Editoria

  • Editoria,  Fascismo,  I confinati,  Il nostro passato,  Storia

    DAL FASCISMO AI COMMISSARI CIVICI

    LA MEMORIA RESTITUITA

    È il primo volume della serie “La memoria Restituita”, la cronistoria dal 1920 ad oggi di un paese interno della provincia di Avellino. Proprio per questo “isolamento” il paese fu scelto per l’internamento di tanti oppositori sloveni. In questo volume sono state inserite schede dettagliate di quelle sfortunate persone ricostruite grazie alla collaborazione della figlia di un internato: Bogomila Kravos di Trieste. Non solo. Si riscoprirà il modo di vivere dei residenti durante il fascismo e nel dopoguerra. Il progresso sopravvenuto. I personaggi che emersero col regime mussoliniano. Si verrà a conoscenza di un professionista eccelso, il montecalvese On. Gustavo Console che fu ucciso dagli squadristi a Firenze, per le sue idee contrarie. Si verrà a conoscenza della nascita dei partiti politici e delle lotte proletarie. È inserito anche l’eroico gesto di un maresciallo dei Carabinieri, Gaetano Nastri che, per salvare dalla fucilazione da parte di un sottufficiale tedesco nel periodo dello sbandamento post armistizio, facendo scudo con il proprio corpo, ammazzò il teutonico salvando tante vite umane.
    [Crediti│Il testo è tratto dall'Abstract del volume]

    Redazione

    [Bibliografia]
    [M.Aucelli, Dal fascismo ai commissari civici, Irpinia Libri, Monteforte Irpino AV, 2011]

  • Cultura,  Editoria

    LA MALVIZZA – INTRODUZIONE

    Mario Sorrentino
    La Transumanza, le Bolle, il Grano

    [Ed. 00/00/0000] Nell’introdurre questa parte prima, e di riflesso l’intero scritto con il quale Alfonso Caccese ed io abbiamo voluto tracciare in grandi linee la storia della contrada Malvizza del nostro paese, sento di dover chiedere scusa di una libertà che sto per prendermi. Sta di fatto che mi servirò come Incipit di un testo il quale per certi versi contrasta con lo stile ed il taglio formale che di solito si adoperano in scritti di genere storico.

    Stiamo, in effetti, perseguendo un progetto graduale con cui vogliamo valorizzare di volta in volta una contrada del nostro paese [1], mettendo in rilievo e divulgandone gli aspetti del passato che siano oggi ancora validi e, magari, fattori di arricchimento culturale e civile anzitutto della contrada, come pure dell’intera comunità paesana.

    So che è molto difficile far provare ad un estraneo un qualche interesse verso certi luoghi fuori circuito, e, ancora di più far credere alla particolare suggestione che promana da essi, anche se gli abitanti del posto pensano che siano stati importanti, mettiamo, anche per la storia dell’intero Paese. Perciò, io ho pensato, meglio, mi sono sentito costretto a ricorrere ad uno stratagemma per dare una buona scossa agli indifferenti, anche a costo di passare per immodesto: riportare proprio all’inizio uno scritto che potrebbe essere ritenuto di taglio incongruo perché para-letterario. Si tratta, in breve, di un sogno ad occhi aperti [2] da me fatto nel visitare il sito archeologico di Aequum Tuticum, il quale si trova vicino ma, per la verità, al di fuori del confine amministrativo della nostra contrada Malvizza; anche se, è ovvio sottolinearlo, Aequum Tuticum era un tempo un punto di irraggiamento politico – culturale non soltanto per la nostra contrada ma anche per un vastissimo territorio, essendo probabilmente stata quella città una delle diverse capitali federali del Sannio antico.[3]

  • Editoria,  Storie di Emigrati

    AMORE ROMANTICO AL TRAPPETO

    Mario Sorrentino

    Trappetto – Anni ’60 del 1900

    [Ed. 21/06/2008] Redatta la scheda informativa precedente per motivi di copyright, mi piace presentare un altro brano del romanzo di Louis A. De Furia, con la speranza di fare cosa gradita agli amici di Irpino.it . Vi si narra di un colpo di fulmine scoppiato giù al Trappeto, verso la metà del XIX sec. tra il mio bisnonno da parte materna Placido De Furia, originario di Ariano, e una bella ragazza del Trappeto, Anna Di Florio, figlia di Antonio, destinata a diventare poco dopo mia bisnonna.

