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Ogni anno torna a Montecalvo per riabbracciare mamma Rosa
[Ed. 20/01/2008] Montecalvo Irpino AV – La storia della famiglia Pizzillo scorre tra le dita della signora Fiorella, settima e ultima figlia di Filippo e Rosa, che sfogliano gli album fotografici e i ricordi di una generazione in bianco e nero. Lei è nata vent’anni dopo Antonio, il fratello maggiore andato via di casa che era soltanto un ragazzino, eppure parla di lui come se non fosse mai partito, come se fosse rimasto sempre qui, a Montecalvo. Invece con Antonio che dal 1967 vive in Guatemala sono poi emigrati, uno alla volta, anche gli altri fratelli. Solo Fiorella non ha lasciato il paese e mamma Rosa, che ha quasi novant’anni, e vive ancora nella casa di campagna dove con l’aiuto di papà Filippo, deceduto nell’82, ha allevato la numerosa prole. «L’affetto che mi lega ad Antonio è indescrivibile – ha esclamato la più piccola dei Pizzillo – E pensare che tra me e lui c’è una notevole differenza d’età, eppoi è stato sempre in giro, sempre in viaggio, eppure il nostro rapporto è così affettuoso e saldo. Provo una sincera ammirazione per la tenacia che ha. Mette l’anima in tutto quello che fa». Hanno gli stessi occhi, gli stessi lineamenti, Fiorella e Antonio, che sono poi quelli ereditati dalla signora Rosa che in Guatemala è stata ben cinque volte. Anche lo spirito avventuriero è lo stesso. «Tra tutti i figli che ho – ha affermato la matriarca dei Pizzillo – Antonio è sicuramente quello più legato a me. È un mammone. Mi ha detto che d’ora in poi tornerà spesso al paese perchè vuole stare più tempo vicino alla sua mamma. Un modo per aggirare le distanze e recuperare quel tempo trascorso in fretta, e altrove, in un posto tanto lontano che si fatica pure a trovare su una mappa geografica tanto è piccolo e nascosto in quella sottile lingua di terra che unisce i due continenti americani». E lì che il costruttore Antonio Pizzillo risiede dal giorno del matrimonio con la signora Celia Oliveiro, madre dei suoi due figli, Fabrizio e Alessandro. Quando sfiora le foto di quelle nozze esotiche e solitarie gli occhi chiari di Fiorella si rigano di lacrime. Le vite parallele dei Pizzillo si incontrano a Montecalvo almeno una volta l’anno. Allora tutta la famiglia, sparsa per l’Italia e per il mondo, si ritrova attorno all’arzilla mamma Rosa che benedice figli, nipoti e pronipoti. Nel cuore e nelle parole della mamma oggi c’è soprattutto quel figlio che sta così lontano, quel primogenito che lasciò gli studi per aiutare la famiglia, per portare presto i soldi a casa. «Mio cognato è tenace e determinato – ha affermato Luigi Zarrillo, professore di francese – È un irpino caparbio, e per questo, ma anche per la sua straordinaria intraprendenza negli affari, che ha ricevuto molti riconoscimenti in Guatemala». [Nativo]Il Mattino
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Ha costruito in Guatemala residence
Barbara Ciarcia

Antonio Pizzillo [Ed. 20/01/2008] Nel Paese dell’eterna primavera Antonio Pizzillo ha scelto di passare le stagioni della sua vita. In Guatemala è finito per un inciampo del caso, e per amore della moglie Celia. Per lavoro ha girato mezzo mondo. Nella metà degli anni sessanta, durante un viaggio, incontra quella ragazza dal sangue misto, figlia di un italiano e di una panamense, che cambierà il percorso della sua esistenza. Con lei progetta il suo futuro in una terra esotica e ancora ignota. La parabola di un uomo che si è fatto da solo, e che ha fatto e rifatto il piccolo Stato dell’istmo, inizia però lontano da qui, in una contrada di Montecalvo irpino. Antonio ha tredici anni, e le idee già chiare, quando va via di casa e saluta mamma Rosa promettendole di tornare presto e con tanti soldi. Papà Filippo, agiato proprietario terriero e valoroso soldato al fronte, è stupito dal coraggio di quel primo figlio che non ha visto crescere, ma non si oppone e lo lascia andare. A quel tempo la terra rendeva poco, meglio il mare: e così Antonio partì marinaio su una nave per nove lunghi anni. Seguì il congedo dalla Marina italiana, e di nuovo le faticose trasferte su terraferma come tecnico specializzato per conto dell’Italsider, prima a Genova e a Taranto, poi in Africa per la