Eventi,  Gastronomia

Il gusto di Montecalvo in scena

Raffaele Beato

Lia Ferretti

[Ed. 00/00/0000] Una folta delegazione dell’Enohobby, club di Napoli, ha accettato l’invito dell’Amministazione comunale di Montecalvo Irpino che ha organizzato “La giornata del Gusto Montecalvese”: prodotti tipici del territorio e vini di antiche vigne. Una rarità.
La delegazione, composta dai più apprezzati opinion leaders regionali, è stata capitanata da Lia Ferretti, notissima imprenditrice e autore di numerose pubblicazioni enogastronomiche.
La tappa montecalvese si scrive nel quadro delle iniziative di promo-valorizzazione del territorio appenninico realizzate dall’ Osservatorio dell’Appennino Meridionale e ha trovato nell’assessore comunale Nicola Serafino un attento anfitrione.
Molteplici gli interessi sollecitati lungo il dispiegarsi della visita.
Non ultimo quello legato alle suggestive leggende delle “Janare”, arcaiche fattucchiere che prediligevano Montecalvo per organizzare voli stregati verso Benevento, dove accendevano fuochi per danze tarantolate intorno al noce. Memorie costruite come quelle degli “scazzamariegli”, cugini dei monacielli napoletani, un po dispettosi, alle volte benevoli e protettivi. Le pietre del tappeto medievale custodiscono credenze e formule magiche per imporre malanni, far diventare storpi e impazzire d’amore: non c’è nulla da spendere, basta una creanza alla vecchina sull’uscio della casa di tufo: un po d’olio, un quartino di “turchinese” locale, “tredici Ave Maria”.
Poi prevalgono i campi verdi di rugiada, i monti che a Montecalvo custodiscono boschi di leccio e castagno, di betulla e di faggio.
Qui pascolano le mandrie per dare latte profumato di erbaggi che costituiscono l’anima del caciocavallo podolico, delle caciotte e delle sapidissime stracciate da gustare sul Fiano di Irpinia.
Genesio di Zungoli, mostra come un caciocavallo invecchiato in grotta per tre anni, si taglia a fatica, ma una volta aperto degustare le scaglie rimarrà un privilegio di pochi.
Sulla collina sotto il tratturo prosperano gli uliveti monovarietali.
Le olive migliori daranno un extravergine pregiato l’olio di “Ravece” che, sulle prime pizzica in gola, poi si scioglie in una armonica sintonia di erbaggi odorosi.
Un filo d’oro sul pane può divenire un pranzo da Re.
Il pane di Montecalvo, quello fatto con la “Sarraolla”, antica varietà di grano duro che dà panelle color ocra, a volte nocciola, fragrante di profumi di lievito, crusca e pane tostato. Per un altro sortilegio delle janare, si conserva ben oltre la settimana.
Cose di altri tempi cui fa riscontro il gentil pane di città che ha perduto sapori e serbevolezza, assumendo spesso una gommosa consistenza.
Il pane di Montecalvo tra tradizione e risorsa và raggiungendo la Indicazione Geografica protetta della Comunità Europea.
Sotto le mura del castello dei Pignatelli quattromila anime impegnate in una quotidiana pendolarità tra i campi e le case del paese dove nacque Pompilio Maria Pirrotti, formidabile parlatore ai vivi e, si racconta, anche a quelli che furono.
Esoterismo e misticità ancora una volta sospesi tra fede e leggenda ma sempre legati al contradditorio viversi della gente del sito, una vitalità che avvolta di mistica carità guadagnò a Pompilio Maria, canonico dell’ordine degli Scolopi, l’onore degli altari. Era Papa Pio IX e l’anno il 1934.
Appena ieri, dunque, ma già i Montecalvesi hanno fatto della casa del Santo un mistico luogo di preghiera e un museo dalle straordinarie suggestioni.
Strade ciottolose e vicoli ripidi che impongono passi accorti e frettolosi, una sequenza di portali stemmati, a testimonianza del tempo e del prestigio del luogo, sotto i cunicoli è ancor viva l’arte dell’intreccio del salice tramandato da padre a figlio, come quella del ricamo intarsiato che l’industria non è riuscita a copiare.
Si lavora per esporre alla fiera di Santa Caterina, il 21 e 22 Novembre, quando è d’uso comprare pizzi per le “guagliottelle” da marito. Sotto la via della chiesa maggiore un ramaio batte colpi col ritmo di una pendola.
Qui a Montecalvo la cucina è cultura, al di là dei croccanti e saporiti dei prodotti da forno, si è tentati da una gamma di caciotte, caciottelle, ricotte e tomine, caciocavalli e pezze di pecorino parenti prossime del mitico “Carmasciano”, ma i salumi ottenuti dal maiale pesante locale sono una vera delizia per i palati più esigenti.
Basti pensare, a tal proposito, che già i Sanniti, fin dal 400 avanti Cristo, avevano usanza di macellare i maiali durante un rito sacro fatto di danza e rievocazioni. Ancora suggestioni del magico sapore come magico è il sapore dei capicolli e delle soppressate, delle pancette, dei culatelli che Serafino inumidisce di liquore nei giorni della stagionatura: Strega, è questo il nome del liquore usato da Serafino. Si rimane in tema.
Si va per le stradine che conducono alla chiesa della Madonna dell’Abbondanza che un tempo fu Cerere, divinità protettrici delle messi.
Oggi la ritrovata immagine della Madonna alimenta un fiorente turismo religioso e le entrate della famiglia di Tonino, politico e trattore che inebria il vicolo di odori di cucina: minestra maritata, “fasuli cu la cotica” per riempire pagnotte private della mollica. Quando la scorza fragrante sarà tutt’uno con “l’inebriante zuppetta”, un bicchiere di Aglianico ancor giovane e….. “Santa Notte”.
Santa notte, sognando voli di streghe e canti di chiesa, pantagrueliche mangiate e fiaschi di “Coda di Volpe nera” che aiutano e raccontare e raccontarsi senza pudori spesso ridendo di se stessi e del mondo.
Fuori l’autunno ingiallisce il vigneto e il mosto è già in botte per il vino della primavera, che quassù aiuta a tornare bambini, persi come siamo tra le pazzie metropolitane che ci fanno desiderare angoli di quiete.
Torneremo a Montecalvo, in fondo il sogno è appena alle nostre spalle. [Nativo]

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *