare dalla presenza di cornici con numerose modanature e, ai lati, di paraste impostate su un alto zoccolo e terminanti in un capitello scolpito con volute aggettanti. Volute più schiacciate rendono articolato il portale nella sua definizione laterale. Tangente ad esso è il balcone del piano nobile, che ha un profilo leggermente arcuato e circondato anch’esso da cornici modanate. In sommità, impostato su paraste laterali, è un accenno di timpano ricurvo, che si interrompe al centro per fare spazio allo stemma in pietra della famiglia Peluso. Oltre il suddetto balcone, l’originale facciata presentava una serie di otto balconi, in corrispondenza dei quali erano poste rispettivamente delle finestrelle quadrate con relative cancellate. Tra gli spazi interni sono superstiti le cantine estese per tutta l’area del palazzo. Particolare elemento di pregio è la presenza di affreschi settecenteschi conservati in alcune sale e nella cappella privata del palazzo. Parte dell’edificio è stata demolita dopo il sisma del 1980.[ Correlati: Nel Sito / Sul Web]
Redazione
[Bibliografia di riferimento]
[Cavalletti G.B.M. Montecalvo dalle pietre alla storia, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1987]
[AA.VV., Progetto Itinerari turistici Campania interna: la valle del Miscano, Volume 1 , Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1993] -
Il Beato Felice da Corsano
Il beato Felice da Corsano ebbe i natali, sullo scorcio della prima metà del XV secolo, nel feudo di Corsano, all’epoca università autonoma nella diocesi di Ariano, oggi comune di Montecalvo Irpino e diocesi di Benevento. Dotto in lettere e teologia era stato allievo degli Agostiniani di San Giovanni a Carbonara in Napoli. Le cronache dell’Ordine Agostiniano lo tramandano con il titolo di baccelliere. Fu archivista e storico dell’ordine Agostiniano. Nel 1470 con alcuni suoi confratelli, tra cui il meglio della cultura teologica del monastero napoletano di San Giovanni a Carbonara, si fermò sulle pendici boscose di Valle in Vincoli, territorio dell’odierna cittadina di Deliceto, in provincia di Foggia.
Qui, colpito dall’amenità dei luoghi, ricchi di un’estensione boscosa di circa centoundici ettari e stando egli con il pensiero di fondare una Riforma, dove si vivesse con maggiore osservanza secondo il primiero spirito dell’Ordine fondò un primo convento dedicandolo a Maria Santissima della Consolazione. Accanto al convento furono costruiti un piccolo chiostro, tre stanze ed una chiesetta dalla pianta rettangolare. Sull’altare maggiore di questa fu collocata, nel 1470, una tavola ad olio, commissionata dallo stesso beato Felice, raffigurante la Vergine che allatta il Bambino.
Ultimato il convento il padre Felice cominciò a meditare una riforma dell’Ordine Eremitano di Sant’Agostino, a suo parere necessaria ed urgente. Sulla scorta di una soda preparazione teologica, di una fede profonda e sicura, nonché di un spiritualità ricca di sani elementi popolari, a distanza di ventidue anni dalla fondazione del convento e della chiesa di Maria Santissima della Consolazione, padre Felice da Corsano inaugurò la sua Riforma che chiamò Ilicetana dal nome della cittadina di Deliceto, anticamente Ilicetum, nel cui territorio sorgevano la chiesa ed il convento.
La nuova congregazione fu posta sotto la protezione della Madonna della Consolazione. Il rinnovamento proposto dal beato Felice, che si inserisce nel vasto movimento riformatore pretridentino che in tutta Europa precedette, accompagnò e seguì la rivoluzione luterana, interessò, in breve tempo, almeno tre regioni e sette diocesi dell’Italia Meridionale: Puglia, Campania e Molise; Ariano, Ascoli di Puglia, Avellino, Benevento, Bovino, Boiano e Troia. Il suo nome è inserito, con il titolo di beato, in tutti gli antichi annali dell’ordine agostiniano. Nel 1775, dopo aver preso atto che già il padre Felice da Corsano, fin dalla sua morte era venerato come santo, il vescovo di Bovino aprì formalmente il processo di canonizzazione secondo i dettami dei decreti in materia emanati da papa Urbano VIII nel 1634. Questi riconoscevano la santità pubblicamente acclarata da almeno cento anni prima di tale data. Il non conoscere ancora, all’epoca del processo, il dies natalis di Felice da Corsano, ne impedì la felice conclusione. Studi recenti hanno finalmente portato alla luce la data di morte avvenuta il 20 settembre 1526, vale a dire 108 anni prima delle disposizioni urbaniane. Tale scoperta sana, oggi, l’antica lacuna, che non impedì, comunque, di erigere un altare e una statua in suo onore all’interno della grotta di Deliceto, resa famosa dalle preghiere e dalle penitenze del beato Felice.