    L’ambiente umano del racconto non riguarda la classe dei contadini, che costituiva la stragrande maggioranza degli abitanti del Trappeto, ma quella dei piccoli commercianti e degli artigiani (i masti), spesso imparentata con la precedente, anche se, detto senza nascondere ipocritamente la verità, da quella classe bistrattata gli altri prendevano le distanze. Nel brano questa verità viene un po’ nascosta dalla ricostruzione fatta in ambiente di emigrazione, in cui si è sempre stati portati, per ragioni ben note, a vantare origini non umili, spesso edulcorandole alquanto. Quanti emigrati di seconda e terza generazione, in America o in altri paesi, ammettono tranquillamente che i propri ascendenti scapparono dai paesi di origine perché morivano di fame?
    Agli amici del Forum che rivendicano con orgoglio l’origine trappetara, dico che anch’io ho un legame con quel nostro sventurato quartiere, oltre che per motivi di attrazione estetica e di interesse per la nostra cultura tradizionale più autentica, anche per un legame di ascendenza familiare che ho scoperto di avere soltanto leggendo il romanzo del cugino Louis De Furia.
    Informo inoltre che i brani tradotti in precedenza sono reperibili con ricerca libera in “Cultura e Tradizioni” del precedente sito di “Irpino.it”, curato da Alfonso Caccese.

    Una fredda mattina ventosa, sotto un cielo coperto, Minguccio Tedesco e il suo apprendista scendevano per Via Monte con destinazione il Trappeto. C’è da scommettere che avrebbero preferito entrambi restarsene a casa al caldo. Camminavano in silenzio, tenendosi strettamente avvolti i vestiti addosso, per ripararsi dal vento che s’infilava ululando tra i palazzi ornati di stucco. Camminavano in fretta rasente ai muri, cercando di trovare un po’ di protezione dal vento pungente. Le folate divennero più insopportabili e Minguccio si ravvolse meglio che poté nel largo mantello di lana, tirandoselo davanti alla faccia…

  • Cultura,  Editoria,  Storie di Emigrati

    Presentato il libro di Arturo De Cillis “My name is Pumpilio”

    [Ed. 18/08/2008] Montecalvo Irpino AV – Nella cappella della casa natale di San pompilio M. Pirrotti, organizzato dalla redazione della rivista “Disputationes Pompiliane” alla presenza di un folto pubblico è stata presentata l’opera del Dott.Arturo De Cillis dal titolo “My name is Pumpilio” una raccolta di circa 1500 schede monografiche di cittadini montecalvesi emigrati negli Stati Uniti tra il 1892 e il 1924.
    L’introduzione è stata affidata al Prof. Alberto De Lillo che ha letto un saggio breve scritto dal nostro concittadi Mario Corcetto, su uno spaccato della vita di emigranti montecalvesi in Svizzera. Di seguito il parroco Don Teodoro Rapuano ringrazia il Dott.Arturo De Cillis per la sua presenza e per la sensibilità dimostrata nel donare le intere copie del libro alla comunità parrocchiale che le ha messe in vendita per ricavarne utile per il completamento del “MUSEO DELLA RELIGIOSITA’ MONTECALVESE E DELLA MEMORIA POMPILIANA”. Interessante l’intervento di Padre Martino Gaudioso che si è soffermato sull’importanza della conoscenza del passato e soprattutto sulla conoscenza delle proprie origini. Atteso e applaudito l’intervento dell’autore che spiega come e perchè ha realizzato l’opera, essendosi di persona recato negli Stati Uniti e precesiamente ad Ellis Island, punto di arrivo e raccolta per tutti coloro che volessero entrare nel nuovo mondo, a raccogliere le schede riguardanti i nostri concittadini. Al termine della manifestazione la proiezione di un filmato dell’Istituto Luce sul terremoto del 1930 che distrusse buona parte del paese e l’incontro con il Dott. Arturo De Cillis impeganto ad autografare numerossime copie del libro acquistate dai presenti alla manifestazione. [Nativo]

    Redazione

  • Editoria,  Il nostro passato,  Storie di Emigrati

    Montecalvo Irpino 1943 – 45: Ricordi di un ragazzo di allora.

