Il nostro passato

  • Il nostro passato,  Storia

    Conti e Duchi che si succedono a Montecalvo sino a noi

    Palazzo ducale / Abitazione del Duca

    [Ed. 00/00/0000] E siamo al periodo post-aragonese. I tempi erano completamente mutati e le cose politiche del regno erano in ribasso. Questo nuovo periodo, nei primi albori del secolo sedicesimo, si apre con la serie dei vicerè per il nostro regno, ora divenuto una provincia spagnuola. Fino a quel tempo Napoli era stata sede regia: non fu più così sotto il nefasto, malefico, sciagurato dominio spagnuolo – asburghese. Ferdinando il Cattolico, dopo una breve permanenza nel regno fece ritorno nella Spagna, ove la sua presenza e 1’opera sua erano necessarie, affidando per primo, il governo del reame ad un vicerè.

    Carlo V degli Asburgo, prendeva l’eredità delle Spagne, e malgrado le mire di Francesco I° di Francia , dopo la morte di Massimiliano, venne eletto imperatore dai principi della Germania superando ancora con la forza e con l’intrigo tutte le opposizioni che si frapponevano per il possesso di tutti gli stati.

    Quanto al nostro regno, esso mutò del tutto la sua posizione per il mutare degli eventi cennati – ed abbiamo nella storia le triste fasi dei vicerè originari della Spagna , di cui sono ben noti i loro sistemi. Così le nostre provincie meridionali passarono attraverso alternative di soprusi, di feroci dispotismi, di prepotenze, di rappresaglie e di durezze di ogni sorta per un periodo di oltre due secoli.

  • Il nostro passato,  Storia

    Caterina ed Ettore Pignatelli utili Signori di Montecalvo

    [Ed. 00/00/0000] Vennero le vicende tragiche dei baroni e le fatali conseguenze della loro congiura. La situazione creata da Ferdinando I° e da suo figlio Alfonso, determinò una sedizione collettiva e una consociazione dei principali baroni del regno, giurando essi di essere uniti a combattere il re e suo figlio Alfonso, al lora duca di Calabria. A fortificare quell’ accordo il papa Innocenzo VIII, emetteva un breve contro il medesimo re. Ma questi, avvertendo il pericolo, con abilità politica, previa improvvisa pacificazione col papa, seppe far andare a monte ogni cosa.

    Così le cose, apparentemente, tornarono normali per brevissimo tempo, poiché terribili furono le vendette di Ferdinando contro i disgraziati baroni. Tra questi baroni federati, vi fu anche il nostro conte Don Pietro Guevara G. Siniscalco del regno. Naturalmente, quella non fu un’azione separata, ma ebbero l’appoggio delle persone più in vista delle loro terre. La nostra contea lasciò devoluta al re e amministrata da un governatore (Vedi: « La congiura dei baroni del regno di Napoli contro il Re Ferdinando I. » Camillo Porzio – Stampato in Roma nel 1565).

    Alla morte di Ferdinando, anno 1493, raccolse la eredità del regno Alfonso II°, suo figliuolo, che, in anno 1494, per crisi finanziaria del regno, impoverito e spossato dalle guerre e dagli sconvolgimenti, vendeva, la terra di Montecalvo, di Corsano e terre annesse, insieme ai diritti giurisdizionali su le terre istesse, alla contessa di Fondi Caterina Pignatelli ed Ettore, suo fratello.

    Questo punto è di notevole importanza per la storia di Montecalvo, poichè, con i primi albori del l’evo moderno, si scrivevano nuovi fatti negli annali della storia paesana, mentre la vecchia contea arianese si sgretolava perdendo molti territorii. In seguito a tante spese cagionate dalla perdita del regno e dalle spese sostenute per riacquistano, le finanze erano di venute ristrettissime e per sopperire ai bisogni precisi, Re Alfonso II° vendeva varie terre del reame ai baroni napoletani.

  • Il nostro passato,  Storia

    Carlo II° – Re Roberto – I tempi dei di Durazzo – Montecalvo nel trecento storico.