La statua lo raffigurava vestito con abito agostiniano, sandali ai piedi, corone di rosario nelle mani, bisaccia da mendicante sulle spalle.
La sua fama, ragguardevole, perdurò fino a tutto il XVIII secolo e dura, ancora oggi, nei territori ove egli massimamente portò la sua opera: Deliceto, Ariano Irpino, Ascoli Satriano, Panni, Troia, Corsano, Gildone, Montecalvo Irpino, Montefalcione, Castelluccio Val Maggiore, San Bartolomeo in Galdo, Baselice, Atripalda, Campobasso, Orsara. Gli annali dell’ordine agostiniano e la sua bibliografia lo tramandano con il titolo di santo o beato. Fra i suoi illustri devoti vi furono Sant’Alfonso Maria de’ Liguori e San Gerardo Maiella.
Il primo, in virtù della bolla dell’1 marzo 1745, a firma di mons. Antonio Lucci, vescovo di Bovino (oggi beato), in qualità di fondatore e primo Rettore Maggiore della Congregazione del Santissimo Redentore ereditò il complesso monastico di Deliceto prendendone il possesso il 28 marzo successivo. Il secondo trascorse la sua vita nel convento della Consolazione in Deliceto dal primo maggio 1749 al giugno del 1754 cioè fno ad un anno e mezzo circa dalla morte, che lo colse a Caposele (AV) il 16 ottobre 1755.
E’ proprio Sant’Alfonso Maria de’ Liguori che ci tramanda, in un suo manoscritto, il ricordo della grotta dove il beato Felice trascorse, in meditazione, preghiera e penitenza, lunghi periodi della sua vita: … Il beato Felice per attendere maggiormente alla vita contemplativa fecesi cavare una grotta con tre camerini separati, sotto lo stesso monte del convento (della Consolazione in Deliceto), la quale oggidì (tra il 1745 e il 1750) chiamasi la “Grotta del beato Felice”. Trovasi scritto dal canonico Casati (storico di Deliceto) che in quella si ritirava a vivere per mesi intieri il Beato, e che vi era una antica e comune tradizione che per un buco della detta grotta , il quale oggidì ancora si vede, fosse venuto più volte l’Angelo del Signore a visitare il romito, ed anche un corvo che giornalmente gli avesse portato una pagnotta di pane. Ma che che sia di ciò, è certo che la detta Grotta sin’oggidì è tenuta in venerazione, ed è visitata da’ divoti, allorché vengono le Genti in gran numero da’ diversi Paesi a visitare la Santissima Vergine specialmente nel giorno della Sua festa agli otto di Settembre…G.B.M. Cavalletti
[Bibliografia di riferimento]
[Cavalletti G.B.M. Felice da Corsano – Un raggio agostiniano tra i santi riformatori del XVI secolo , Irpinia Libri, Avellino, 2015] -
Ospedale di S. Caterina
L’ospedale di S.Caterina sorse nel XIII secolo per volontà degli armigeri che, di ritorno dalla Terra Santa, lo costruirono addossandolo direttamente alla cerchia muraria. L’ospedale fu eretto accanto all’omonima chiesa, non più esistente, fondata alla fine dell’ XI secolo dai Crociati montecalvesi di ritorno dalla Terra Santa. L’esistenza, già a quell’epoca, di un ospedale è stata interpretata come segno del notevole livello raggiunto dalla società di Montecalvo, ove pare che si svolgesse una fiera intitolata anch’essa a S. Caterina e svolta nello stesso luogo. Più tardi sorse anche un altro ospedale, quello dell’Annunziata, ubicato fuori dalle mura. Nel 1518, grazie al conte Sigismondo Carafa, l’Ospedale e la chiesa di S. Caterina furono affidati a Felice da Corsano, religioso locale nonché fondamentale figura nella storia dell’Ordine Agostiniano. Un documento del XVII secolo rende note la quantità e la funzione degli ambienti che componevano l’ospedale, tra cui una stanza adibita a carcere, un’altra con grotta adiacente, due dormitori, otto celle oltre ai locali di servizio. L’Ospedale di S. Caterina è attualmente ricordato attraverso i suoi ruderi che mostrano, tuttavia, ancora gli ingressi: quello principale a sud, le altre entrate ad ovest. Chiaramente percepibile è l’imponente volumetria dell’edificio, in cui sono chiaramente definiti una torre tronco-conica ed un contrafforte.
