Beni artistici e storici

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    Cappella Carafa – Il restauro

    Inizio dei lavori per il restauro della rinascimentale Cappella Carafa nella Chiesa Collegiata di S. Maria Assunta in cielo.

    [Edito 24/01/2003] Il 24 gennaio sono iniziati i lavori per il restauro della Cappella Carafa, gioiello del Rinascimento italiano.
    L’intervento, rivolto ai materiali lapidei del manufatto, è promosso e finanziato dal Ministero per i beni e le attività culturali.
    La committenza è della Soprintendenza B.A.P.P.S.A.D. di Salerno e Avellino.
    Il direttore dei lavori, Dott. Giuseppe Muollo, coadiuvato dal Geom. Flavio Petruccione, guida l’esperta equipe della Ditta di Conservazione e Restauro di opere d’Arte del Dott. Tudor Dincà.
    [Crediti│Testo - sanpompilio.it │Foto - Carlo De Cillis]


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    La Cappella Carafa

         Ubicazione: Via S. Maria – Chiesa S. Maria Assunta in Cielo – Montecalvo Irpino AV

    La Cappella Carafa nello stato in cui era prima del restauro

    L’ingresso alla cappella Carafa è costituito da un arco in pietra affiancato da due semicolonne scanalate, sormontate da capitelli compositi (ionico e corinzio) e posizionate su basamenti recanti due stemmi gentilizi. Le vele sono finemente decorate da rosette e tralci vegetali; sull’architrave campeggia l’iscrizione inquadrata da motivi decorativi geometrici. L’intradosso ed i piedritti sono elegantemente arricchiti da quindici formelle in pietra che riproducono le insegne araldiche della famiglia Carafa, celebrandone i fasti. Al di sopra dell’arco compare una lapide contenente l’iscrizione relativa all’anno di costruzione della cappella e al nome del committente. Dall’iscrizione posta nella parte superiore dell’arco, si evince che la cappella fu commissionata da Giovan Battista Carafa I, terzo conte di Montecalvo, ed ultimata ne 1556. Si evince, altresì, che fu dedicata al Salvatore. La famiglia Carafa tenne la contea di Montecalvo sin dal 1525 e, negli anni di ultimazione dei lavori della cappella, uno dei esponenti, Giovan Pietro, reggeva il soglio Pontificio con il nome di Paolo IV. La cappella, infatti, di cui resta ignoto l’autore, presenta caratteri stilistici tipici dell’architettura rinascimentale della Roma papale. Di recente è stato pubblicato un saggio sulla cappella Carafa ad opera dello studioso israeliano Yoni Ascher dell’Università di Haifa, il quale considerando la forma e lo stile della cappella, la riconduce all’architettura di Francesco di Giorgio Martini, ai suoi impianti nella città di Urbino e, non da ultimo, all’influenza esercitata da questi, noto per le sue architetture militari, su quella religiosa del XVI secolo a Napoli e la di cui forma suggerisce allo studioso un confronto con la cappella Chigi di Raffaello a Roma. Per quanto concerne la decorazione scultorea, invece, l’opera si inserisce nell’ambito della produzione plastica napoletana di primo Cinquecento ed è riconducibile alla bottega dei Malvito, Tommaso e Giovantommaso, scultori lombardi provenienti da Como ed approdati a Napoli nell’ultimo quarto del XVI secolo. Nel 1508 quella stessa bottega portava a termine ciò che gli storici dell’arte definiscono il principale cantiere artistico napoletano del primo decennio del Cinquecento, il Succorpo del Duomo, la cappella funeraria dedicata a S. Gennaro in cui erano state traslate da Montevergine le reliquie del Santo
    [Crediti│Testo - Catalogo dei Beni Culturali │Foto - Antonio Cardillo]