    Mario Sorrentino

    [00/00/0000] Su ogni cima delle colline che circondano la valle c’è un paese, meno che sull’altura dominante verso nord, che è una montagna vera e propria di circa mille metri. Era dall’infanzia che desideravo andare lassù per scoprire i monti e i paesaggi che essa nasconde a chi guardi l’orizzonte dal mio paese, che è posto a un’altezza più modesta. Quando finalmente scalai il monte, se questo è il verbo più adatto, visto che ero arrivato comodamente seduto in macchina a un quarto d’ora di cammino dalla cima, non fu la visione dei lontani, azzurrini monti  dell’Abruzzo a colpirmi di più, diafani e indistinti nella foschia, ma quella del mio paese, che mi appariva non più  aggrappato al suo cocuzzolo come un presepe, ma schiacciato su un piano a circa trecento metri più in basso. Nell’aria tersa riconobbi tutte le sue strade e le case, le macchie degli orti e le piazze. Avevo ripensato lassù alla mia infanzia, mentre percorrevo con lo sguardo quella  mappa inaspettata; perciò vedendo lampeggiare nella mente un volto che mi era stato caro, mi venne l’idea di cercare tra le tante altre case ormai a me indifferenti una in particolare. Dopo parecchi errori d’orientamento riuscii a rintracciarla ai piedi della pineta. Lì aveva abitato la mia maestra delle elementari. La vista di quella abitazione, una delle tante case veramente piccole che sarebbero dovute servire da rifugio provvisorio per i senzatetto di vari terremoti, ma che sempre sono rimaste occupate tra un sisma e l’altro sino ad oggi, e il nome che subito vi appiccicai mi fecero tornare in mente un episodio che credevo fosse svanito per sempre. Dovevo subito trovare un angolo tranquillo, fregarmene di impegni e appuntamenti e forse avrei potuto recuperare con qualche ordine la storia della maestra e di altre persone che insieme a lei aspettavano di rivivere nel mio ricordo.  Scesi in fretta al paese che sorge a mezza costa di quella stessa montagna, e lì, seduto al tavolino di un bar, cominciai a buttar giù in gran furia, con una biro che a un certo punto smise di scrivere, quanti più nomi, date e circostanze potevo, a mano a mano che riemergevano dal buio della dimenticanza.

  • Editoria,  Gastronomia

    Ricette del borgo antico di Montecalvo Irpino

    Questo opuscolo ha lo scopo di tramandare le ricette di piatti antichi, al fine di tenere viva la tradizione di Montecalvo Irpino in Provincia di Avellino, paese adagiato sulle colline dell’Irpinia che si affaccia sulla Valle del fiume Miscano.La pubblicazione, oltre a dare precise indicazioni circa il quantitativo degli ingredienti e le modalità di cottura di ogni piatto, dà preziosi suggerimenti sulla qualità degli stessi ingredienti attraverso l’esperienza di Guido Altieri acquisita negli anni mediante un proprio particolarissimo modo di ricercare il meglio tra i tantissimi prodotti di cucina presenti sul mercato. La sua conoscenza storica rappresenta un momento altamente qualificante per il recupero documentario del patrimonio culturale montecalvese. Da queste considerazioni è nata l’idea del presente opuscolo dalla piacevole lettura, suddiviso in capitoli di facile consultazione. Ci proponiamo di dare testimonianza dei nostro passato in quanto responsabili continuatori, ma anche qualificati e coscienti protagonisti della nostra storia.

    Liliana Monaco

    [Bibliografia di riferimento]
    [G. Altieri Ricette del borgo antico di Montecalvo Irpino, Pro Loco Montecalvo Irpino APS, 2023]

     

  • Editoria

    Streghe, cavalieri e fanti, sacri serpenti, monaci, pellegrini e santi.

    Abstract

    G.B.M. Cavalletti/R. Patrevita

    Tra il 108 e il 114 d. C., per volontà dell’imperatore Traiano, nasce una delle strade che per la sua straordinaria funzione di collegamento tra la Campania e la Puglia e, quindi, tra l’Italia e i principali porti d’imbarco verso l’Oriente, segnò, come poche altre, entrambi i millenni dell’era cristiana.
    Partendo da questo oggettivo dato storico il volume evidenzia la rilevanza degli insediamenti dislocati lungo la direttrice della via Traiana con particolare riferimento alla centralità di Benevento, punto di partenza e di arrivo della stessa via consolare.
    Fu questa la circostanza che offrì al capoluogo sannita l’opportunità di riappropriarsi, nel Medioevo, del ruolo di capitale che aveva dovuto lasciare dopo la conquista romana.
    Erede e custode, dopo la capitolazione di Pavia, del patrimonio politico e culturale dei Longobardi d’Italia, ed unico baluardo alle vittoriose campagne belliche di Carlo Magno, la città di Benevento accentrò in sé la forza del nordico popolo mutuandola, in una sorta di sincretismo magico religioso, con l’eredità sannita e romana.
    Di qui la nascita ed il propagarsi della magica tregenda delle streghe, che intorno al terrificante albero della tradizione imparavano da Satana ogni sorta di maleficio.
    Fu a Benevento che papa Pasquale II approvò l’ordine dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, la cui instancabile e leggendaria attività di perlustrazione della Via Traiana, in difesa dei deboli e dei pellegrini in marcia verso la Terra Santa, segnò l’inizio di un processo di crescita morale e spirituale che, ispirata agli insegnamenti evangelici, diede un notevole contributo all’unificazione morale e politica della nuova Europa.

