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    Montecalvo Album di Famiglia

    Prefazione

    Il libro scaturisce dalla magnifica esperienza della mostra fotografica «Montecalvo ieri ed oggi» che, organizzata dalla Pro Loco Montecalvo nel corso delle manifestazioni per l’«Estate Montecalvese1979», ha ottenuto un notevole successo di pubblico e di critica.

    Esso si presenta come un modesto contributo alla divulgazione di un patrimonio storico-fotografico caro al cuore dei Montecalvesi.
    Non ha l’intenzione di essere una cronologica successione fotografica, ma ha l’intento di avvicinare il lettore ad una Montecalvo solo in parte esistente, testimone di un passato ricco di elementi culturali, più propriamente storici e sociali, che dimostrano le autonome capacità di vita del popolo montecalvese.

    Il titolo «ALBUM DI FAMIGLIA», non è casuale.
    Nostra intenzione è che quest’opera non sia semplicemente un «libro», ma abbia le caratteristiche di un vero e proprio «album» che, come tale, serbi i ricordi, belli o brutti, ma sempre cari perché tali, di un popolo che attraverso i secoli ha vissuto momenti di gioia di dolore, di angoscia e di speranza, di ansia e di serenità.
    Abbiamo lasciato, alla fine di ogni capitolo, alcune pagine libere, perché ognuno, potendovi inserire, come in un vero album, personali ricordi fotografici, senta questo libro più caro e più familiare».

    Un doveroso riconoscimento è da farsi alla Pro Loco, e in particolare al Presidente Sig. Antonio Cusano che, avendo promosso la mostra fotografica «Montecalvo ieri ed oggi», si è reso ancora promotore della preparazione di quest’opera continuamente spronando e incoraggiando noi Autori durante la lunga e impegnativa opera di stesura.

    [Bibliografia di riferimento]
    [Cavalletti G.B.M. – Stiscia A., Montecalvo – Album di Famiglia,  Pro Loco Montecalvo, Calitri, 1981]

    Redazione

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    Il Cardo di San Giovanni

    Prefazione

    Giancarla Mursia

    Il romanzo si svolge in un piccolo paese dell’Irpinia dalla metà del Seicento ai primi del Settecento.
    Vincenzo Ciolla uomo, prete artista, è il protagonista della vicenda narrata con matura abilità dall’Autore alla sua opera prima. Il contenuto, regolato da una pacata armonia di avvenimenti, personaggi, situazioni, figure, incominciate da un personaggio essenziale, è in perfetta, quasi inconsapevole sintesi con la forma asciutta e disinvolta.
    Vincenzo Ciolla è veramente esistito e molte sue opere policrome si possono ancor oggi ammirare. Di conseguenza esiste nel romanzo una realtà che viene raccontata e regolata da una fantasia che non si sa dove cominci e dove finisca, tanto i due elementi sono ben controllati e connessi. Questo di Giovanni Cavalletti è un romanzo nell’autentico significato della parola. Una “storia” che prende le mosse da un uomo, don Vincenzo, sacerdote all’inizio, che troviamo preso da meditazioni e riflessioni, pieno di bufere dentro, sconfitto in una guerra che non ha mai dichiarato, all’apparenza normale, burattino in balìa delle occasioni, turbato dal fatto di essere prete, con l’impegno morale di rivolgersi soltanto all’autorità ecclesiastica per mettere a posto la sua coscienza.
    Il turbamento controllato e razionalmente esaminato del sacerdote è il punto fermo di tutta la vicenda dove gli altri personaggi, Angiolina, Felicetta, Francescantonio, Agostino e via via gli altri sempre autentici, s’incontrano in una umana e reale situazione di vita vissuta a completare uno spazio temporale di naturale svolgimento.
    Forse è il solo don Diego una figura un po’ retorica nella sua modestia arrogante e, in fondo, sprovveduta, ma anche scontata.
    Non mancano, nel tessuto narrativo, la descrizione di tradizioni, di usi e costumi che danno un non inutile supplemento alla storia, se mai rafforzandone invece la veridicità e suscitando una opportuna curiosità.
    L’atmosfera, il cielo, il freddo, la neve, il terremoto completano, in una rigida economia, lo svolgimento dell’azione che coinvolge il lettore, quasi a sua insaputa. Un romanzo nell’autentico senso della parola. Un bel romanzo. Con i temi di sordida negligenza che viviamo anche nella dimensione letteraria non si può dire quanti se ne accorgeranno. Ma è bene che sia pubblicato nella speranza (o illusione) che qualcuno apra gli occhi e se ne accorga. Poi, se sono rose fioriranno. E se mai, sarà l’autore ad una successiva prova a confermare l’unanime impressione della giuria del premio Montblanc e a rafforzare la convinzione di aver letto, una volta tanto, un bel romanzo.