Snam. Antonio riprese a viaggiare come un nomade fino al giorno dell’incontro fatale con la fascinosa studentessa che lo ha condotto alla scoperta e alla conquista del Guatemala. Il paese delle meraviglie presto fu scosso e rivoltato da sanguinari e spregiudicati dittatori che hanno ridotto la popolazione alla miseria, ma per fortuna non Antonio Pizzillo che è riuscito comunque a realizzare la sua sconfinata opera imprenditoriale. I progetti in cantiere per un nuovo e dinamico Guatemala gli hanno salvato la vita, e lo hanno messo al riparo dai pericoli e dai regimi che pure si sono susseguiti negli ultimi decenni nello Stato amerindo. Lui pertanto, in mezzo alle turbolenze, ha tirato sù villaggi residenziali sulla costa del Pacifico, e li ha battezzati con i nomi di Montecalvo, Buonalbergo, Casalbore. I paesi della sua infanzia, della sua valle, quella del Miscano, che pure ha picchi e crinali morbidi come le sagome degli altipiani latinoamericani. E ancora Pizzillo ha creato una grande scuola privata nella zona residenziale di Ciudad de Guatemala, la capitale del Paese, gestita dalla consorte e dal figlio Alessandro, e centri di distribuzione commerciale, motel, aziende: in una sola parola ha dato lavoro a centinaia e centinaia di guatemaltechi. «Mi ritengo certo un fortunato – sostiene Pizzillo, imprenditore simpatico e vulcanico – ma ho sempre lavorato moltissimo per ottenere risultati gratificanti. Non mi reputo un ricco e ozioso milionario, piuttosto un onesto e infaticabile operaio. La fortuna poi va inseguita e coltivata, specie in un Paese come il Guatemala che ha avuto alterne fortune sociali e politiche». Mentre lo Stato faceva i conti col suo passato e ritrovava la sua giusta forma di governo Antonio Pizzillo produceva, e continua a produrre, ricchezza per sè e per tanti indios che lavorano alle sue dipendenze. [Nativo]
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Riaprono le scuole
Alfonso Caccese
[Ed. 15/09/2004] Montecalvo Irpino AV – Ufficialmente oggi è iniziato il nuovo anno scolastico per tutti gli studenti di ogni ordine e grado. A montecalvo, dopo anni di attesa, finalmente la popolazione scolastica ,questa volta, si è trovata di fronte a delle inaspettate novità. Infatti sono stati messi dalla dirigenza scolastica, anch’essa mutata nella figura del suo primo dirigente, i nuovi locali di Via Palombaro, dove sono state trasferite le classi della scuola elementare. Una struttura moderna e funzionale adattissima alle esigenze degli alunni che oltre ad avere arredi nuovi, avranno a disposizioni anche adeguati laboratori per un miglior sviluppo della didattica. Cambiamenti , anche dal punto di vista del percorso didattico. Infatti con l’entrata a regime della riforma “Moratti”, i ragazzi saranno seguiti nella loro formazione da un maestro ” tutor” che li guiderà nel loro cammino scolastico. Ma tante sono le attività e le novità in cantiere. Agli alunni e ai docenti un appassionato in bocca al lupo. [Nativo] -
Il Cardo di San Giovanni
Prefazione
Giancarla Mursia
Il romanzo si svolge in un piccolo paese dell’Irpinia dalla metà del Seicento ai primi del Settecento.
Vincenzo Ciolla uomo, prete artista, è il protagonista della vicenda narrata con matura abilità dall’Autore alla sua opera prima. Il contenuto, regolato da una pacata armonia di avvenimenti, personaggi, situazioni, figure, incominciate da un personaggio essenziale, è in perfetta, quasi inconsapevole sintesi con la forma asciutta e disinvolta.
Vincenzo Ciolla è veramente esistito e molte sue opere policrome si possono ancor oggi ammirare. Di conseguenza esiste nel romanzo una realtà che viene raccontata e regolata da una fantasia che non si sa dove cominci e dove finisca, tanto i due elementi sono ben controllati e connessi. Questo di Giovanni Cavalletti è un romanzo nell’autentico significato della parola. Una “storia” che prende le mosse da un uomo, don Vincenzo, sacerdote all’inizio, che troviamo preso da meditazioni e riflessioni, pieno di bufere dentro, sconfitto in una guerra che non ha mai dichiarato, all’apparenza normale, burattino in balìa delle occasioni, turbato dal fatto di essere prete, con l’impegno morale di rivolgersi soltanto all’autorità ecclesiastica per mettere a posto la sua coscienza.