    Roberto d’Angiò

    [Ed. 00/00/0000] Secondo quanto si rileva dalla storia, presa la corona regia Carlo II d’Angiò – l’opera del suo genitore, fu da lui continuata nel regno – così pure dal suo primogenito, Re Roberto – mantenendo nei feudi quasi tutti i favoriti dal padre – e rinnovando la serie dei baroni – conti ed altri feudatari, secondo la necessità.

    Tra i conti, baroni e feudatarii del nostro regno , cui re Roberto impose di seguire il Duca di Calabria, suo figliuolo nella guerra di Toscana , troviamo il « Comes Ariani » che fu iscritto come ammaestrato nell’arte della guerra, in uno ad un gran numero di Conti, baroni e cavalieri provenzali e regnicoli ,anno 1325-1326 – in Registro Regis Roberti.

    Alla di lui morte raccolse l’eredità del regno la sua nipote Giovanna I. Circa il periodo di questa disgraziata regina ,come quello brevissimo del di lei successore Carlo III° di Durazzo, non è agevole riassumere. La fisionomia di questi tempi, la rileviamo dalla storia ,e conosciamo 1’ambiente storico in cui visse la nostra terra, in tutto il trecento. in quest’epoca feudale, la nostra terra fu partigiana degli angioini.

  • Il nostro passato,  Storia

    Battaglia di Benevento – Montecalvo ai tempi di Carlo I°di Angiò

    Carlo I d’Angiò

    [Ed. 00/00/0000] Dai cennati Pontefici furono fatti i primi passi per l’investitura dei regni di Napoli e di Sicilia diversa i sovrani e principi europei per indurli a venire in Italia a difendere le possessioni pontificie e alla conquista della corona. In seguito, le richieste per l’intervento, furono rinnovate dal successore di Urbano, Clemente IV, inviando l’ Arcivescovo di Cosenza Pignatelli ad offrire il regno a Carlo d’Angiò, conte di Provenza, il quale accettando l’offerta fattagli a mezzo dallo stesso arcivescovo ne riceve l’investitura confermata da Clemente.

    Carlo giunse nel porto d’Ostia la vigilia di Pentecoste. Venne in Roma e una turba di signori romani accorse a visitarlo; fu coronato dal Papa e venne sopra Benevento, a capo di un forte esercito pel tratto della via latina Venafro ,Alife ,Guardia Sanframonti , Ponte ed assalite le truppe nemiche, le sgominava.

    L’esercito di re Manfredi non ancora era abbattuto; si accentrò nei pressi di Benevento per contrattaccare gli invasori nemici. Furono inutili tutti i suoi piani guerreschi, poichè ,ivi , Manfredi doveva constatare, ancora una volta , gli intrighi dei baroni napoletani, vedere con i propri occhi il riflesso del tradimento, e pagare con la propria vita i suoi errori.
    Questa sanguinosa e storica battaglia segnava la fine degli svevi in Italia, mentre affermava la dominazione angioina – anno 1266.

    Nonostante il saccheggio di cui parla l’abate Capozzi la terra di Montecalvo non rimase abbandonata. In anno 1276, troviamo che ne era Signore Matteo di Letto e nel 1284 Giovanni Mansella possedeva una certa parte di Montecalvo, il rimanente, probabilmente, appartenne alla Regia Corte.

    Riportiamo i seguenti documenti del R. Archivio – « Nel libro de restitutione bonorum tempore Regis Caroli Primi – nell’Archivio della Regia Camera fol. 130 a t. e 132, si ha Giovanni Mansella marito di Margarita de Tocco, figlia di Bartolomeo e di Perticosa, figlia di Matteo de Litto Signore di Montefalcone e Montecalvo nel 1276.