    [Cavalletti G.B.M., Il cardo di San Giovanni,  L’autore libri Firenze, 1994]

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    Contributi per la Storia di Avellino e dell’Irpinia – Volume IV

    Giovanni Bosco Maria Cavalletti

    [Ed. 00/02/2022] Ancora una volta lo storico avellinese Armando Montefusco ci sorprende con una delle sue pubblicazioni, come sempre impreziosita dall’impeccabile impaginazione e dalla magnifica grafica dell’ottimo Geppino Del Sorbo, destinate, per la grande valenza scientifica che le contraddistingue, a diventare punto di riferimento per quanti vogliano avvicinarsi alla linfa delle nostre comuni radici sannito-irpine.
    Le 375 pagine del sudato lavoro si aggiungono alle altre 2.435 distribuite tra i primi tre volumi, i precedenti due tomi de «I Gesualdo nella Storia e nelle Genealogie del Regno» e il volume unico «Monografie per la Storia di Avellino».
    Un lavoro imponente paragonabile, per mole e valore storiografico, alle monumentali edizioni storico-araldiche del XIX secolo.
    A differenza di queste, però, le opere dell’amico Armando si allargano ad un contesto molto più ampio, abbracciando i vari settori culturali della nostra provincia: la ricostruzione degli alberi genealogici, resa vitale dalle note biografiche e da una narrazione spesso aneddotica; la riscoperta e la riproposizione ai lettori dell’ingente patrimonio architettonico, artistico e ambientale dell’intero territorio provinciale; le straordinarie ricostruzioni urbanistiche del capoluogo, ma anche di molte delle nostre contrade, frutto, il più delle volte, dei ben noti infausti eventi come i terremoti e le epidemie; offrono il destro, di volta in volta, per ricordare eventi e persone del nostro passato che grazie alla rinnovata visibilità che da tali libri riemerge, rivivono restituendoci spaccati di vita di un tempo che solo agli occhi di chi non vuol vedere appare lontano.
    Il corposo corredo grafico e fotografico, frutto anch’esso della professionale ricerca dell’autore presso i ricchi fondi archivistici, quelli dell’Archivio di Stato di Avellino in particolare, virtualmente ci restituisce pezzi importanti di quel mondo già vissuto dagli avi e preziosa eredità, oggi, per chi voglia costruire un futuro che non prescinda dalla storia passata. E’ in questa luce che “Piazze, Chiese, Strade, Fontane ed altre opere di Pace Tra Ottocento e Novecento”, giusto per restare ai contenuti della nuova opera, riemergono dal soporoso oblio delle distratte comunità; riaccendono il nostro orgoglio di eredi e stimolano un rinnovato amore per la Terra di appartenenza.
    “Perla” tra le perle, è la descrizione dell’antico e scomparso feudo di Corsano, “Capitolo 8°/ Montecalvo e il Feudo di Corsano/ Una perla della Valle del Miscano” (pp. 204-239), che fa rivivere la storia della mitica terra corsanese, affascinante nelle memorie di ferali epidemie e di inquietanti invasioni di serpenti; generosa di cavalieri offerti alle belliche imprese delle epiche crociate; patria del beato Felice, attivo protagonista nell’agone teologico dell’era luterana e abitatore della celebre grotta delicetana (Deliceto-FG) che porta il suo nome, fonte ispiratrice di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori che al suo cospetto donò al mondo le celestiali note di “Tu scendi dalle stelle”.