Redazione
[Bibliografia di riferimento]
[Cavalletti G.B.M. Montecalvo dalle pietre alla storia, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1987]
[AA.VV., Progetto Itinerari turistici Campania interna: la valle del Miscano, Volume 1 , Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1993]
[Credit│Foto - G.B.M. Cavalletti]
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Pane di Montecalvo – Convegno
Antonio Stiscia
N. Mancino [Edito 19/01/2005] Montecalvo Irpino AV – Il recente Convegno sul Pane di Montecalvo, tenutosi il 21 Novembre 2004, con la partecipazione e il patrocinio della Regione Campania, della provincia di Avellino, della Comunità Montana dell’Ufita,di eminenti rappresentanti del potere Politico e Istituzionale (Presidente sen. Nicola Mancino), ha riaffermato il diritto sacrosanto ad un riconoscimento speciale per il nostro Pane,specie per i trascorsi storici, ben evidenziati dai qualificanti interventi dei prof.Benigno Casale dell’Università di Palermo e Giovanni Cavalletti, storico della cultura montecalvese,che con una relazione precisa e documentata ha ripercorso la storia del pane di Montecalvo dal xv al xx secolo.
La battaglia del Pane,per il riconoscimento della tipicità del prodotto principe di Montecalvo,si è svolta per circa un ventennio.
E’ doveroso ricordare la instancabile penna del giornalista Mario Aucelli,che per anni, dalle pagine del Mattino ha illustrato,difeso e propagandato il nostro prezioso prodotto.
E ancora il prof. Alfonso de Cristofaro,alfiere della cultura gastronomica montecalvese.
Non va trascurato l’impegno dei Sindaci e delle rispettive Giunte per gli atti e le iniziative a sostegno del Pane di Montecalvo,per il suo sviluppo in termini di produttività e tutela.
Speciale menzione va fatta al Sindaco Alfonso Caccese e al Vice sindaco del tempo Antonella Panzone,che in prima fila e con l’aiuto dello scrivente ha conseguito il traguardo ambito dell’inserimento del PANE DI MONTECALVO tra i prodotti agroalimentari tradizionali-D.M. 18/7/2000-Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.
Un ringraziamento va dato all’attuale Sindaco Giancarlo Di Rubbo,sensibile alle tematiche dello sviluppo economico legato al prodotto pane e derivati,sorretto e spronato dall’azione incessante dei nuovi assessori allo sviluppo e all’agricoltura Serafino e Russolillo.
Quali traguardi per il Pane di Montecalvo?
– Ottenimento della DOP;
– Deregulation ai limiti di panificazione previsti dalla Camera di Commercio;
– Nuovo regolamento provinciale di attuazione della legge 1002/56,con la previsione
di speciali regole per il pane tradizionale,tipico e con DOP;
– Abrogazione della legge 1002,perché superata dalla logica di mercato;
– Tutela del pane quale prodotto tradizionale,garantendone la tipicità della lavorazione,l’utilizzo di componenti naturali e la tutela delle aree di produzione(diversità=ricchezza).
– La creazione di marchi di qualità,garantiti e controllati.
A conclusione,questa chiacchierata non può che concludersi con un invito ad amare il pane in ogni forma,promovendone il consumo e il significato.
In questa ottica la recente adesione del Comune di Montecalvo all’Associazione Città del Pane (www.cittadelpane.it), a livello nazionale,ci permetterà di fare quel doveroso salto di qualità organizzativa,ritrovando quella concordia del vivere,in un paese di grandi tradizioni,che oggi vive col motto del CARPE DIEM,ma con la sicurezza di un pezzo di fresco e fragrante pane in tasca. [Nativo]
[Credit│Foto - Franco D'Addona]
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PANE IN COMUNE
Redazione
[Edito 24/06/2005] Corciano PG – Il Comune di Corciano , socio dal Settembre 2004 dell’Associazione Città del Pane, ha elaborato un progetto, di durata biennale,con l’intento di diffondere la storia della panificazione artigianale, la cultura legata al recupero delle tradizione e del mangiare bene e sano, la rivalutazione dei sapori autentici. Come prima iniziativa si intende organizzare una manifestazione dal 24 al 26 Giugno che si svolgerà nel centro storico di Corciano . La Rassegna , denominata “ Pane in Comune ” nasce per valorizzare la cultura del pane artigianale e promuovere le identità culturali, turistiche e produttive dei territori che si caratterizzano per la presenza di pani tipici locali. Le piazze del centro storico ospiteranno una rassegna ricca di appuntamenti: dimostrazioni di panificazione a cura dei panificatori locali, degustazioni guidate, una mostra dei pani tipici regionali ed iniziative collaterali . Tre giorni di festa per l’alimento più antico delle nostre tavole, per riscoprirne il valore ed esaltarne le tipicità di ogni angolo d’Italia. Per dare autorevolezza alla manifestazione si ritiene che sia di fondamentale importanza la presenza di uno stand dedicato all’Associazione Città del Pane,con la partecipazione a titolo gratuito di tutte le città che vorranno aderire. Alla manifestazione organizzata dalla piccola cittadina umbra ha preso parte anche il comune di Montecalvo Irpino, membro dell’associazione “Città del Pane”.
La delegazione montecalvese era composta dall’Assessore,Giacomo Pepe e dal funzionario Dott.Antonio Stiscia in rappresentanza della giunta irpina, dal presidente e vice presidente della Pro-loco, Franco Aramini e Franco D’Addona, insieme ad un gruppo di Pacchiane che hanno dato un tocco di folclore irpino alla manifestazione. L’accoglienza da parte della cittadina di Corciano è stata particolarmente calda e spontanea al punto da riconoscere alla delegazione del nostro piccolo comune il merito della buona riuscita della manifestazione alla sua prima edizione. [Nativo] [Foto Franco D’Addona]
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La leggenda di S.Nicola legata alle Bolle della Malvizza
Mario Sorrentino
Nel posto chiamato Bolle della Malvizza, c’era una volta una taverna. La gente diceva che ci andava a stare di notte soltanto mala gente.
Una sera assai fredda d’inverno, mentre il sole già tramontava, tre uomini si presentarono alla taverna. Il taverniere stava in piedi davanti alla porta, appoggiato a tre balle di fieno. Il più vecchio dei tre viandanti, con la mitra di vescovo sulla testa, un bastone da pastore nella mano diritta, con tanti capelli bianchi intorno alla faccia, e due occhi azzurri lucenti, disse al taverniere: “Dominus vobiscum.”
“Da dove venite e che volete?”, domandò con voce sgradevole il taverniere. Era nero di capelli, alto e grosso e con la barba tanto fitta che quasi non gli si vedevano gli occhi piccoli e rossi di sangue.
“Veniamo dalla Puglia e cerchiamo da dormì e da mangià, pagando il giusto.”
“Per il dormì, sopra la paglia per terra, e per il mangià solo tunninu[1]”
I tre pellegrini entrarono nella taverna e si sedettero intorno al tavolone. Il taverniere sputò in terra e chiamò forte la moglie. La donna arrivò, era una povera donna tutta scapigliata e spaurita. Lui andò e portò il tunninu e la moglie andò e portò il vino. Quando il mangiare e il bere furono in mezzo alla tavola, il vescovo ci stese sopra le mani e pregò. Pregò e pregò, ma così a lungo che i due monaci compagni suoi non ce la facevano più a nascondere sotto il pizzo della tonaca gli sbadigli. Finita la preghiera, il vescovo tracciò un grande segno di croce per aria; e che successe? Il tunninu e il vino si trasformarono in due bei bambini, un maschietto e una femminuccia.
Il vescovo allora si alzò, prese per mano le due creature e uscì dalla taverna, con i monaci appresso. Fece un po’ di cammino e si girò. Segnò un’altra croce nell’aria ed ecco che la taverna, il taverniere e la taverniera sprofondarono all’Inferno.