  • Il Brigantaggio,  Il nostro passato,  Storia

    Montecalvo Irpino e il Brigantaggio

    [Edito 00/00/0000] Giuseppe Schiavone era un contadino di S. Agata di Puglia, che si era dato “alla campagna per non rientrare al servizio militare come recluta della leva del 1860”, e, durante il 1862, come risulta da un attestato del suo Comune, si era reso responsabile di: a) riunione in banda di malfattori, grassazione e sequestro di persona in danno dei fratelli Granato di S. Agata; b) furto di un cavallo in danno di Di Rienzo di S. Agata. Nel 1863 si era reso colpevole di: a) attacco e resistenza alla forza pubblica; b) uccisione di quattro buoi e due muli, incendio della masseria di Lorenzo Mazzo di S. Agata. Inoltre, prese parte ad un massacro fatto nel comune vicino di Orsara, uccise il tenente Lauri della Guardia Nazionale, un capitano e il tenente Paduli; partecipò ai conflitti con il 20° Fanteria ed il 22° Fanteria …un fascicolo dell’Archivio di Stato di Avellino (fascicolo 397 del Tribunale di Ariano) comincia con una relazione di Antonio Zucchetti per i fatti di Giuseppe Schiavone e della sua donna Filomena Pennacchio, commessi nel 1863: “Nel mattino del 23 gennaio 1863 la banda brigantesca capitanata dal masnadiero Giuseppe Schiavone, forte di 30 malfattori a cavallo ed armati, si diresse alla masseria dei fratelli Cristino a Montecalvo. Nelle ore pomeridiane lo Schiavone, con Filomena Pennacchio ed altri due briganti, trasse alla masseria D’Agostino e richiese a lui un cavallo e del denaro, minacciandolo di sequestro. I malfattori intanto, per esser sicuri, sequestrarono il figlio del D’Agostino e lo condussero nell’altra masseria dove stava il resto della banda…

  • Il nostro passato,  Storia

    L’eroicità del Ten. Vincenzo Lo Casale

    COMBATTIMENTI DI SEROBETÌ E DI AGORDAT PRESA DI CASSALA

    Alfonso Caccese

    [Ed. 00/01/2004] Il 21 Novembre 1888, con il grado di Tenente del 1° reggimento Cacciatori del corpo speciale d’Africa, partiva per la campagna d’Africa il nostro concittadino Vincenzo Lo Casale. Nato a Montecalvo Irpino il 12 ottobre 1856 da Luigi e da Sanità Diomira, aveva preso in moglie, l’8 marzo 1897, la Signora Clelia Zanetti.
    In Africa, prese parte alle campagne del 1888 -89 – 90, distinguendosi per eroicità e valorosità. Il 4 febbraio 1894, veniva decorato con la medaglia di bronzo al valor militare per il combattimento di Agordat, dove si distinse per impeto e coraggio,quando verso la metà del dicembre del 1893 circa diecimila Dervisci mossero da Cassala verso Agordat e giunsero in vista di quel forte il 21 di quel mese, fermandosi tra i villaggi di Algheden e Sabderat. A fronteggiarli corse il colonnello ARIMONDI, governatore interinale della colonia in assenza del generale BARATIERI allora in Italia; aveva a sua disposizione il battaglione Fadda, il battaglione Galliano, lo squadrone Asmara (cap. FLAMORIN), lo squadrone Cheren (cap. CARCHIDIO), la batteria Ciccodicola, la batteria Bianchini e la banda del Barca del tenente MIANI; in complesso 42 ufficiali, 32 uomini di truppa italiana, 2106 ascari, 213 cavalli e 8 cannoni, oltre la compagnia Persico con le bande dell’Acchelè-Guzai, in marcia verso Agordat. Comandante in seconda era il ten. col. CORTESE. Verso il mezzogiorno del 21 dicembre 1893 l’ ARIMONDI fece muovere all’attacco l’ala destra, ma questa, sopraffatta dal numero dei nemici, dopo un furioso combattimento, dovette ripiegare ordinatamente, lasciando una batteria e costringendo al ripiegamento anche l’ala sinistra. Verso le ore 13 però, entrate in azione le riserve, gli italiani passarono al contrattacco, respinsero i Dervisci, riconquistarono i pezzi e, dopo sanguinose mischie, misero in rotta completa il nemico, che fu inseguito per alcune ore.
    Brillanti furono i risultati della vittoria: i Dervisci lasciarono sul terreno 1000 morti, 72 bandiere e oltre 700 fucili; gli Italiani tre ufficiali morti, due feriti e 230 uomini di truppa morti e feriti. Fra i nemici morti si annoverò l’emiro Ahmet M, comandante supremo. Per togliere ai Dervisci un’importantissima base d’operazione contro la Colonia Eritrea, il generale BARATIERI decise di assalire Cassala, sebbene questa città non fosse compresa nella nostra zona d’influenza, e il 12 luglio del 1894 radunò ad Agordat il corpo che doveva operare, composto del I Battaglione Indigeni del maggiore TURITTO (3 compagnie coi capitani SEVERI, SPREAFICO e SANDRINI), del II Battaglione Indigeni del maggiore HIDALGO (5 compagnie coi capitani MARTINELLI, BARBANTI, MAGNAGHI, ODDONE e il tenente BERUTO), del III Battaglione Indigeni del capitano FOLCHI (3 compagnie coi capitani CASTELLAZZI e PERSICO e il tenente ANGHERÀ), della 2a compagnia Perini del IV Indigeni, dello squadrone Cheren (cap. CARCHIDIO), e della sezione d’artiglieria del tenente MANFREDINI, in tutto 1600 uomini, dei quali 56 ufficiali e 41 uomini di truppa bianca; in più 145 cavalli, 250 muli e 183 cammelli.

  • Il nostro passato,  Storia

    Pagine di Storia Civile

    Montecalvo – Ariano ed altre terre saccheggiate dai saraceni di re Manfredi

    [Ed. 00/00/0000] Da una Bolla di papa Urbano IV
    Urbanus Episcopus Servus Servorum Dei – Universis nostris et Ecclesiae Romanae coeterisque Cristifidelibus, salutem et Apostolicam benedictionem.
    Olim in die Coenae Domini proximo praeterito quo videlicet annis singulis apud Sedem Apostolicamde universis Mundi partibus innumeralibilis Fidelium convenit multitudo Manfredum quondam Principem Tarantirnum super certis articulis praesente ipsa multitudine manifeste citavimus ut in Kalendis Augusti proximo praeteritis coram nobis per se, vel per solemnes Procuratores cum sufficienti mandato comparere curaret, facturus e recepturus super illis quod iustitia suaderet; vìdelice super destructione Civitatis Arianensis, quam per Saracenos fecit funditus dissipari, et super interfectione turpissima Tomasi de Oria, et Tomasi de Salice, ac super crudeli et proditiosa occisione Petri de calabria comitis Catanzari, et horrenda effusione sanguinis multarum fidellum, nec non super eo quod in derogationem auc toritatis Ecclesiasticae, vel Censurae, quae fulcimenuum est Fidei, atque robur et ipsius detractioriem Fidei pluribus iam annis sibi fecit, et facit ad publice celebrari, vel quantum in eo est, potius profanari Divina, quod non caret scrupolo haereticae pravitatis. Et citato propter Hoc a fel. record. Alexandro Papa praedecessore nostro, quia in praefixo ei termino, nec post, etiam comparere curavit fuit per praedecessorem eundem
    excomunicationis vinculo ac de causa specialiter innondatus, ect. – Datum apud Urbem veterem III Idus Novembris Pontificatus nostri anno II. » La quale data si spiega per il 6 aprile 1262 – Vedi Sbaraglia – Bullar:  Franciscan: tom. 2 p. 453 – Vedi Annali Eccelsiastici – del Rainaldo – anno 1263 -N. 65.