    Commissionata da Giovan Battista Carafa, terzo Conte di Montecalvo, la cappella è a pianta ottagonale con alle pareti stemmi nobiliari e finte finestre. Essa è preceduta da un portale in pietra realizzato in marmo scolpito (cm.580), che presenta due alti basamenti sui quali sono applicati rilievi dello stemma della famiglia Carafa. Addossate alla parete, ai due laterali del portale , vi sono due colonne, il cui fusto è scanalato e rudentato. I capitelli sono compositi e presentano foglie di acanto, nella parte bassa, e, nella parte alta, due ampie volute, su cui è poggiato un cordolo con al centro un volto di putto. Sulla trabeazione, composta da modanature a dentelli e decorazioni di petali stilizzati, è presente l’iscrizione “ECCE SALVATOR MUNDI”. Notevole anche la balaustra della cappella, di epoca più recente, e l’altare posto sulla parete di fondo.
    [Crediti│Testo - CTC Centro turismo culturale]
     

    Redazione

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    Palazzo Caccese

    Palazzo Caccese – Dopo la conclusione dei lavori di restauro.

    Si tratta di un palazzotto nobiliare, a due piani, in corso di restauro. Esso presenta semplici volumi con fascia basamentale in pietra e paraste sui cantonali. Notevoli il portale centrale in pietra e le cornici sulle finestre al primo piano. L’edificio è rivestito di un intonaco di colore salmone.

    [Crediti│Testo - CTC Centro turismo culturale]

    Redazione

    [Bibliografia di riferimento]
    [Cavalletti G.B.M. Montecalvo dalle pietre alla storia, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1987]
    [AA.VV., Progetto Itinerari turistici Campania interna: la valle del Miscano, Volume 1 , P. Ruggiero, Avellino, 1993]

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    Palazzo De Marco

    Il palazzo è la residenza dei De Marco, illustre famiglia, residente a Montecalvo fin dal XVI secolo, che annoverò tra i suoi componenti numerosi notai e giuristi. All’edificio si riconosce una duplice datazione in quanto il suo impianto tipologico e distributivo risale al XIX secolo, mentre ad elementi quali i portali, le cornici in pietra delle finestre o i balconi in pietra lavorata sembrano settecenteschi se non tardorinascimentali. Diversamente da quanto accadde a molti altri palazzi della zona, le strutture di Palazzo De Marco resistettero molto bene ai terremoti che si abbatterono in zona negli anni 1930, 1962 e 1980. Sul portale d’ingresso, posto sul vico De Marco, è un monumentale stemma sul concio di chiave, recante la data A.D.1569. L’edificio, che é stato oggetto di recenti restauri, è stato destinato a sede della biblioteca di economia e dell’archivio personale del prof. De Marco, preside della facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Napoli.
    [Crediti│Testo - CTC Centro turismo culturale]

    Redazione

    [Bibliografia di riferimento]
    [Cavalletti G.B.M. Montecalvo dalle pietre alla storia, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1987]
    [AA.VV., Progetto Itinerari turistici Campania interna: la valle del Miscano, Volume 1 , P. Ruggiero, Avellino, 1993]

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    Palazzo Siniscalchi

    Il Palazzo che dal chiassetto Cassese domina il rione Trappeto fu la dimora della famiglia Siniscalchi che, a partire dalla prima metà del 1700, si trasferì a Montecalvo da Ariano dove era giunta in precedenza da Salerno. La particolarità di questo palazzo è la presenza di una scultura in pietra di età altomedioevale (X secolo) proveniente dalla chiesa di Sant’Angelo. Interpretata come la rappresentazione cristiana del Bene e del Male, la scultura raffigura un leone rampante dalla doppia pupilla, ritratto mentre sbrana un essere umano.
    [Crediti│Testo - CTC Centro turismo culturale]

    Redazione

    [Bibliografia di riferimento]
    [Cavalletti G.B.M. Montecalvo dalle pietre alla storia, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1987]
    [AA.VV., Progetto Itinerari turistici Campania interna: la valle del Miscano, Volume 1 , P. Ruggiero, Avellino, 1993]

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    Chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo

    La chiesa di S. Maria Assunta, ex collegiata, sorge sul sito ove lo storico padre Arcangelo di Montesarchio afferma fosse stato eretto dai Romani un tempio. Questa teoria, però, non è supportata da indagini archeologiche. L’origine più remota della chiesa non è nota e, benché si abbia notizia che già nel 1400 ad essa faceva capo un capitolo ecclesiastico, la prima data certa della sua edificazione risale al 1428, sotto il governo di Francesco Sforza. La chiesa, costruita in adiacenza al Palazzo Ducale, fu nel tempo più volte ristrutturata ed ampliata. I terremoti del 1688 e del 1702 la colpirono a tal punto che, per iniziativa del cardinale Orsini, futuro Papa Benedetto XIII, fu sottoposta ad un accurato restauro. Molto danneggiata dai terremoti del 1962 e del 1980, la chiesa era dotata, fino a questa data, di una torre campanaria (già opera di ricostruzione dopo il sisma del 1930) successivamente demolita. Il tempio, chiuso per molto tempo, è stato riaperto al culto dopo i restauri del 1992. Una scala balaustrata a doppia rampa del XVII secolo conduce all’ingresso della chiesa posto a circa due metri dal piano stradale. Sulla balaustra sono evidenti gli stemmi delle famiglie Gagliardi e Pignatelli. La facciata a capanna è caratterizzata da elementi contornati in arenaria, distinti in un portale ad arco, con sovrapposta una lunetta gotica, due finestre e, al centro, il rosone. La pianta è a tre navate, suddivise da otto pilastri a croce in blocchi di arenaria a sostegno di archi ogivali. La navata centrale termina con un’ abside rettangolare con finestra sul fondo fatta realizzare nel 1693 per volontà del cardinale Orsini. Qui è l’altare maggiore in marmi policromi intarsiati, fatto realizzare nel 1728 dal duca Pompeo Pignatelli utilizzando un solo blocco di granito, e preceduto da una balaustrata anch’essa in marmo. In corrispondenza della navata destra è ubicata la Cappella dei Carafa, feudatari e conti di Montecalvo nel XVI secolo. La cappella, dedicata al SS. Salvatore, alla Beata Vergine ed ai santi Battista e Geronimo, ha pianta ottagonale ed è introdotta da un portale in arenaria con arco a tutto sesto, affiancato da semicolonne corinzie a sostegno della trabeazione. In corrispondenza di essa è, altresì, leggibile una iscrizione datata al 1556. L’imbotte dell’arco è decorato con formelle raffiguranti stemmi gentilizi. Anteriormente, è una balaustra marmorea aggiunta nel XVIII secolo. L’interno è rischiarato da un’elegante finestra rettangolare, posta sul fondo, ed è arricchito da medaglioni, finestre finte ed iscrizioni sacre dipinte. Ai due lati sono le cappelle simili di S. Felice e di S. Maria del Suffragio, fatte erigere con decreto del 1694. La prima mostra un cancello del XVII secolo recante le insegne della famiglia Pignatelli, feudataria nel periodo aragonese, mentre l’emblema della stessa è visibile anche sull’urna in legno dorato, contenente i resti di San Felice e la lampada in ferro batturto. Al 1726 risale invece l’altare marmoreo. La cappella di S. Maria del Suffragio, denominata poi del Monte dei Morti, ha anch’essa un altare marmoreo policromo con paliotto recante l’immagine dell’Assunta con ai lati lo stemma dei Pignatelli. In fondo alla navata sinistra è, invece, un pregevole fonte battesimale, opera scultorea di arte locale risalente ai primi del ‘500, costituito da un sarcofago poggiante su due colonnine con capitelli compositi in stile romanico, elementi di spoglio forse provenienti dalla chiesa longobarda di S. Angelo o dalla più antica chiesa di S. Maria, preesistente a quella attuale. Sullo stesso lato è visibile, all’inizio, una lapide, che ricorda l’ampliamento della Collegiata concesso da Clemente X nel 1672, sormontata da uno scudo in marmi policromi recante gli stemmi dei duchi di Montecalvo. Più al centro è un pregiato altare ligneo con la statua di San Rocco. Sempre sul lato sinistro è visibile, infine, una porta che immetteva nell’adiacente palazzo ducale e successivamente murata. La chiesa conserva, inoltre, diverse opere d’arte mobili tra cui due interessanti tele settecentesche raffiguranti la “Madonna Assunta” e “San Filippo Neri”, nonché una tela del XVII secolo raffigurante la “Madonna delle Grazie tra Santi”.
    [Crediti│Testo - CTC Centro turismo culturale │Foto - BeWeB / Beni architettonici in Web]
    [Correlato nel SITO]