Il turbamento controllato e razionalmente esaminato del sacerdote è il punto fermo di tutta la vicenda dove gli altri personaggi, Angiolina, Felicetta, Francescantonio, Agostino e via via gli altri sempre autentici, s’incontrano in una umana e reale situazione di vita vissuta a completare uno spazio temporale di naturale svolgimento.
Forse è il solo don Diego una figura un po’ retorica nella sua modestia arrogante e, in fondo, sprovveduta, ma anche scontata.
Non mancano, nel tessuto narrativo, la descrizione di tradizioni, di usi e costumi che danno un non inutile supplemento alla storia, se mai rafforzandone invece la veridicità e suscitando una opportuna curiosità.
L’atmosfera, il cielo, il freddo, la neve, il terremoto completano, in una rigida economia, lo svolgimento dell’azione che coinvolge il lettore, quasi a sua insaputa. Un romanzo nell’autentico senso della parola. Un bel romanzo. Con i temi di sordida negligenza che viviamo anche nella dimensione letteraria non si può dire quanti se ne accorgeranno. Ma è bene che sia pubblicato nella speranza (o illusione) che qualcuno apra gli occhi e se ne accorga. Poi, se sono rose fioriranno. E se mai, sarà l’autore ad una successiva prova a confermare l’unanime impressione della giuria del premio Montblanc e a rafforzare la convinzione di aver letto, una volta tanto, un bel romanzo.[Cavalletti G.B.M., Il cardo di San Giovanni, L’autore libri Firenze, 1994]
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Montecalvo Irpino – Le origini del nome
Mario Sorrentino
[Ed. 00/07/2003] Stabilire l’origine del nome Montecalvo è compito arduo e complesso. Riferimenti certi non ve ne sono.
Molti hanno provato a dare interpretazioni, a volte anche fantasiose, le più veritiere possibili e le numerose fonti storiche consultate non aiutano a risolvere il problema.
Un’ipotesi semplicistica, ma priva di fondamento storico, vorrebbe il nome derivare dalla mancanza di vegetazione sul colle, un’altra dalla famiglia romana Caldia padrona della collina, ma un’affascinante terza ipotesi potrebbe essere la più veritiera.
Tipica di questo colle e della zona, è, infatti, la coltivazione del grano e la fioritura delle ginestre che hanno in comune un particolare, il colore Giallo, in latino “Galbus”, che in alcune ore del giorno avvolge la collina di magnifici riflessi dorati, donandogli appunto quella particolare colorazione.
Quindi da un ipotetico Mons Galbus (Monte Giallo), con le trasformazioni linguistiche, come ad esempio quella spagnola che trasforma la lettera “b” in “v”, influenza presente ancora nel dialetto Montecalvese, si sarebbe potuto passare ad un realistico Montecalbo e quindi Montecalvo. Ipotesi di certo intriganti, in lotta tra loro ma nessuno in grado di sopprimere le altre, la curiosità resta, solo la continuità nella ricerca storica potrebbe in futuro aggiungere elementi chiarificatori e decisivi per la vera origine del nome.Nuova ipotesi da studi recenti
…E Montecalvo? Il suo nome, cioè. La mia ipotesi, fondata sempre su solidi studi di toponomastica, è che indichi una comunità a cui non è mai stato dato un nome diverso da quello puramente geografico e fisico del luogo, forse perché la nostra comunità fu formata da gente che arrivava alla spicciolata, in fuga da eventi bellici o altri disastri, come terremoti o altro, gente di provenienze diverse, che cercava protezione intorno al castello normanno, dopo il Mille e a più di mille anni dalla fondazione della comunità che mi piace chiamare senz’altro Anzano.
Di posti chiamati “Montecalvo” ve ne sono a bizzeffe in Italia. E meno un altro paio di paesi, tutti posti spopolati e brulli. Uno, Monte Calvello, addirittura ci guarda da sopra Casalbore. Un altro è nei paraggi di Benevento. Un altro nella Daunia. Sono nella quasi totalità luoghi disboscati in varie epoche per fornire legname alle flotte romane, per ottenere erba da pascolo, per la ripresa delle coltivazioni dopo il Mille, ecc. Peccato, perciò, che mai nessuno abbia pensato di dare al nostro paese un vero e proprio nome. Il motivo fondamentale probabilmente è stato che la gente che lo fondò veniva da comunità diverse, aventi diversi nomi, e nessun gruppo poté prevalere al punto di spuntarla con il dare il proprio nome di provenienza,
Queste mie sono ovviamente soltanto ipotesi, per quanto argomentate. Ma dimostrare che sono infondate è altrettanto difficile che dimostrare il contrario. Di fasti storici illustri mi pare che non ve ne siano stati troppi, da noi. Però vi si è acclimatata una gente che non è di plastica, mi pare.
Da uno studio di Mario Sorrentino ( Bologna ) Luglio-2003[Nativo] -
UNA CELLULA TEMPLARE PISANA IN TERRA DI CAPITANATA
G.B.M. Cavalletti
Dagli inediti cabrei della commenda gerosolimitana di Troia, tra le più antiche d’Europa, la clamorosa scoperta che questa fu una fondazione templare della città di Lucca, dipendente dal gran priorato di Pisa. Non si chiamò, in origine, così come la storiografia ce l’ha tramandata, di «San Giovanni Battista di Troia», ma dei «Santi Pietro e Giovanni di Lucca».Troia, Foggia, Manfredonia, il fiume Rivoli, Biccari, Ariano Irpino, Apice e Montecalvo Irpino, furono le sue grance; Calore, Miscano, Celone, Ufita e Carapelle i suoi fiumi; Rivoli e Manfredonia, i suoi porti; il Regio Tratturo Pescasseroli-Candela e la consolare via Traiana furono le sue strade; la valle del fiume Miscano, strategica cerniera tra il nord e il sud della penisola italica, passo obbligato per le avventure crociate e i commerci mediorientali, fu la sua culla; il ponte del Diavolo in Montecalvo Irpino, come sorta di esorcismo detto anche di Santo Spirito, fu la linfa ispiratrice di storie e leggende. Chi volesse approfondire puo’ leggere il mio saggio pubblicato nel n.ro 3, anno 2021, della rivista «l’Universo» dell’Istituto Geografico Militare di Firenze.
Didascalia foto (da sinistra guardando):1 Montecalvo Irpino, ospedale di S. Caterina d’Alessandria – Secolo XII-XIII – prospetto est.2 Stemma dell’università di Montecalvo sormontato dalla croce templare. Particolare dalla pergamena del 23 dicembre 1484 in archivio D’alessio Trancucci Montecalvo Irpino (in basso).3 Montecalvo Irpino – Oasi francescana Maria Immacolata.Formelle gerosolimitane già facenti parte del portale della chiesa di Santa Maria Maddalena in Montecalvo.4 Montecalvo Irpino, chiesa di S. Sebastiano «degli Spagnoli», detta del Carmine – Statua lignea Madonna del parto raffigurante la Vergine della Libera con croci templari nel palmo delle mani.*chi volesse approfondire puo’ leggere il mio saggio pubblicato nel n.ro 3, anno 2021, della rivista «l’Universo» dell’Istituto Geografico Militare di Firenze.
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LI DITTI ANTICHI NUN FALLISCINU MAI (I detti antichi non falliscono mai)
Mario Corcetto
La presente raccolta riunisce 418 proverbi in vernacolo montecalvese, non proverbi “montecalvesi”, perché certamente non tutte le massime raccolte sono state coniate a Montecalvo, anche se comunemente usate nel quotidiano. Larghissima parte di esse credo provenga da paesi e popoli vicini, con cui i montecalvesi hanno interagito in passato. Sono entrati a far parte della nostra tradizione, oserei dire ammesse, non prima di avere subito una sagace selezione da parte dei nostri padri che, in quanto ad acume, non li si può ritenere secondi a nessuno. Nel raccoglierli, ho cercato, con rigore metodologico, di tenermi lontano da ogni contaminazione esterna, dovuta ai contatti con persone provenienti da tutt’Italia, che avrebbe potuto compromettere il lavoro di recupero sperato. Per questo motivo, ho trascritto soltanto quei proverbi che sono assolutamente certo di aver sentito dire a Montecalvo.
