Beni archeologici

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    IL PARCO ARCHEOLOGICO DI AECLANUM

    Mario Sorrentino

    [Edito 00/00/0000] In quello che oggi è il Passo di Mirabella, sorgeva, in loc. Grotte, l’antica Aeclanum, che essendo stata una delle più importanti città sannite, e ritenuta per un tempo capoluogo degli Irpini , conservò la sua rilevanza anche quando divenne città romana.
    La sorte della città sannita, già saccheggiata e semidistrutta nell’89 a.C. da Cornelio Silla, durante la Guerra Sociale (91-87 a.C.), fu definitivamente segnata quando il dittatore romano lanciò una operazione sistematica di distruzione e saccheggio del territorio degli Irpini, dopo che quella tribù sannita, che aveva resistito più a lungo al dominio definitivo dei Romani, svolse un ruolo preminente nell’ultimo episodio della Guerra Civile tra sillani e mariani, la battaglia di Porta Collina (I° novembre dell’82 a.C), quando Roma corse il rischio di essere invasa dalle truppe mariane e dai loro alleati. Silla riuscì a sconfiggerli, sia pure con difficoltà, e gli Irpini furono i più numerosi tra i prigionieri che furono fatti trucidare subito dopo per suo ordine nel Campo di Marte.
    I Romani ricostruirono Aeclanum magnificamente, come si può ancora capire dai ruderi messi in luce dagli scavi. La città del resto era predestinata a essere importante soprattutto da quando, nel 190 a.C, fu fatta attraversare dalla Via Appia, data la sua posizione di antico valico naturale degli Appennini in direzione della pianura pugliese già utilizzato per la transumanza.
    L’Aeclanum romana fu distrutta nel 662 d.C. dall’imperatore bizantino Costante II durante la sua spedizione contro i Longobardi di Benevento.

    Il punto di maggiore interesse storico del Parco è proprio il basolato della Via Appia che l’attraversa in senso Ovest-Est. Ma sono naturalmente da ammirare anche le bellissime Terme, l’Anfiteatro, ecc.
    Per dare un’idea della grande rilevanza della città in epoca romana, basta dire che le iscrizioni latine su lapidi trovate nel suo sito e immediati dintorni (quelle debitamente registrate nel Corpus Insciptionum Latinarum) sono ben 309.

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    IL POSTO DELLE ASCE DI PIETRA A MONTECALVO IRPINO

    Angelo Siciliano

    [Edito 05/09/2005] Una quarantina d’anni fa, usciva nelle sale cinematografiche un film del regista svedese Ingmar Bergman, “Il posto delle fragole”. Lo trovai bellissimo, per i rimandi metafisici e surreali che riusciva a trasmettere. Era incentrato su un maturo professore che, a coronamento della propria carriera, stava per ricevere il premio Nobel dagli accademici di Svezia.

    La notte che precedeva la premiazione, egli faceva un sogno particolare: si rivedeva bambino nel luogo degli affetti, dov’era cresciuto serenamente con i familiari. Un posto tranquillo, con un giardino con le fragole. Evidentemente si trattava di un luogo idealizzato. Poi, un carro funebre, trainato da un cavallo imbizzarrito, andava a sbattere contro un lampione. Nella bara che scivolava a terra, e il cui coperchio saltava via nell’impatto, c’era proprio il professore.

    Asce di pietra a Montecalvo Irpino

    A Montecalvo, io non ricordo che vi fossero fragole in passato. Forse ora le coltivano in serra. Tuttavia, il mio posto delle fragole è sempre stato qui: la Costa della Menola, a scendere giù, fino alla Ripa della Conca. Questa campagna coltivata per secoli, fino agli anni Settanta del Novecento, forse perché condotta a coltura promiscua, con ogni tipo d’albero da frutta, appariva come un eden. Ora è in buona parte abbandonata e selvaggia, e alberi selvatici la infestano e soffocano da ogni parte. Ma è anche un contesto archeologico devastato. Come risulta d’altronde tutto il territorio montecalvese. E nel resto dell’Irpinia non è che le cose vadano meglio.

    Il luogo del ritrovamento (costa della menola)

    I ritrovamenti di reperti archeologici, qui sono sempre stati casuali e sporadici. Gli strati, accumulatisi nelle varie epoche, non sono sovrapposti in regolare successione temporale, ma risultano quasi sempre sconvolti e mescolati. E ciò a causa dei disboscamenti, per la messa a coltura della terra, a partire da quando l’uomo, da cacciatore e raccoglitore, scelse di diventare stanziale. L’uso della zappa, poi dell’aratro trainato da muli o buoi, e dei trattori nel Novecento, e ultima l’introduzione di scavatori per il livellamento del terreno e lo scavo di buche per i nuovi impianti d’ulivi o noci, finanziati dall’ente pubblico, hanno portato ad un paesaggio molto diverso da quello preistorico e quelli successivi, osco-sannitico prima e romano poi. E di non secondaria importanza sono l’erosione del terreno e i franamenti provocati da acqua e neve, associati all’intervento umano non sempre corretto e rispettoso dell’ambiente. Anche i tanti calanchi che si vedono in giro, al di là della conformazione del territorio, sono una chiara testimonianza del prolungato dissesto geologico.Nel territorio montecalvese, che io ricordi, non sono mai venuti alla luce reperti preziosi, anche se le leggende narravano del ritrovamento fortuito di qualche vaso interrato, pieno di marenghi d’oro, la saróla cu li mmarénghi, per spiegare un arricchimento di qualche famiglia contadina, che agli occhi della gente appariva come improvviso. Tuttavia va detto, che ogni reperto ritrovato, anche quello in apparenza insignificante, è sempre da considerare importante, perché contribuisce a farci capire chi ci ha preceduto sul nostro territorio e come ha vissuto.

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    Scavi archeologici di AEQUUM TUTICUM

    Mario Sorrentino

    [Edito 00/00/0000] Aequum Tuticum era uno degli oppida che fungeva da capitale federale dei Sanniti, oltre che per la sua importanza come una delle principali stazioni dei tratturi della transumanza risalenti alla civiltà appenninica pre-sannitica, anche come centro di riunione dell’intero popolo dei Sanniti ( tuticum è aggettivo derivante da touto = “popolo” in osco) quando dovevano esser prese importanti decisioni politiche in pace o in guerra.
    La quercia visibile in una delle immagini può far pensare al culto alla dea Kerres (il nome quercia nella forma dialettale locale deriva infatti dal nome della dea: Kèrres>Kèrs>Cèrz-a). E la capacità rigenerativa secolare delle querce, per mezzo dei polloni che accestiscono alla base dei loro tronchi non esclude che proprio lì ci fossero una o più querce sacre agli abitanti di Aequum Tuticum.
    Dal sito archeologico sono visibili a uno due chilometri di distanza le “Bolle” mefitiche della Malvizza (territorio di Montecalvo Irpino), dove esisteva un tempio italico dedicato alla dea Mefite [Nativo]

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    Le lapidi di Aequum Tuticum

    Francesco Cardinale

    Il Lapidario di Aequum Tuticum è stato rimosso dalla baracca di Sant’Eleuterio, dove le lapidi erano state sistemate provvisoriamente, per essere trasportate nella villa comunale presso il Museo della Civiltà Normanna. Questa operazione è stata promossa dalla soprintendenza e dall’assessorato alla cultura del Comune di Ariano Irpino. Le lapidi sono state posizionate in parte all’interno del Castello e in parte all’esterno, nei pressi dell’ingresso al Museo. Le foto qui allegate mostrano i reperti quando erano ancora nel loro luogo d’origine.