Il nostro passato
-
Ricordo di mio padre Silvestro Siciliano
Angelo Siciliano
[Edito 23/11/2015] Mio padre Silvestro Siciliano (21.11.1924 – 15.11.1949), fu contadino e bracciante comunista di Montecalvo Irpino (Av) e risolse la sua esistenza nel mese di novembre, in cui nacque e morì.
Josif Stalin, protagonista della rivoluzione bolscevica del 1917 e poi dittatore dell’URSS dal 1924 al 1953, si liberò negli anni Trenta di intellettuali, compagni, dissidenti, oppositori e comandanti dell’Armata Rossa, attraverso le terribili “purghe” che fecero almeno 800.000 morti.
La gente scherzava dicendo: “Adda minì Baffone!”. Questo per via dei lunghi baffi di Stalin.
Mio nonno Angelomaria Siciliano (28.2.1882 – 4.1.1939), contadino, che io non conobbi, era il saggio della contrada Costa della Mènola, a Montecalvo Irpino, dove passava tanta gente che andava a lavorare la terra nei valloni. Viveva con la famiglia nel casino di campagna, detto “Casino di Minòcchio”, dal soprannome del commerciante di ferramenta che glielo vendette e che aveva il negozio, “la putéja”, all’imbocco di Via S. Caterina, “Via di la Chjazza di sótta”, dietro la Chiesa del Santissimo Corpo di Cristo, abbattuta assieme al convento di S. Caterina d’Alessandria dopo il terremoto del 1930. “Minòcchio vinnéva puru li ssanguètt” per il salasso di chi stava male e “l’allivàva ‘nd’à la funtana d’acqua ‘ndrijanèddra, da còpp’a l’uórtu”. Come toponimo è rimasto “La funtan’a li ssanguètt”.
Attorno al focolare e durante i lavori nei campi egli raccontava storie lette nel libro ‘I reali di Francia’ dello scrittore medievale Andrea da Barberino, Andrea Mengabotti o Andrea de’ Mengabotti (Barberino Val d’Elsa, 1370 circa – 1432 circa), che probabilmente aveva comprato a Napoli all’inizio del Novecento, in uno dei suoi tre viaggi di andata e ritorno dagli USA, dov’era emigrato per lavoro.
Leggendo questo libro, egli s’ispirò, per il nome di mio padre, alla figura di Papa Silvestro I, papa all’epoca dell’imperatore Costantino dal 314 al 337, fatto poi santo. Se fosse nato femmina, l’avrebbe chiamata Anastasia, come la granduchessa russa (1901-1918), quartogenita dello zar Nicola II e della zarina Alessandra, uccisa assieme a tutta la famiglia per ordine dei bolscevichi. -
Rione Serra intitolato a Cristino
Angelo Siciliano
[Ed. 10/05/2013] L’ex rione Serra di Montecalvo Irpino sarà dedicato al farmacista Pietro Cristino, il primo sindaco di Montecalvo Irpino. Lo ha deciso la giunta esecutiva guidata dal sindaco Carlo Pizzillo. Il dottore Cristino fu commissario civico dal giugno del 1944 al 6 aprile del 1946; Parlare di Giuseppe e Pietro Cristino, oggi, nell’epoca del crollo delle ideologie, dopo l’implosione dei regimi totalitari dell’Est europeo, ma anche di guerre sanguinose – basti pensare a quella del Golfo Persico e all’altra tra le nazioni dell’ex Iugoslavia – che sicuramente hanno trovato una concausa nel crollo del Muro di Berlino del 1989,che ha segnato la fine della guerra fredda e dei blocchi contrapposti, guidati dalla fine della seconda guerra mondiale rispettivamente da USA ed URSS, potrebbe anche significare andare ad indagare fatti, persone e vicende del Novecento, la cui storia, oltre che non sempre ripercorsa e chiarita adeguatamente e a sufficienza, ci appare distante anni luce. E proprio tale distanza consente che tanti personaggi di primo piano, che hanno fatto la storia civile e sociale del nostro paese, possano essere spesso posti in discussione per le scelte politiche fatte e per il loro operato nel secondo dopoguerra, in quanto hanno contribuito, seppure indirettamente, a quel sistema politico nazionale bloccato, rimasto senza alternativa. Si è parlato e si parla anche di democrazia incompiuta.