    [Cavalletti G.B.M. –  Patrevita R.,  Streghe, cavalieri e fanti, sacri serpenti, monaci, pellegrini e santi, Bascetta Edizioni, Avellino, 2014]

  • Editoria

    La comunità Romana di Tressanti

    Presentazione

    M. Sorrentino / A. Caccese

    Mario Sorrentino

    [Edito 00/06/2004] Raccogliamo e pubblichiamo questi due scritti così come essi sono stati redatti e lanciati nel vasto iperspazio del Web tramite il sito “Irpino.it”. Scritti che registrano quasi alla lettera, oltreché i primi appunti, anche i dialoghi e i discorsi tenuti prima di tutto tra noi due autori e poi tra noi con altri amici, durante i sopralluoghi nel territorio di Tressanti di Montecalvo, nell’agosto 2003. Segnatamente con Gianbosco M. Cavalletti, Franco D’Addona e Franco Cardinale. La genesi del primo scritto (“Anzano”) è presto detta. Nell’udire un giorno un certo nome, “Anzano”, uno di noi, modesto praticante di linguistica diacronica e di toponomastica, sentì nel suo orecchio uno squillo di campanello. Il proseguimento potrete trovarlo nel primo capitolo della Parte Prima. Nacque così la formulazione dell’ipotesi principale della nostra ricerca. Poi, il linguista, mentre andava a spasso per campi arati in quel di Pratola di Tressanti, inciampò (letteralmente), e così successe anche agli amici ricordati sopra che erano con lui, in una miriade di reperti sparsi tra le zolle. Il linguista, a quel punto, fu sospinto ad invadere il terreno alieno dell’archeologo e , più tardi, anche quello dell’epigrafista latino. Ha fatto bene? Lui crede di aver soltanto supplito alla palese incuria di altri specialisti, forse più fortunati di lui quanto a residenza prossima ai luoghi, ma , molto probabilmente, meno curiosi e amanti della comune terra d’origine. Noi, per un certo verso, abbiamo raccolto il testimone passatoci dai benemeriti nostri antenati, i quali, a partire da poco prima della fine del XVIII sec. (Settecento) e sino ai primi decenni del XX (Novecento), trovarono, decifrarono e denunciarono alle autorità preposte dell’epoca il dissotterramento, a Piano di Anzano e dintorni,  di tanti reperti che noi, in vena di scrivere in modo ricercato, abbiamo chiamato “reperti litici impreziositi da iscrizioni”. Monumenti parlanti che sarebbero diventati subito muti se non fossero stati registrati, dopo la segnalazione dei ritrovatori, nel Corpus Iscriptionum Latinarum (C.I.L.) (v. Vol. IX, registr. con i nn. 1421, 1423, 1431,1434,1446, e altri meno importanti), raccolta edita dal grande Theodor Mommsen. I nomi dei benemeriti nostri antenati che ritrovarono le lapidi con le epigrafi latine sono: il dott. Gaetano Rèndisi (ep. N. 1421, su “Mefiti solvit”), l’arciprete Donato D’Agostino ( ep. n. 1423), Carlo Pizzillo (ep. n. 1434), Giuseppe Pizzillo ( ep. n. 1446), Nicolamaria Lanza (ep. non repertata dal Mommsen, su “Ofillia Quintilla”). (v. APPENDICE)