    [Montefusco A., Contributi per la Storia di Avellino e dell’Irpinia – Volume quarto, Ed. CORRIERE, Rotostampa srl – 2021]

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    Arturo De Cillis. Quando i Borbone ordinavano: FACITE AMMUINA!

    Alfonso Caccese

    [Ed. 00/00/2000] Il tentativo di cercare in rete, elementi utili per la ricerca storica locale,  proteso alla divulgazione, in modo onesto e trasparente, di una cultura,  quella Montecalvese, carica di passionalità spesso confinata nei più profondi meandri della memoria, mi ha fatto scoprire ( anzi ritrovare ) e rispolverare quelle esperienze latenti che sapevo esistere ma mai sperato così copiose  conoscere. Ultima scoperta, una pubblicazione di un mio caro,vecchio  amico d’infanzia : Arturo De Cillis, ( non l’incontro da oltre 20 anni) che non conoscevo come ricercatore storico, ma sapevo e ricordo essere persona sensibile e appassionato cultore della nostra storia. Rischio di cadere nel banale ma credo che per l’intera comunità Montecalvese, scoprire la passionalità di  persone che  pur vivendo fuori dal paese, hanno quotidianamente impressa nella loro mente il nostro piccolo paese, rappresenti una forza e una qualità che credo ci distingua da tante altre piccole realtà a noi vicine. [Nativo]

    [De Cillis A., Facite ammuina!, GDS EDIZION, 2000]

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    Grammatica del Dialetto Irpino

    Aniello Russo

    Prefazione alla terza edizione

    [Nativo] Dopo oltre quindici anni dalla prima edizione della mia Grammatica di un dialetto  irpino, che vide la luce nel 1988, ecco qui la terza edizione, riveduta e ampliata, che ora reca il titolo di Grammatica del dialetto irpino, in quanto lo studio e la ricerca interessano tutta quanta l’Irpinia. Il nuovo testo, infatti, riporta le particolarità fonetiche e morfologiche delle varie aree della vasta provincia di Avellino.

    La stesura della grammatica è stata condotta esclusivamente sul materiale di trasmissione orale, patrimonio culturale di pochi anziani che non hanno del tutto alterato l’antico vernacolo paesano. Un vasto materiale, testimonianza della nostra parlata, che è stato raccolto su audiocassette negli anni che vanno dal 1975 a oggi. I racconti (oltre cinquecento), i proverbi (circa diecimila) e centinaia di altri testi (canti, filastrocche, nenie, indovinelli) sono stati rilevati su un’area estesa che va dall’Alta Irpinia (Calitri, Lacedonia, Guardia) ai paesi dell’Alto Ofanto (Nusco, Lioni) all’area arianese (Ariano, Montecalvo), al Serinese (Senno, Solofra, Montoro) all’area del versante napoletano Avella, Baiano) a quella del versante beneventano (Cervinara, ecc.).

    Non c’è dubbio che il dialetto irpino abbia caratteristiche sue proprie che riguardano non solo la fonetica, ma anche la morfologia e la sin tassi. Alcune di queste caratteristiche sono comuni in tutto il territorio irpino, altre interessano solo un’area o addirittura una sola comunità. Per esempio, l’uso dell’articolo neutro è quasi del tutto scomparso nella parte bassa dell’Irpinia, mentre resiste in altre aree; i fenomeni di metafonia e di dittongazione sono comuni a tutte le parti irpine e anche al dialetto napoletano. Così pure il raddoppiamento della consonante iniziale, dopo specifiche particelle, è caratteristica di quasi tutti i dialetti campani.