La realtà è che per più di quaranta anni ci hanno governato più o meno le stesse persone, realizzando – caso unico tra i paesi occidentali – una sorta di “dittatura” in democrazia, che ha determinato conseguenze assai gravi: invecchiamento e inefficienza delle Istituzioni pubbliche; alcuni fenomeni gravi di collusione tra politica e criminalità organizzata; intere regioni alla mercé di mafia, ‘ndrangheta o camorra che insanguinano il Sud sostituendosi allo Stato come se questo avesse rinunciato alle proprie funzioni; malcostume diffuso della pratica del pizzo e della bustarella per cui, sempre più spesso, la cronaca nera è ricca di casi di burocrati e amministratori locali divenuti essi stessi, in prima persona, i gestori del malaffare. È il “diritto negato” ad alimentare spesso faide tra i malavitosi e comportamenti omertosi anche tra i cittadini. I partiti politici si sono trasformati in qualcosa di diverso da ciò che erano originariamente: da strumenti di democrazia sono diventati organizzazioni di potere. Tuttavia pare che ora qualcosa cominci a cambiare e fasce non trascurabili della popolazione non sono più disposte a concedere la propria delega in bianco ai politici, portati sempre più ad anteporre gli interessi particolari, di pochi privilegiati, all’interesse generale della collettività.
-
Montecalvo Irpino 1930: memorie
[Edito 23/02/2021] A Montecalvo descrivere quel che desta nell’animo mio lo spettacolo terribile della strage di Montecalvo è impresa difficile quanto quella di voler definire quale sensazione di autentico raccapriccio m’abbia pervaso e colpito fin dall’ingresso in paese. Ì proprio in questo comune che la irreparabilità e consistenza del disastro assume veste e colore di tragedia imponderabile. M’inoltro per le deserte strade di questo paese ove manco da un mese appena, e qualcosa mi si stringe ed accartoccia nell’intimo, qualcosa freme nella mia subcoscienza. L’accesso alle strade maggiormente colpite è rigorosamente vietato, stante il gravissimo pericolo d’improvvisi crolli.
Attraversare un Comune devastato, in veste di turisti, attraversarlo come fanno alcuni… necrofili o necrofori che dir si voglia, produce indubbiamente una impressione assai viva. Ma tornare in un paese che si conosce bene, che si è visto altre volte, tornarvi all’indomani di un disastro colossale per vederlo crollato, per sentirlo deserto e per non riconoscervi che dei frammenti, dei residui, delle semplici tracce, è più straziante d’un martirio. Procedo in silenzio, a capo basso, quasi tenga coda all’invisibile corteo di tutte le vittime della notte, mentre ogni cosa, a me d’intorno, ed ogni pietra, parmi trasudi e stilli sangue. -
Le origini dell’antica e nobile famiglia Franco in Montecalvo Irpino
Redazione
[Crediti│Testo: nobili-napoletani]
[Edito 07/10/2021] Le origini dell’antica e nobile famiglia Franco si radicano probabilmente nella presenza politica di Re Guglielmo il Buono sul territorio irpino e che identifica nella figura di Petrus Frànculo (XII sec.), primo feudatario di Mons Calvus (attuale Montecalvo) che insieme a Gugliemo Potofranco per primo amministrò Mons Calvus come riportato nel Catalogo dei Baroni Normanni compilato ai tempi di Guglielmo il Buono e conservato presso l’archivio di Stato di Napoli, il proprio capostipite.“Petri Franculi et Guillelini Potifranci – tenent Montem calvum, quod est feudum quatuor militum et Genestram feudum unius militis –
et cum augumento obtullt milites decem”.A seguito della probabile cessione del feudo la famiglia, stanziatasi stabilmente sul territorio montecalvese scelse, probabilmente per motivi di carattere patrimoniale, di non abbandonare la cittadina perpetuando il suo ruolo di riferimento politico per il popolo nei successivi secoli. L’archivio storico della città documenta la presenza stabile della famiglia sul territorio nel corso dei secoli concedendo una traccia ben delineata nella sua linea genealogica principale degli ultimi trecentocinquanta anni.Tra la fine del 1600 e gli inizi del 1700 la famiglia risulta risiedere nel grande palazzo della piazza Purgatorio, la principale piazza della città attualmente detta “della Vittoria” e solo in seguito, a causa della scissione della famiglia in due ceppi primordiali ossia quello di Domenico e quello secondogenito di Nicola, che alla fine del 1700 Nicola edifica “dirimpetto” al palazzo della famiglia acquistando alcune case di borgata il secondo palazzo Franco ed il giardino riportato negli annali locali come il più bello del paese.
-
Scampò dai forni crematori nazisti
Redazione
[Edito 08/06/2022] Era il 1943 quando Giuseppe Pucino all’età di 22 anni viene catturato dai tedeschi, definito IMI internato militare Italiano, e portato nel campo di concentramento in Germania. Giuseppe trascorre 5 anni della sua vita tra la guerra e il campo di concentramento fino a quando non ritorna a Montecalvo. Giuseppe è uno degli ultimi ancora in vita a poter raccontare le atrocità dell’Olocausto. A 99 anni, Giuseppe è stato insignito, da parte del Prefetto di Avellino Maria Tirone, della medaglia d’onore concessa dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a quei cittadini irpini deportati e internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra. La testimonianza di Giuseppe è preziosa, i suoi occhi rivivono come se fosse oggi l’olocausto, gli occhi di un uomo segnati da quegli avvenimenti custodiscono il ricordo doloroso che lega il passato al presente, l’umanità vive ancora i suoi drammi, cambiano forma, possiamo solo ricordare il male da scongiurare. IL PREFETTO. Nell’accogliente ed affollato auditorium del Conservatorio Statale di Musica “Domenico Cimarosa” era presente il Signor Giuseppe Pucino, da Montecalvo Irpino di 98 anni, cui la platea ha tributato un commosso e riconoscente applauso, nel momento in cui ha ricevuto la medaglia. Dopo l’Inno patrio – in una suggestiva e riflessiva versione per canto tenorile e pianoforte – il Prefetto di Avellino, Maria Tirone, nel saluto introduttivo ha sottolineato «il legame ineludibile tra i due tipi di onorificenze a consegnarsi, la cui motivazione, il cui valore e la cui testimonianza hanno comune fondamento nella dignità del lavoro, nel sacrificio offerto – in pace, come in guerra – da meritevoli cittadini alla Repubblica e nell’impegno a servire solidaristicamente la comunità nazionale». In questi senso, «gli insigniti sono modelli di rettitudine e responsabilità, il cui esempio ed il costante impegno profuso nella loro vita civile diventano – come ebbe a metaforizzare Calamandrei – combustibile per l’attuazione del progetto democratico costituzionale italiano», ha proseguito il Prefetto. «I diritti democratici affondano le radici nella sofferenza, che sia una guerra o la fatica del lavoro, ed è pertanto necessario che ciò sia costantemente rammentato alla comunità, rendendo onore all’impegno di coloro che hanno saputo innalzare la dignità civile personale a giovamento e lustro per la nostra Repubblica». [Nativo]
-
Montecalvo Irpino: confinati politici
Mario Aucelli
[Edito 19/02/2023] I confinati sono stati l’anima del partito comunista, ounque, nella provincia di Avellino.