    Da questa bolla risulta che Ariano fu fatta distruggere da re Manfredi, per mano dei saraceni, perchè partigiana del papa. Si afferma ancora, che S. Eleuterio – un discreto centro abitato – subì la istessa sorte, come pure altri paesi circonvicini sentirono gli effetti funesti del saccheggio e dello sterminio. Circa tale punto noi abbiamo la conferma dai registri angioini – da cui risulta che in questa nostra zona, diversi paesi furono rasi al suolo e messi a ferro e fuoco. Montecalvo, che non era fuori mano – si trovò in analoghe circostanze, e per le medesime ragioni – sentì le orribili atrocità saracene, rimanendo saccheggiata selvaggiamente. Questo particolare lo abbiamo dalla Cronaca del Rev.do Giov: Battista Capozzi, Abate Cassinese – intorno all’anno 1254, regnando papa Alessandro IV. Nè poteva sfuggire ai danni ed a tutto ciò che accadeva a pochi chilometri da essa. Se ben si osservi l’antichissimo Castello feudale – sito nell’ interno del presente palazzo ducale – si vedranno le tracce della devastazione operata. Dopo la riferita di struzione saracenica, non sappiamo altro relativamente alla riedificazione. Dalla Cronaca di Cassino sappiamo solamente  di Ariano, che fu riedificata da Carlo D’Angiò verso il 1265. [Nativo]

    [Bibliografia di riferimento]
    [P. Santosuosso B., Pagine di storia civile di Montecalvo Irpino, Tipografia Fischetti, Sarno SA, 1913]

    Redazione

  • Il nostro passato,  Storia

    Pagine di Storia Civile

    Montecalvo dopo la morte di re Guglielmo II – I re svevi

    [Ed. 00/00/0000] Con la morte di Guglielmo II, i regni di Sicilia passarono in successione – a Costanza normanna, che fu moglie dell’imperatore Errico VI. di Svevia.
    Vennero altri tempi – altri nomi  – altre vicende. Le guerre di quei tempi per ricuperare i regni dotali, l’assedio di Napoli – la sua seconda venuta in Italia per il riacquisto dei regni medesimi – sono fatti che possiamo leggere nella storia generale. – Seguirono i tempi di Federico Il di Svevia, ma per la nostra terra che rimaneva ancora nella terra beneventana, per mutar di tempi e di baroni, nulla o quasi, si era cambiato.
    Nel regno, i Feudi incominciarono ad essere ereditarii a tempo di Federico II nel 1210 — dal quale fu pubblicata la Costituzione: Ut de successionibus – in cui si dichiara essere ereditarii con l’investitura semplicemente. – A tempo di Carlo II di Angiò, nel 1300 cominciarono ad essere ereditarii sotto altra investitura, cioè per gli eredi discendenti dal legittimo corpo: come nel Cap: che inmincia: Considerantes – (Vedi Ubaldo Ubaldini – Della divisione dei Feudi.)
    Le aride cronache del nostro paese poco riportano di rilevante. Siamo sicuri che si viveva la vita di un paese feudale. Relativamente, era un centro notevole a causa dei rapporti che aveva con la vicina Ariano e dei contatti con Apice – Benevento – Buonalbergo – Corsano.
    Nel registro dell’imperatore Federico Il – 25 Dicembre 1239 – tra gli altri baroni che sono nominati – nel giustiziariato di Principato – per la custodia dei lombardi fatti prigionieri di guerra, vi è Matteo di Letto, che fu poi Signore di Montecalvo – come vedremo da un documento del R. Archivio. – Vi è pure Dominus Casalis—Albuli (Casalbore). Intorno a questi tempi, fu pure giustiziere imperiale di Principato e della nostra terra beneventana Tomasio de Montenigro – il quale ebbe il mandato di assegnare i detti prigionieri ai di versi baroni della sua giurisdizione. – Qui notiamo che diviso il regno in Provincie – Montecalvo fu inclusa in prov: di Principato ultra.