    Soprattutto l’Irpinia più interna mostra nei suoi linguaggi una maggiore parentela con le aree confinanti (Cilento, e Lucania in generale) che col dialetto dell’area napoletana. Come rileva Nicola De Blasi (Profili linguistici, op. cit., p. 25 segg), i dialetti irpini presentano sostantivi e aggettivi terminanti in —i: càoci (calce),fàvici (falce), croci (croce), ecc. che il napoletano ignora. E ancora: il pronome latino ille ha dato nel napoletano chille, ma in Irpinia una varietà di soluzioni:

    quiri, quiddi, quiddri La stessa parola indicante il ragazzo, guaglione (comune al napoletano e all’irpino) presenta il suo femminile in guagliona (a Napoli) e in guagliotta (in Irpinia) e in quadràra (a Montecalvo). Nel nostro dialetto, almeno nelle parlate dell’Alta irpinia, si segnala l’assenza del futuro e del condizionale che, invece, è presente nel napoletano

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    Presentazione opuscolo
    Comunita Romana di Tressanti

    [06/06/2004] Montecalvo Irpino AV – Presentazione dell’opuscolo informativo sulla “Comunità Romana di Tressanti”,presso l’Ente Rosa Cristini, per gentile concessione del Parroco Don Teodoro Rapuano  con l’introduzione del Prof.Alberto De Lillo, consigliere d’amministrazione dell’Ente. Nel  fare una breve cronistoria di questa struttura, dalla fondazione ad oggi, il Prof.De Lillo si è soffermato sulla nuova trasformazione della associazione che dovrà essere nei prossimi anni centro di cultura e di recupero delle tradizioni popolari montecalvesi e non solo. Con l’augurio e speranza che la presentazione di questo opuscolo informativo sulla “Comunità Romana di Tressanti” sia la prima di una lunga serie di conferenze che tanto potranno dare alla collettività,ha ringraziato tutti gli intervenuti e dato inizio alla conferenza [Nativo] [Correlato]

    Alfonso Caccese

    [Bibliografia di riferimento]
    [Sorrentino M./Caccese A., La comunita romana di Tressanti, edito in proprio, Bologna, 2004]

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    Il Cardo di San Giovanni

    Quella leggenda degli amanti Vincenzo e Felicetta

    [Ed. 10/01/2005] Montecalvo Irpino svetta su un’amena dorsale, quasi un’acropoli a scrutare come una sentinella la Valle del Miscano. Il panorama è a 360° specie sul castello ducale, dove d’estate spunta esile il Cardo di S. Giovanni e richiama alla memoria il celebre romanzo del nostro vate Giovanni Bosco Maria Cavalletti, il quale dalla forbita penna di storico e con vena poetica ha voluto rievocare una struggente storia d’amore del XXVII secolo.
    In questo romanzo storico intitolato “Il Cardo di S. Giovanni”, l’autore ci fa tuffare nella Montecalvo del seicento e qui rivive D. Vincenzo Ciolla sacerdote e artista insieme a Felicetta, due cuori e un grande amore, che superano ampiamente la storia: ” al di la del fato, un amore senza tempo”.
    Chiunque passi tra i vicoli e le chiese montecalvesi, se si pone in ascolto, può, percepire tra il vento, oppure nelle calde assolate estive, una voce che riecheggia tra le pietre, i ricchi portali o al sussurrare del vento…
    Giancarla Mursia, così nella prefazione del mirabile testo, edito da Firenze libri del 2000, ” Vincenzo Ciolla uomo, prete, artista è il protagonista della vicenda narrata con matura abilità dell’autore alla sua opera prima (…) (egli) è veramente esistito e molte opere policrome si possono ancora oggi ammirare (…) in Montecalvo presso l’Oasi di S. Antonio, convento francescano tra i più belli dell’ Irpinia, a Casalnuovo Monterotaro (Fg) e nella celebre Certosa di Padula (Sa)..(…) il contenuto regolato di pacata armonia di avvenimenti, personaggi, situazioni e figure, incorniciate in un paesaggio essenziale (…)”.