Al primo Congresso provinciale del PCI del settembre 1944, nella relazione introduttiva di Bruno Giordano, segretario formale del partito, si legge: “E’ stato merito dei compagni internati sparsi un po’ dappertutto nella provincia, quello di aver iniziato e portato a termine con fede e compostezza il lavoro organizzativo in molti comuni, dove forse non esisteva neppure qualche nostro elemento isolato. La loro presenza in queste regioni è stata per noi una vera fortuna, perché senza essi molti comuni, anzi la maggior parte di essi, sarebbero ancora in balia dei fascisti delle vecchie cricche paesane.” (Cfr. Quaderni Irpini- Anno I, n. 1, marzo 1988).I paesi dove si registra la massima presenza di ‘confinati”, sono: Montecalvo, Bisaccia, Flumeri, Lacedonia, Montella, Andretta. Grazie a questi “indottrinatori”, al Referendum istituzionale, alla Costituente e alle Amministrative del 1946 il consenso al PCI sfiora il 50%. A Montecalvo, durante il Fascismo (1941) furono inviate, al contine, diverse “persone indesiderate”. Alcuni di questi internati politici hanno lasciato il segno. Il dottor Giuseppe Camerlengo, con i suoi ricordi “giovanili”, ci ha messo sulle “tracce” di questi ospiti, suggerendoci i cognomi, alcuni dato il tempo trascorso, imperfetti. Grazie alla collaborazione del dirigente, Igino Tufo, e dei suoi validissimi collaboratori dell’ufficio anagrafe del comune, Mario Tulimieri, Marilena Tufo e Anna Argese, consultando schede, registri di morte, di nascita, schede di famiglia, siamo riusciti a ricostruire l’esattezza delle generalità e le date precise di arrivo in paese.
Il primo è stato Concetto LO PRESTI di Angelo e di Prospera Massaglia, nato a Catania il 16 dicembre 1903 e morto il 26 novembre 1973 sempre a Catania, commerciante nel capoluogo siciliano, arrivato a Montecalvo il 4 settembre 1941. Ritornato nella patria d’origine, dopo aver sposato, a Catania, il 12/09/1942, la montecalvese Donna Luisa Maria Concetta Pizzillo (nata a Montecalvo Irpino il 18 marzo 1918, morta a Catania il 30 dicembre 2003), diventò deputato e assessore regionale della Sicilia. A Montecalvo “domiciliava” all’allora albergo gestito dalle sorelle Scoppettone. Dal matrimonio nacquero tre figli: Angelo Francesco, Maria Pia e Gemma. -
Josip Kravos
Bogomilla Kravos
[Edito 21/02/2023] Josip Kravos, nato a Vipavski Križ nell’allora impero Austro – Ungarico il 5 agosto 1909 (il nome Josip fu successivamente italianizzato in Giuseppe, come pure il luogo di nascita in S. Croce di Aidussina). Dopo un’ infanzia segnata dalla prima guerra mondiale (il villaggio si trovava nelle immediate retrovie) segue il duro periodo del dopoguerra. Entro i nuovi confini, che inglobano quasi un terzo della popolazione complessiva di lingua slovena (i due terzi entrano nel neo-costituito Regno di Jugoslavia), le nuove autorità italiane impongono dopo il 1920 l’uso esclusivo della lingua italiana. Vengono soppresse non solo le scuole di lingua slovena, ma anche tutte le attività culturali, economiche e sociali autoctone, confiscandone i beni. L’antifascismo di Kravos nasce come reazione a un sopruso identitario e riflette il sentimento comune della popolazione slovena.Quando nel 1931 si trasferisce a Trieste per motivi di lavoro, trova nel gruppo clandestino sloveno degli štampiharji convergenza di idee e ambizioni: l’operato del gruppo è di chiara matrice antifascista e opera esclusivamente in ambito culturale. Oltre alla propria professione di sarto negli anni ’30 Kravos si dedica al canto, alla musica e all’attività teatrale. Viene arrestato dalla milizia fascista il 5 settembre 1941, e dopo diversi interrogatori con sevizie viene candannato per un numero imprecisato di anni all’internamento nell’isola San Domino (Tremiti), dove rimane dal 27 marzo 1941 al 7 gennaio 1942. Successivamente, per deperimento fisico, viene trasferito e confinato a Montecalvo Irpino. Nei primi mesi divide la stanza con i confinati croati Čedo Žic e Riko Miler, entra in un rapporto di amicizia con altri compagni di sventura, come pure con la popolazione del luogo. E’ molto affezionato a comma’ Maria Giorgione e alla sua famiglia e ama partecipare alla vita sociale, alle processioni e alle diverse manifestazioni del luogo. Nell’estate del 1942 lo raggiunge la moglie Eufrasia Valič con la figlioletta Alenka (nata a Trieste il 28 giugno 1940 e battezzata per problemi razziali Alma). Alla coppia ricongiunta nasce il 16 maggio 1943 il figlio Marco (Marko). Con l’appoggio degli alleati la famiglia Kravos trova la via del ritorno che li porta prima a Bari, da lì in Dalmazia e poi a Trieste. Nelle memorie scritte da Kravos negli anni ’60 c’è poco rancore e tanta gratitudine per i gesti di solidarietà e umanità che ha avuto modo di apprezzare nei momenti più difficili. In un lungo capitolo ha descritto la sua vita a Montecalvo, le usanze del luogo e le persone che ha avuto modo di conoscere meglio. Attraverso gli occhi meravigliati di uno straniero viene descritta una Montecalvo ospitale, fortemente radicata alla terra, ricca di preziose usanze e credenze, con donne che indossano il costume della pachiana, con i suoi piccoli traffici e le sue processioni. Josip Kravos muore nella sua casa di Trieste il 13 aprile 1972 per un ictus cerebrale. [Nativo]
[Bibliografia di riferimento]
[M.Aucelli, Il fascismo a Montecalvo Irpino, Irpinia Libri, Monteforte Irpino AV, 2019] -
Racconti dal Confino delle Isole Tremiti: Josip Kravos
Josip – Giuseppe Kravos (S. Croce di Audissina 5 agosto 1909 – Trieste 13 aprile 1972) viene arrestato il 5 settembre 1940 a Cagliari1, trasferito nelle carceri di Trieste e successivamente “condannato” all’internamento sull’isola di San Domino (Tremiti) dove rimane dal 27 marzo 1941 al 7 gennaio 1942, quando, in seguito a una richiesta di trasferimento per motivi di salute (deperimento psicofisico) viene inviato nella località di internamento di Montecalvo Irpino, in provincia di Avellino. La descrizione del suo periodo di internamento a San Domino è tratta da: Josip Kravos, Moje in vaše zgodbe iz let 1931 – 1945, ZTT-EST, Trst – Trieste, 1975, pp. 73-85.
INTERNAMENTO ALLE TREMITI
L’isola di San Domino era piena di internati di tutte le etnie, italiani, croati, francesi, spagnoli perfino ebrei e zingari. C’erano anche alcuni neri. Ma per metà eravamo sloveni e croati, perlopiù dalla Venezia Giulia. Noi eravamo tutti antifascisti, anche se di diverso credo ideologico.
La maggior parte degli internati politici italiani era composta di comunisti. Erano ben organizzati. Ricevevano notizie e istruzioni dalla terra ferma. Fra loro, il personaggio di spicco era il dottor Eugenio Musolino, persona piena di entusiasmo, sempre ben disposta e molto rispettosa nei confronti degli altri. I comunisti della Venezia Giulia si erano uniti a loro. Non mi ricordo chi fosse il capo tra gli sloveni. Ho sempre un bel ricordo del mio benefattore Rihard Cebron, di Armido Ukmar e del buon Rudi Vilhelm, uomo taciturno.
Tra gli internati comuni c’erano anche dei truffatori, degli assassini, rapinatori e borsaioli. C’era anche qualche cerebroleso. Questi erano stati internati per fare «numero», al posto dei veri delinquenti che invece avevano corrotto i testimoni ed erano riusti a salvarsi. -
Palazzo De Santis
Il monumentale portale De Santis in Via Santa Maria – Secolo XVI – Il palazzo di famiglia è crollato a seguito di eventi sismici.
[…] La famiglia de Santis, di origine spagnola, si stabilì nel Regno di Napoli nel XVI secolo.