Il vescovo era San Nicola di Bari, e là, ancora oggi, al posto della taverna, c’è rimasta la terra che bolle sempre.[1] – Carne in salamoia.
[Bibliografia di riferimento]
[Sorrentino M./Caccese A., La Malvizza – La Transumanza, le Bolle, il Grano, edito in proprio, Bologna, 2005] -
Inaugurata la ristrutturata Chiesa di San Pompilio Maria Pirrotti
[Edito 15/07/2007] In una cornice di popolo festante, Domenica 15 luglio 2007, si è inaugurata la ristrutturata Chiesa di San Pompilio Maria Pirrotti, figlio prediletto ed orgoglio di Montecalvo e di tutta l’Irpinia. La realizzazione dell’opera si è resa possibile grazie alla generosità dei montecalvesi che in una sorta di gara solidaristica hanno raccolto la cospicua somma di 41.000,00 euro. Grazie al contributo spontaneo di alcune ditte locali, che hanno prestato la loro manodopera gratuitamente, i lavori sono stati avviati e proseguiti alacremente tant’è che il 15 luglio, data di ricorrenza della morte del Santo, era già tutto pronto per la grande cerimonia religiosa. Infatti già dalle prime ore di un pomeriggio caldo e soleggiato i fedeli sono accorsi numerosissimi ad affollare la piazza adiacente la chiesa e la casa natale del loro illustre compaesano. Puntuali alla cerimonia sono arrivati e presentati al popolo, in spirituale raccoglimento mistico, le numerose autorità civili e religiose che hanno voluto, con la loro presenza, testimoniare l’affetto e la grandezza della missione sacerdotale di San Pompilio M. Pirrotti. Ad accoglierle, in pompa magna, il sindaco Giancarlo Di Rubbo ed il parroco, vero artefice massimo del progetto, don Teodoro Rapuano che, davanti alla casa comunale per l’occasione vestita a festa e con le forze dell’ordine in grande uniforme, hanno ricevuto l’Arcivescovo metropolita della chiesa beneventana Sua Eccellenza Andrea Mugione, il prefetto di Avellino Dott.Rei, gli assessori provinciali: Franco Lo Conte, Eugenio Salvatore e Francesco Barra. La messa solenne è stata presenziata dall’arcivescovo metropolita e concelebrata insieme al clero montecalvese. Alla fine della funzione liturgica la chiesa è stata riaperta e visitata prima dalle autorità e poi dal popolo estasiato dal nuovo volto della chiesa. Le novità salienti apportate e scaturite dalla fervida e vulcanica mente dell’attivissimo don Teodoro, si evidenziano già con un primo colpo d’occhio alla facciata dove si stagliano campali due stemmi rappresentanti l’appartenenza uno al pontificato di Benedetto XVI e l’altro alla chiesa beneventana. In alto centralmente, al posto dell’antico rosone, è stata collocata una vetrata artistica finemente lavorata con l’effige del Santo a simboleggiare la protezione dall’alto dei cieli del suo paesello natio. Entrando, frontalmente, è stato riposizionato l’altare e risistemata la nicchia dove è collocata la statua e, nella parte inferiore, l’originaria e antica teca con la reliquia sacra del santo. Lateralmente si osservano a sinistra e a destra, due file di tre vetrate che rappresentano episodi ed elementi centrali della vita dell’apostolato pompiliano. Invece sulle pareti laterali sono stati fissati dei quadri, chiamate “Via Lucis”, rappresentazioni di episodi evangelici, create appositamente dal pittore-scultore romano, Antonio Zanini. I vecchi banchi sono stati sostituiti da più moderne e funzionali sedie con inginocchiatoio. Il vecchio pavimento invece è rimasto lo stesso ed è stato tirato a lucido ritornando al suo antico splendore. Ristrutturate e rimodernate anche la sacrestia e la vecchia stanza dove il santo si raccoglieva in meditazione. Questa opera è stata progettata e voluta in preparazione delle grandi manifestazioni che si svolgeranno nel 2010 in occasione del trecentanario della nascita di San Pompilio M. Pirrotti. [Nativo] [Foto Franco D’Addona]
Redazione
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Lu Trappitu
Angelo Siciliano
[Nativo]
LU TRAPPITU
Lu Trappìtu s’affaccia
‘ncòpp’a lu Fuóssu Palùmmu
andó c’àbitunu ciàuli e cristariéddri.