    Queste sensazioni fuori dal comune si percepiscono intensamente per il visitatore che vuole visitare il centro storico, specie nel periodo invernale, o godersi gli speciali tramonti sulla campagna circostante.
    Vieni a Montecalvo o gentile turista, e scoprirai la storia di Vincenzo e Felicetta.
    Nel lontano seicento, le ragazze erano solite cogliere il Cardo di S. Giovanni, per quelle che lo trovano fiorito era foriero di un fortunato matrimonio. Così avvenne per Felicetta. Vincenzo era contrariato ed inquieto per l’ amore per Dio, la natura, l’ arte e per l’ amore sponsale.
    Ma doveva fare i conti con le credenze popolari e l’ ignoranza della gente, ancora oggi si sente l’ eco degli sfottò della gente che al passaggio del prete mormoravano alle spalle:
    “Angiolina è sconsolata / che don Diego l’ha lasciata / Agostino poveretto / Ha finito con le pezze / Chi l’altare manomette /Se ne aspetti le saette”
    Il promesso sposo di Angiolina, futura moglie di D. Ciolla era il notaio D. Agostino
    Il sacerdote artista, fedele alla sua coscienza, chiese di essere dispensato dal sacerdozio, e ridotto allo stato laicale, convolò a nozze con Angiolina, ma la sorte aveva stabilito diversamente. Sia la madre che la figlia morirono lo stesso giorno, e quando vestirono la defunta con il suo abito da nozze, nel corpetto trovarono una pezzolla dove aveva conservato il cardo fiorito, ma macchiato di sangue. La credenza popolare interpretò quel cardo macchiato di sangue come foriero di tristi sciagure. E cosi successe.
    Foto corpo testo: paliotto in scagliola policroma di Vincenzo Ciolla - Secolo XVIII [Nativo]

    [Cavalletti G.B.M., Il cardo di San Giovanni,  L’autore libri Firenze, 1994]

    Giovanni Orsogna

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    Pompilia Maria Caterina Cavalletti – Il sordomutismo

    Pompilia Maria C. Cavalletti.  Prima donna di Montecalvo autrice di un libro a stampa

    [Ed. 24/05/2022] Montecalvo Irpino AV – 1922 – 2022 CENTO ANNI FA VEDEVA LA LUCE IL PRIMO LIBRO SCRITTO DA UNA DONNA DI MONTECALVO
    Per i tipi della “Tipografia Cav. Uff. G. De Martini” in Benevento, LA MONTECALVESE POMPILIA MARIA CATERINA CAVALLETTI PUBBLICAVA “IL SORDOMUTISMO E LA SUA RIEDUCAZIONE IN RAPPORTO ALLA PEDAGOGIA”.
    Nata a Montecalvo il 26 novembre 1900 da Giuseppe e Rosa Spinelli di Faeto, Pompilia Cavalletti studiò presso la “Regia Scuola Normale femminile Eleonora Pimentel Fonseca” in Napoli e presso il “Collegio Sant’Anna delle suore dello Spirito Santo” in Ariano Irpino conoscendo personalmente la Serva di Dio Madre Giuseppina Arcucci, cofondatrice, con il vescovo D’Agostino, dell’ordine religioso delle “Suore dello Spirito Santo”.
    FU LEGATA DA STRETTA AMICIZIA CON LA NOBILDONNA MARIA PIGNATELLI DI MONTECALVO, FIGLIA DI CARLO E MARIA MADDALENA FESENK, L’ULTIMA COPPIA DEI DUCHI PIGNATELLI CHE ABITO’ IL CASTELLO MONTECALVESE.
    Una copiosa corrispondenza epistolare intercorsa con l’amica, a sua volta intima della regina d’Italia Elena di Savoia e che divenne suora carmelitana e madre Priora del monastero di Vetralla, è conservata presso l’archivio Cavalletti di Montecalvo.
    Il 5 agosto 1934 sposò Samuele Maria Maraviglia di Casalbore, esponente della nobile famiglia casalborese, discendente dei Meravigli di Milano, da cui nacque la figlia Colomba.
    Fu docente di scuola primaria prima in Montecalvo e poi in Casalbore ove fu fiduciaria di quel plesso scolastico per circa un cinquantennio.
    SI SPENSE IN CASALBORE IL 25 GENNAIO 1989.
    Immagini: archivio Cavalletti