  • Editoria

    Montecalvo dalle pietre alla storia

    Prefazione

    Alfredo Siniscalchi

    Molto si è scritto su Montecalvo e ritenevo del tutto inutile riproporre ancora un libro.
    Mi sono dovuto ricredere in quanto “Montecalvo – dalle pietre alla storia” non è il ripetere di cose già raccontate, ma è una ricerca insolita, ricca di curiosità, il tutto confortato da una documentazione ineccepibile.
    L’impegno dimostrato dall’Autore è notevole, sia per la raccolta dei dati che per la loro interpretazione in un’ottica indubbiamente insolita.
    Il libro è un’esposizione semplicissima dell’evoluzione storica di Montecalvo Irpino che, partendo dalle vestigia ancora esistenti, giunge alle cause che nel passato hanno dato vita al paese che noi oggi conosciamo.
    La ricerca dell’Autore è stata difficile in quanto gli innumerevoli terremoti che si sono abbattuti sul nostro paese hanno cancellato le testimonianze che ci avevano lasciate le popolazioni succedutesi nei secoli.
    Esistono ancora dei ruderi e l’Autore li richiama: le rovine del Castello e degli Ospedali dell’Annunziata e di Santa Caterina; i palazzi de Cillis e Pirrotti; le chiese di S. Gaetano e di S. Antonio. Ma Giambosco Cavalletti non si ferma ad esaminare le “pietre” del centro, esce dal borgo e nel capitolo VIII analizza i ponti romani di “S. Spirito” e di “Pezza di Cristina”; le “Bolle” della Malvizza; la chiesa di S. Vito; il Castello di Corsano con le chiese di quel feudo.
    Due sono gli scopi dell’opera:
    – corredare il patrimonio letterario montecalvese di un libro semplice, ma completo, che dia almeno un’idea dello sviluppo storico della nostra comunità;
    – educare al rispetto del patrimonio storico-artistico, in particolare i nostri giovani, in un’epoca in cui la conservazione dei beni artistici è compromessa.
    Auguro a quest’opera il miglior successo, in quanto ritengo che il fine propostosi dall’Autore sia pienamente conseguito.
    [Cavalletti G.B.M. Montecalvo dalle pietre alla storia, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1987]

  • Editoria

    Fonti per la Storia di Montecalvo Irpino

    Prefazione

    Carmelo Lepore

    […] I due volumi delle «Fonti per la Storia di Montecalvo Irpino» sono opera di due montecalvesi, che l’amore per il natìo borgo ha indotto, distogliendoli dalle comuni propensioni del nostro tempo, a ricercare, compulsare e, spesso, recuperare polverosi e ammuffiti registri, nell’ansia di conoscere e far conoscere uomini, tradizioni e istituzioni del passato, sottraendoli all’incuria e all’oblio in cui il volger degli anni li aveva immeritatamente inviluppati.

    Essi, a prima vista, sembrano risentire d’una temperie storiografica oggi alla moda, di quella montante corrente della demografia storica, che nell’ultimo decennio in ispecie ha ricoperto, per usare un’affermazione del villani, il valore dei libri e degli archivi parrocchiali come «fonte essenziale per lo studio analitico della popolazione».

    L’opera pur potendo servire come valido strumento a uno storico della demografia, non si propone affatto quale studio delle curve demografiche in Montecalvo. Più semplicemente essa s’inserisce in uno dei più antichi e gloriosi filoni della moderna storiografia, quello cioè della pubblicazione delle fonti, che fra ‘800 e ‘900 (senza con ciò voler pretendere immotivate e ingiustificabili comparazioni, che sarebbero davvero fuor di luogo!) ha conosciuto l’esemplare monumentale delle collezioni dei «Monumenta Germanie Historica» e delle «Fonti per la Storia d’Italia» che in questi ultimi anni ritrova nuova linfa nelle pubblicazioni dell’Institut de Recerche et d’Histoire des Textes».

    Inserita in siffatto filone, l’opera di Lo Casale e Cavalletti risulta, ovviamente, oltremodo ponderosa e tale, quindi, da scoraggiare la massa dei lettori superficiali e frettolosi. Essa non è, e non vuole essere, un’agile sintesi dei vari momenti storici. E’ solo un’opera di consultazione. Lo dimostra chiaramente il suo impianto; lo dimostra soprattutto il secondo volume, incentrato per tre quarti su un’apparente congerie documentaria.

    I lettori frettolosi, quelli che si dilettano di storia locale, possono ben limitare la propria attenzione al primo volume, il più agile dei due, dedicato alla presenza degli Agostiniani in Corsano e Montecalvo, o anche al 3° capitolo del volume 2°, che soddisfa «ad abuntantiam» i curiosi di onomastica montecalvese. Ma il lettore paziente, lo studioso, troverà nell’intera opera molto pane per i suoi denti […]

    […] resta una realtà essenziale e inconfutabile: la realtà del fondamentale contributo che, con queste loro «Fonti», Lo Casale e Cavalletti apportano alla conoscenza storica della terra montecalvese; la realtà del valore incommensurabile che la loro documentazione, sottratta all’incuria degli uomini e all’edacità del tempo, acquista per chiunque in futuro vorrà accingersi a tracciare un profilo documentato alla storia di Montecalvo e di Corsano.

    [Cavalletti G.B.M. – Lo Casale G., Fonti per la Storia di Montecalvo Irpino, Poligrafica Ruggiero , Avellino, 1985]