    Redazione

    [Bibliografia di riferimento]
    [Cavalletti G.B.M. Montecalvo dalle pietre alla storia, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1987]
    [AA.VV., Progetto Itinerari turistici Campania interna: la valle del Miscano, Volume 1 , P. Ruggiero, Avellino, 1993]

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    La scultura della Madonna Addolorata

    Il volto dolente è quello di una giovane donna, caratterizzato dalla chioma fluente raccolta sulla nuca e dallo sguardo rivolto verso l’alto, in segno di estrema sofferenza; la bocca socchiusa conferisce alla scultura un ulteriore segno di muto dolore.

    La testa appartiene ad un manichino perduto raffigurante la Madonna Addolorata ed è stata rinvenuta, insieme alle mani, il 16 marzo del 2001 a Montecalvo Irpino, durante i lavori per il restauro della casa natale di San Pompilio Maria Pirrotti. Nella stessa occasione vennero alla luce anche due statue raffiguranti, rispettivamente, la Madonna con Bambino e San Lorenzo. Non si conosce ancora la causa dell’occultamento dei tre pezzi nel sottoscala della casa del Santo anche se le fonti, facendo riferimento al terremoto del 1930, parlano dell’abbattimento della chiesa del SS. Corpo di Cristo e del trasferimento del San Lorenzo in casa Pirrotti. E’ ipotizzabile che quel che resta del simulacro della Madonna Addolorata, o fosse già custodito in casa perchè rovinato, o facesse parte dell’arredo della cappella di San Lorenzo nella chiesa del SS. Corpo di Cristo, e quindi fosse anch’essa di proprietà della famiglia Pirrotti.
    [Crediti│Testo - Catalogo dei Beni Culturali │Foto - Franco D'Addona]

    Redazione

    [Bibliografia di riferimento]
    [Cavalletti G.B.M. I teschi che parlarono di Dio, Arti Grafiche Di Ieso, Casalbore AV, 2005]

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    Il Murale di via P. Marciano Ciccarelli già via Maddalena

    Il murale, a soggetto unico è tra i più grandi in Italia, ricopre il muro di cinta dell’antico bosco dei frati minori, che si estende per 510 mq. L’opera illustra le vicende della comunità montecalvese dalle origini fino alla seconda metà del 1600 ed è stata realizzata, con uno splendido intreccio tra mito e storia, dagli artisti Lavinio Sceral, Lello Sansone, Michele Giglio e Renato Criscuolo, coordinati dal critico d’arte Maria Russo. La prima figura mitica rappresentata è lo ” scazzamariello”, un dispettoso folletto che, secondo la tradizione popolare, ha il potere di defecare oro. Altro soggetto è la “pacchiana”, cioè la donna con il tipico costume montecalvese, simbolo di una civiltà scomparsa o, comunque, profondamente trasformata (cfr. scheda 13 del comune di Montecalvo Irpino). Ancora, si scorge la rocca romana, sorta durante le guerre sannitiche e destinata a diventare il castello di Montecalvo. Sono inoltre rappresentate la dea Mefite e le leggendarie Janare (streghe). Queste ultime, in piena tempesta, si radunavano per danzare intorno al famoso noce di Benevento, recitando la formula magica : “sott’acqua e sott’a bbientu sott’a la noce di bbinivientu” (sott’ acqua e sotto vento sotto il noce di Benevento). Un’altra scena è ambientata in contrada Malvizza : qui un oste malvagio serve carne umana ai malcapitati avventori e Satana, concorrente nel male, o Cristo, sdegnati da tanta efferatezza, inabissano la taverna nelle viscere della Terra da dove sarebbero sorte le malefiche bolle. Un altro soggetto del murale è la terribile peste che si abbatté sull’intero regno di Napoli nel 1656. Il viaggio tra la Storia ed il Mito di Montecalvo si conclude ad Oriente : “le esperienze guerresche degli antichi crociati e l’arrivo della cultura araba, filtrata nelle esperienze dei Pugliesi immigrati a Montecalvo dopo la peste del 1656, si tramandano in segni di pietra scolpiti sui noti portali che la magica lanterna di Aladino trasforma in un dolce paesaggio orientale”. Infine, l’opera si conclude con un portale che si apre al futuro, segno cioè che la storia continua. Tutte le scene rappresentate sono unite da un tappeto rosso volante.
    [Credit│Testo - CTC Centro turismo culturale] [Correlato nel sito]