Bartolomeo de Santis, con bolla di Papa Pio IV dell’11 febbraio 1562, divenne arciprete della chiesa abbaziale di San Nicola di Bari in Corsano. Nel 1573 era abate della stessa chiesa.
Prospero, figlio di Gaetano e di Rosa Antonini dei baroni di San Biagio, originario del Vallo di Diano (SA), sposato con la signora Diana di Natale dei baroni di San Mauro, dottore in utroque nel 1701, fu celebre medico del collegio di Salerno.
Girolamo, figlio di Prospero e di Diana di Natale, sposato con la signora Rachele Mezzanelli, dottore in utroque nella seconda metà del Milleseicento fu agente generale e viceduca di Montecalvo […]Per gentile concessione di Giovanni Bosco Maria Cavalletti, Storia di Montecalvo Irpino, opera in allestimento.
Redazione
-
IL TRATTURO DELLA TRANSUMANZA PESCASSEROLI – CANDELA
Mario Sorrentino
[Edito 00/00/0000] Il tratturo ai tempi del Sannio antico, oltre che una reale via d’erba che potevano percorrere gli animali, valeva come simbolo dell’unione prima di tutto sacrale e poi culturale e politica delle diverse tribù dello stesso ceppo etnico che si erano andate diversificando nel tempo e nello spazio nelle due culture materiali dei pastori e degli agricoltori.
Era la loro un’economia complementare che permetteva la reciproca sopravvivenza di allevatori e coltivatori in un territorio in prevalenza montuoso, aspro e molto freddo d’inverno, e con scarsi pianori coltivabili non molto fertili. Fondamento essenziale di quest’economia primitiva era perciò l’allevamento che avveniva con lo spostamento alternato in primavera e in autunno di milioni di capi di bestiame (pecore e capre, in prevalenza, ma anche buoi, maiali e cavalli) dai monti alle pianure, e viceversa, attraverso il vasto territorio compreso tra l’attuale Abruzzo e il Tavoliere pugliese.
I tratturi erano vie d’erba su terreni non fangosi aperti molto probabilmente dagli stessi animali che a branchi si spostavano alla ricerca dei pascoli, quando l’uomo del Neolitico si limitava a seguirli per cacciarli. Poi, con il susseguirsi delle varie civiltà (quella appenninica, i Sanniti, i Romani, ecc.) nel territorio attraversato dai maggiori tracciati, la transumanza fu organizzata e sfruttata economicamente, come è avvenuto sino a circa metà del secolo appena trascorso. “Sergenti” al comando dei pastori erano quei grandi e lanosi cani bianchi, selezionati anticamente e utilizzati ancora oggi per guidare le greggi: i cani di razza abruzzese.
Lungo il tratturo sorgevano le stazioni di sosta per il riposo di animali e uomini e per lo scambio di prodotti con gli agricoltori (lana, pelli, carne, formaggi, cuccioli contro cereali, olio e vino, e, su un piano solo per noi più elevato: lo scambio matrimoniale). Si svolgevano in quella occasione anche le varie ritualità ordinarie di tipo religioso (v. scheda su “Le Bolle della Malvizza”), politico e civile che cementavano la federazione delle diverse tribù sannite in tempo di pace. In guerra scattavano altri appuntamenti e riti propiziatori. Le stazioni di sosta erano quasi sempre comprese all’interno degli “oppida”. Piccoli centri urbani caratterizzati da un reticolo di vicoli contorti e stretti per poter controllare il deflusso delle greggi, dalla presenza di sorgenti abbondanti d’acqua, e difese da cinte di mura dette “ciclopiche” (mura di grosse pietre poste in opera a secco), le quali, dove possibile, venivano addossate a rocce, se non erano sostituite magari a tratti da queste quando erano inaccessibili naturalmente a nemici o a gruppi di predatori.
Gli “oppida” (sempre visibili tra loro almeno due a due) scandivano il tratturo in giornate di marcia in base alle esigenze del multiforme mondo di animali e uomini che si spostava due volte all’anno su e giù lungo il percorso, secondo il noto alternarsi “primavera – autunno” e “monte – piano”.