    MANFREDI DI SVEVIA. –  Venne il periodo tempestoso e guerresco di re Manfredi, ma i tempi erano quasi cambiati, e volgevano in favore dei Pontefici, preparando nuovi periodi di lotte feroci.Il biondo eroe di Svevia si slanciò alla vittoria con la forza delle armi, per raggiungere la corona di Napoli e di Sicilia.
    Erano in contrasto il principio ghibellino e nazionale contro i guelfi e gli invasori d’oltrealpi. Dopo i primi combattimenti col Pontefice Innocenzo IV, il re guerriero, a capo delle sue milizie, entrava trionfalmente in Lucera – capitale della vecchia Daunia e rocca dei saraceni – accolto festosamente ed acclamato dalla folla a Principe. A varie riprese, continuò le guerre con Alessandro IV – Urbano IV – e nulla valse a smuoverlo dalla sua ostinazione In breve tempo, morirono diversi papi – e non per avanzata età, ma per eccessi di travagli e sostenere un diritto largamente contrastato. Da una bolla di papa Urbano IV,si apprende che Manfredi fece distruggere per opera dei Saraceni la città di Ariano Irpino. [Nativo]

    [Bibliografia di riferimento]
    [P. Santosuosso B., Pagine di storia civile di Montecalvo Irpino, Tipografia Fischetti, Sarno SA, 1913]

    Redazione

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    I Fatti di Ariano nel settembre 1860

    [Ed. 00/01/2004] Le due ricostruzioni storiche dei fatti di Ariano che diffondiamo qui di seguito, ci permettono di avere due prospettive che si completano e correggono l’una l’altra. Nicola Nisco,patriota e conterraneo,liberale della prima ora,fa una narrazione senz’altro veritiera,riportando probabilmente racconti di prima mano dei protagonisti di parte liberale. Egli però era un alto esponente dei ” galantuomini” del Regno che,se ardevano di ideali a riguardo dell’Unità del paese,non potevano o volevano,capire perchè i ” cafoni” la pensassero diversamente da loro sulla questione della terra. Francesco II°, e prima di lui suo padre,Ferdinando,aveva promesso che una famosa commissione centrale nominata per portare a compimento l’eversione ( cioè l’abolizione ) dei feudi,avrebbe ripreso i lavori per la concessione delle terre già feudali ai contadini poveri e ai braccianti,ma con la prospettiva che presto sarebbero arrivati i “piemontesi”, questi temettero che le cose tornassero come prima che il re di Napoli francese,Gioacchino Murat ( il re del famoso decennio 1800-1810),nel 1806 emanasse il suo decreto per l’abolizione dei feudi. Ad Ariano c’era una situazione particolare. Gli arianesi avevano riscattato a caro prezzo le loro terre ( quelle che saranno chiamate di “Campo reale”) dal feudo del Marchese di Bonito. Le terre erano diventate del demanio reale pubblico.Il che voleva dire che i contadini poveri vi potevano fare il legnatico,pascolare, ecc. Evidentemente Campo Reale non era stato ancora ridotto a coltura a grano. Perciò i contadini si atterrirono quando seppero che dei”galantuomini” volevano che il territorio fosse annesso al Regno Sabaudo. I preti sapevano e li avvertirono che in Piemonte non c’era stata l’abolizione dei feudi. Quindi le terre del famoso demanio non sarebbero state più parcellizate per i contadini in una riforma agraria avanti littera, come si sperava di ottenere da Francischiello che prometteva (con l’acqua alla gola) di voler mantenere in vigore la riforma murattiana del 1806. Si spaventarono a morte e fecero un massacro, come racconta Nisco. La storia che invece avessero paura che i liberali “senza Dio” fondessero il busto d’argento di Sant’Oto è una esagerazione dei liberali. Può darsi però che servisse come grido di battaglia per la gente del ” Sauco” di ariano, poveri braccianti facilmente manovrati dal clero. Nisco era nato a S.Giorgio la Montagna (l’odierna San.Giorgio del Sannio)in provincia di Benevento nel 1820.Patriota,fu condannato per i moti del 1848 al carcere duro. Esiliato a Malta nel 1858, rientrò prima a Firenze e poi nel Regno di Napoli,dopo che Garibaldi sbarcò in Calabria.Dopo l’Unità fu ministro dell’Agricoltura. Fu storico degli avvenimenti di cui fu spesso testimone, come si evince dal suo racconto storico. [Nativo] [Segue]

    Mario Sorrentino – Alfonso Caccese