Li ccàsura, agguattàti ‘ncòpp’a lu ttufu,
pare ca stannu ‘nd’à nu prisèbbiju.
Tiéninu grùttira lònghe
andó li cristiani ci tinévunu
ciucci, puórci, cucci e ccaddrìni.
Cèrtu rótte, si dice,
jévun’a ffinì sótt’a lu palàzzu ducale,
andó ci stéva lu duca Pignatèlli.
A la matìna, li campagnuóli
jinchévunu li ccésti,
caricàvunu li bèstiji
e ghjévun’a Magliànu
o a la Trigna a fatijàni.
Dòppu lu tirramóte di lu Sissantadùji,
‘sti ccase so’ ttut’abbandunàte:
c’àbitunu li cciàvéttuli.
Pàrlunu di li Sassi di Matera,
pi ttilivisióne o ‘ncòpp’a li giurnali.
‘Sti ppréte di lu Trappìtu
accóntunu puru lóru
tanta stòriji antiche:
nu’ vi pare di vidé
tanta vècchje cu’ la pannùccia
affacciàt’arrét’a li ppurtéddre?IL TRAPPETO
Il Trappeto affaccia
sul fosso Palummo
dove dimorano taccole e gheppi.
Le case, appollaiate sul tufo,
pare che siano in un presepio.
Hanno grotte lunghe
dove gli abitanti vi tenevano
asini, maiali, conigli e galline.
Di alcune grotte, si racconta
che arrivassero sotto il palazzo ducale,
dove abitava il duca Pignatelli.
Ogni mattina, i campagnoli
riempivano le ceste,
caricavano le bestie
e si recavano a Magliano
o alla Trigna a lavorare.
Dopo il terremoto del 1962,
queste case sono tutte abbandonate:
vi abitano le civette.
Parlano dei Sassi di Matera,
per televisione o sui giornali.
Queste pietre del Trappeto
raccontano anch’esse
tante storie antiche:
non vi sembra di vedere
tante vecchie col panno (in testa)
affacciate dietro le portelle?[Bibliografia di riferimento]
[Siciliano A. Lo zio d’America, Menna, Avellino, 1988] -
Luogo della Memoria
Angelo Siciliano
[Edito 00/00/0000] Da alcuni anni, e per la precisione dal 1987, mi sto occupando di ciò che era la civiltà contadina a Montecalvo Irpino. Dico era, perchè di essa è rimasto poco: ormai qualche frammento che affiora come cunto,detto,filastrocca o canto sulle labbra di qualche anziano che ne è depositario. Tutto è cambiato in paese,ma quella che è irriconoscibile, rispetto ad alcuni anni fa, è la campagna che brulicava di vita, mentre oggi in molte zone essa ha un aspetto selvaggio.E’ cambiato il mondo ed era inevitabile che la cultura orale , fino agli anni settanta,ancora viva e vitale, si avviasse verso un inesorabile declino. Ciò che fino a trenta anni fa era sub-cultura , perchè espressione di una società minoritaria, ha cominciato ad affascinarmi. Gli storiografi che in epoche diverse si sono occupati di Montecalvo, ci hanno descritto le origini del nostro paese e le vicende che vi sono svolte, intrecciate nel tempo con quelle dei nobili che dominavano anche in altre regioni. Io, invece, approfittando delle mie origini contadine, ho scelto la cultura orale. Mi sono calato nella nostra realtà iniziando un lungo viaggio, articolato e affascinante: da un lato una ricerca meticolosa sul territorio per raccogliere fedelmente il materiale folclorico dalla viva voce degli informatori; dall’altro, il recupero e la riscrittura della parte sommersa di essa, non testimoniata, ma vissuta peronalmente o percepita nell’ambiente. Il tutto scritto nel dialetto Montecalvese parlato fino alla fine degli anni Sessanta, che era la lingua dei compaesani dell’Ottocento e si era venuta arricchendo di ben 34 parole inglesi importate dai nostri emigranti di ritorno dagli USA. Montecalvo conserva poco delle sue antiche architetture, a causa dei numerosi terremoti distruttivi che l’hanno interessato nei secoli, ma per ricchezza e cultura può essere inteso come un luogo della memoria, sicuramente degno di grande attenzione. [Nativo]
[Credit│Immagine - "Il ritorno" - Angelo Siciliano]