E’ stato per me divertente scavare nei miei ricordi ed annotare, man mano che mi sovvenivano, queste massime che, se ne può convenire, sono delle vere e proprie perle di saggezza. Esse, con poche parole, riescono a sintetizzare giudizi, dettami o consigli che derivano da esperienze comuni di vita vissuta. Si tratta di confortanti pensieri di verità, capaci di esorcizzare paure, preoccupazioni ed incertezze, fornendo una chiave di lettura dei fatti umani, stemperandone a volte la gravità con la mera testimonianza del già vissuto. Quasi una sorta di nobilitazione dei fatti ordinari e delle miserie, che possono così assurgere a “cultura”. Li potremmo definire delle istantanee di esperienze, capaci di immortalare un sentire piuttosto che un vedere! Sono tutti belli. Alcuni li ho trovati esilaranti, come la pretestuosa condizione de “Lu mijézzu puórcu miju lu vogliu vivu” (Il mio mezzo maiale lo voglio vivo), altri amari, altri poetici… qualcuno forse un po’ scurrile. Ma tutti profondi e capaci di esprimere e tramandare il sapere popolare meglio di qualsiasi trattato. Oltre ad evidenziare una spesso misconosciuta nobiltà d’animo del popolo montecalvese: “A la casa di lu pizzente nu’mmanchino maj li tozzira” (Nella casa del povero non mancano mai i tozzi di pane): per dire che il povero, più che il ricco, sa essere disponibile verso chi è nel bisogno.
Molti li ho “testati” fuori sede! Ricordo di aver sollecitato una pratica ad un collega di Trento, apostrofandolo dicendo che “La cera si cunzuma e la prucissione nu’cammìna” (La cera si consuma e la processione non cammina). Ai miei diretti collaboratori dicevo spesso: “Ti sacciu piru a la vigna mija” (Ti conosco pero alla mia vigna) per richiamare coi piedi per terra chi tendeva a sopravvalutarsi. Ad un collega che si era venuto a sfogare per l’incauto acquisto di una macchina usata, rivelatasi una fregatura, dissi che: “Lu ciucciu viécchju a la casa di lu fessa móre” (L’asino vecchio in casa del fesso muore). Debbo dire che hanno tutti centrato l’obiettivo! Ho sempre strappato un sorriso ed ottenuto l’effetto sperato.
Citandoli, non ho fatto altro che esportare saggezza, non mia certamente, ma dei nostri avi.
Questi proverbi, spesso in metafora, talvolta in rima, hanno tutti la caratteristica di non stigmatizzare comportamenti, quanto di tesaurizzare le esperienze per evitare che si ripetano gli errori commessi.
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La LAPIDE di contrada PRATOLA
Mario Sorrentino
[Edito 28/03/2011] Lapide apparentemente di marmo, ora scomparsa, ma certamente esistente sino al 3 novembre 2003 (come provano queste immagini). Era usata come coperchio di una fontana abbeveratoio in località Pratola di Tressanti (territorio di Montecalvo Irpino). Delle dimensioni di cm. 40 x 60, recava incisa la seguente epigrafe che non risulta repertata nel Corpus Inscriptionum Latinarum:
“GAVOLEIAE . P . F . R(VFAE)
O . SEPPIO . Q . F . RVFO
EX . TESTAMENTO
ARBITRATV
CRITTIAE . M . F . POLLAE”,
la cui traduzione probabile è “Morto Quinto Fabio Rufo Seppio, per testamento e (successivo) arbitrato di Crizia Paolina, mater familiae, ( la cosa su cui insiste la presente lapide) appartiene a Gavoleia (?) Rufa, pia foemina.”