    Giovanni Bosco Maria Cavalletti

    [Bibliografia di riferimento]
    [AA.VV., Progetto Itinerari turistici Campania interna: la valle del Miscano, Volume 1 , P. Ruggiero, Avellino, 1993]

  • Beni,  Beni artistici e storici

    Il Crocifisso ligneo nella Chiesa di S. Antonio da Padova

    Redazione

    Posto sul mobile da sagrestia, il crocifisso è di ottima fattura ed in buono stato di conservazione. Cristo è rappresentato, secondo l’iconografia tradizionale, con la testa reclinata sulla spalla destra, il corpo chiaramente segnato dal martirio e perizoma in vita. Il bene è tutelato Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici per le province di Salerno e Avellino. Datazione: XVII secolo (1668)

    [Credit│Testo - CTC Centro turismo culturale]

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    Il Palazzo Pirrotti

    Il Palazzo Pirrotti in Montecalvo ha un’importanza rilevante per un duplice ordine di motivi. Il primo è rappresentato dall’evidente valore storico-artistico dell’edificio, testimonianza di una tipologia fondamentale per lo sviluppo urbanistico del paese, cioè quella del palazzo signorile. Il secondo, prettamente storico, é legato all’importanza dell’edificio come residenza della famiglia Pirrotti, di stanza a Montecalvo dalla fine del XV all’inizio del XX secolo. In questo palazzo, infatti, ha avuto i natali, il 29 novembre 1710, Pompilio Maria Pirrotti, elevato agli altari per la sua intensa attività di insegnamento e di apostolato. Annessa al palazzo é la moderna chiesa, dedicata al santo, ricavata in età fascista nei locali al pianterreno, mentre tra la chiesa ed il cortile é ubicato il suo archivio. Rimaneggiato nel tempo, l’edificio conserva il suo elemento più caratterizzante e cioé l’antico portale con arco a tutto sesto, in pietra, definito, come i piedritti, da una successione di conci ben lavorati, aventi due diverse lunghezze e disposti alternativamente. Tangente in sommità corre un’alta fascia bianca di coronamento, interrotta al centro dallo stemma della famiglia Pirrotti realizzato anch’esso in pietra. Lo stemma raffigura una donna con i capelli raccolti da un nastro e spioventi sulle spalle, che reca una torcia accesa nella mano destra ed un ramo con cinque rose nella sinistra. La figura é completata da bande bicolori che corrono al di sotto della figura e da due ali che sovrastano la medesima a mò di corona. Il simbolismo dello stemma dovrebbe essere interpretato come un riferimento alle origini del nome “Pirrotti”, cui si riconosce un legame con Pirro, del quale é richiamato il breve dominio in Macedonia ( rappresentato dalle cinque rose che indicherebbero i cinque anni di regno) mentre la torcia richiamerebbe la radice greca “pur” (=fuoco) in corrispondenza con il nome Pirrotti. Sul resto della liscia facciata intonacata emergono alcune lapidi apposte come tributo al santo. Il portale, chiuso da un solido battente in legno, immette nel cortile interno anch’esso appartenente all’originario impianto. Sugli architravi dei portali è possibile leggere due motti araldici della famiglia Pirrotti: “Nobiliora altiora petunt” e ” Potius mori quam foedari”. Originale è, altresì, il pavimento della stanza dove nacque il Santo, conservato sotto il tetto dell’edificio. Altra parte superstite è quella dei sotterranei, costituiti da vani aperti nel tufo grezzo, adibiti a cantine, su cui poggiano le fondamenta della casa.

    Redazione

    [Bibliografia di riferimento]
    [Cavalletti G.B.M. Montecalvo dalle pietre alla storia, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1987]
    [AA.VV., Progetto Itinerari turistici Campania interna: la valle del Miscano, Volume 1 , P. Ruggiero, Avellino, 1993]