    [Cavalletti P.M.C., Il sordomutismo e la sua rieducazione in rapporto alla pedagogia, Tipografia Cav. Uff. G. De Martini – 1922]

    Giovanni Bosco Maria Cavalletti

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    The road from Ariano Irpino – Louis A. de Furia

    [Ed. 00/06/2003] Quest’opera di Louis A. de Furia è effettivamente un tentativo riuscito di risuscitare persone, fatti e posti di cui nessuno prima aveva scritto in modo impegnativo. Sinora non era possibile neanche pensare che fossero mai esistiti. Nessuno aveva mai considerato quelle persone, fatti e luoghi – e questo è preoccupante – come materiale degno di narrativa, sia nella nostra Irpinia che in quella piccola comunità americana che fa risalire le proprie origini sino a una sconosciuta e montuosa zona del Sud d’Italia… Grazie a Dio esistono ancora in Irpinia le fonti della tradizione orale: canzoni e racconti del folklore, credenze religiose e superstizioni, oltre che storie di famiglia ben documentate. Sono questi gli elementi che il cugino Luigi ha amalgamato meravigliosamente insieme. Ecco qui un romanzo storico in cui persone e fatti, che altri scrittori disdegnano, assumono vita miracolosamente, apparendoci memorabili e degni di affetto. E, al mio orecchio di italiano, questa prosa, e specialmente il giro delle frasi (anche se in inglese e riportate in forma di discorso indiretto dei vari personaggi) evocano il modo di parlare dei miei genitori, dei vicini di casa e degli amici perduti. In breve, tutte le particolarità linguistiche della mia terra d’origine, dove il dialetto viene ancora parlato quando uno vuole esprimere affezione e amicizia. [Continua] [Nativo]

    Mario Sorrentino

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    La comunità Romana di Tressanti

    [Ed. 24/08/2003] Ho trovato sul sito “Irpino.it” di Montecalvo Irpino, curato egregiamente da Alfonso Caccese e Francesco Cardinale, l’informazione sul ritrovamento, come possiamo dire?, non abbastanza recente (si tratta del 1911), di un cippo funerario romano a Piano di Anzano, in località Tressanti di Montecalvo. Per quanto abbia cercato, mi pare che, da allora e sino ad oggi, quel ritrovamento così importante non abbia suscitato echi. L’epitaffio inciso sul cippo è questo:

    OFILLIA QVINTILLA HAVE ET TU QVI
    LEGIS HAVE

    SI NON FATORUM PRAEPOSTERA  IVRA
    FVISSENT MATER IN HOC TITVLO
    DEBUIT ANTE
    LEGI

    E’ un bellissimo, commovente epitaffio. E il benemerito e fortunato ritrovatore, il quale provvide subito ad informare gli studiosi dell’epoca, fu  Nicolamaria Lanza, nostro compaesano. Si tratta di una ragazza sfortunata, forse morta di parto (il suo primo, evidentemente, se non poté essere chiamata madre). Traduco letteralmente: “Salve Ofilia Quintilla / e salve anche a te che leggi. / Se i fati non fossero stati stravolti / si sarebbe dovuto leggere / madre / a capo di questo epitaffio.”