Questa era l’unica epigrafe non funeraria esistente in prossimità di un ager romano probabilmente urbanizzato ai tempi di Cornelio Silla (I sec. a. C.), in località Pratola di Tressanti (v. Sez. n. ). [Nativo]
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Viaggio nel mondo della politica. Un simpatico incontro
Alfonso Caccese
[Ed. 00/02/2004] Montecalvo Irpino AV – In uno dei tanti pomeriggi mesti e silenziosi ci siamo imbattuti in un gruppo di anziani che seduti su una panchina in piazza Carmine, discutevano di quello che a loro in questo momento interessa di più:lo stato ed il futuro del sistema pensionistico. Incuriositi dal caloroso tono della discussione ci siamo avvicinati e pian piano siamo entrati nella discussione che volutamente abbiamo fatto scivolare su problemi di politica locale. Abbiamo chiesto il loro parere sui comportamenti degli amministratori attuali e se erano soddisfatti del loro operato. Ci hanno risposto,con ampi gesti di rassegnazione,che più di tanto non potevano fare per il paese, vuoi per la scarsa capacità progettuale degli assessori locali vuoi per la grande confusione che regna a livello di competenza provinciale,regionale e nazionale, e che nonostante tutto l’amministrazione guidata dal sindaco uscente Alfonso Caccese è stata di garanzia alla conservazione dei diritti inerenti alla loro condizione di anziani. Su alcuni giovani assessori colorito e netto è stato il giudizio:”songu buoni uagliuni ma non ea cosa loro piglià lu posto di Fonzo”,tradotto per i non montecalvesi :”sono bravi ragazzi ma non è nelle loro capacità sostituire il sindaco Alfonso. A questo punto abbiamo chiesto loro come giudicano il fatto che il sindaco non si possa più candidare. Scrollando le spalle il più anziano di loro ci dice che moralmente la legge è giusta, ma si mostra preoccupato “pi dinta a quali manu amma ii a finii”,non sapendo indicare quale possa essere la persona giusta alla carica di sindaco:“ci stà quaccheduno che ci sape fà pi la gente ma nunnea come l’ati ch’anno diventatu sinnaco”. Di nomi neanche a parlarne sottovoce paventando una discrezionalità di antica data e saggia esperienza. Nonostante l’incontro volga al termine hanno uno scatto,un sussulto e nel momento in cui stiamo per lasciarli ci chiedono all’unisono:”e bbui co’ chi state”, cu’ li russi o cu’ li janchi?”,impreparati nel rispondere all’inaspettata domanda rispondiamo amaramente “cu nisciuno”. [Nativo] -
Il Montecalvo batte la Bisaccese 4 -1
Generoso Maraia
[08/01/2004] Montecalvo Irpino AV – La squadra di mister De Feo doma la Bisaccese ed inizia nel modo migliore il nuovo anno. Per gli uomini di mister Cela la sconfitta di ieri pomeriggio significa abbandonare il sogno di vincere il girone d’inverno. Una partita che gli ufitani hanno saputo interpretare, fina da subito, meglio rispetto ai ragazzi di mister Cela, infatti già al 4pt sono andati in bambola sul contropiede di Zugaro. Fortunatamente sono riusciti a mettere la sfera sul fondo. Ma al 10pt i padroni passano in vantaggio con Musto che chiude nel migliore dei modi la triangolazione con Impronta. Il vantaggio da morale ai padroni di casa e tre minuti più tardi raddoppiano con Melillo, bravo a scambiare con Musto e a caricare il tiro. La Bisaccese accusa il colpo e non trova la forza per reagire lasciando dettare i ritmi di gioco ai padroni di casa che al 18pt vanno vicini al terzo goal con Varricchio, ma Cola non si lascia sorprendere e neutralizza. Al 22pt sono ancora i padroni ad andare vicino al terzo goal questa volta con Impronta. Al 25 gli ospiti si fanno vedere nella metà campo del Montecalvo conquistando una punizione da posizione interessante, ma il tiro di Grippo viene facilmente parato da De Mizio. Al 45’ quando tutti ormai pensano all’intervallo Impronta inventa una delle sue magie calcistiche facendo esplodere l’urlo degli oltre 400 tifosi presenti sugli spalti. Nell’intervallo di mister Cela striglia i suoi ragazzi ed i risultati subito si vedono in campo. Infatti la squadra entra in campo con maggiore convinzione ed incisività ed al 6st Di Pippo accorcia le distanze. Qualche minuto più tardi è Stabile a provarci, ma De Mizio è pronto ad allontanare il pericolo. Al 24st il giovane D’Andrea cambia gioco e lancia Musto dalla parte opposta. Il fantasista arianese si invola verso la porta di Cola, ma viene atterrato. Per il direttore di gara è calcio di rigore. Dagli undici metri si porta lo specialista Impronta che spiazza il portiere e realizza il quarto goal. Dopo il quarto goal la Bisaccese tira i remi in barca e si limita a contenere le volate degli attaccanti di casa. Al 40st, comunque, si rende ancora pericolosa su calcio piazzato con Annunziata. Sul finiere di partita la squadra di casa ha avuto ancora due grosse occasioni per incrementare ancora di più il bottino, ma prima Cola si oppone a Maraio, da poco entrato in campo, e successivamente è il palo a respingere la punizione di Zugaro. Dunque una vittoria meritata per i ragazzi di mister De Feo che hanno saputo dominare e vincere contro un avversario ostico ed imprevedibile. Per i ragazzi di mister Cela le difficoltà provocate dalla neve si sono viste ed il quattro a uno è un’emblematica dimostrazione di quanto il lavoro infrasettimanale sia di vitale importanza. Foto: Generoso Maraia [Nativo]







