Cultura orale
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La leggenda di S.Nicola legata alle Bolle della Malvizza
Mario Sorrentino
Nel posto chiamato Bolle della Malvizza, c’era una volta una taverna. La gente diceva che ci andava a stare di notte soltanto mala gente.
Una sera assai fredda d’inverno, mentre il sole già tramontava, tre uomini si presentarono alla taverna. Il taverniere stava in piedi davanti alla porta, appoggiato a tre balle di fieno. Il più vecchio dei tre viandanti, con la mitra di vescovo sulla testa, un bastone da pastore nella mano diritta, con tanti capelli bianchi intorno alla faccia, e due occhi azzurri lucenti, disse al taverniere: “Dominus vobiscum.”
“Da dove venite e che volete?”, domandò con voce sgradevole il taverniere. Era nero di capelli, alto e grosso e con la barba tanto fitta che quasi non gli si vedevano gli occhi piccoli e rossi di sangue.
“Veniamo dalla Puglia e cerchiamo da dormì e da mangià, pagando il giusto.”
“Per il dormì, sopra la paglia per terra, e per il mangià solo tunninu[1]”
I tre pellegrini entrarono nella taverna e si sedettero intorno al tavolone. Il taverniere sputò in terra e chiamò forte la moglie. La donna arrivò, era una povera donna tutta scapigliata e spaurita. Lui andò e portò il tunninu e la moglie andò e portò il vino. Quando il mangiare e il bere furono in mezzo alla tavola, il vescovo ci stese sopra le mani e pregò. Pregò e pregò, ma così a lungo che i due monaci compagni suoi non ce la facevano più a nascondere sotto il pizzo della tonaca gli sbadigli. Finita la preghiera, il vescovo tracciò un grande segno di croce per aria; e che successe? Il tunninu e il vino si trasformarono in due bei bambini, un maschietto e una femminuccia.
Il vescovo allora si alzò, prese per mano le due creature e uscì dalla taverna, con i monaci appresso. Fece un po’ di cammino e si girò. Segnò un’altra croce nell’aria ed ecco che la taverna, il taverniere e la taverniera sprofondarono all’Inferno.
Il vescovo era San Nicola di Bari, e là, ancora oggi, al posto della taverna, c’è rimasta la terra che bolle sempre.[1] – Carne in salamoia.
[Bibliografia di riferimento]
[Sorrentino M./Caccese A., La Malvizza – La Transumanza, le Bolle, il Grano, edito in proprio, Bologna, 2005] -
Luogo della Memoria
Angelo Siciliano
[Edito 00/00/0000] Da alcuni anni, e per la precisione dal 1987, mi sto occupando di ciò che era la civiltà contadina a Montecalvo Irpino. Dico era, perchè di essa è rimasto poco: ormai qualche frammento che affiora come cunto,detto,filastrocca o canto sulle labbra di qualche anziano che ne è depositario. Tutto è cambiato in paese,ma quella che è irriconoscibile, rispetto ad alcuni anni fa, è la campagna che brulicava di vita, mentre oggi in molte zone essa ha un aspetto selvaggio.E’ cambiato il mondo ed era inevitabile che la cultura orale , fino agli anni settanta,ancora viva e vitale, si avviasse verso un inesorabile declino. Ciò che fino a trenta anni fa era sub-cultura , perchè espressione di una società minoritaria, ha cominciato ad affascinarmi. Gli storiografi che in epoche diverse si sono occupati di Montecalvo, ci hanno descritto le origini del nostro paese e le vicende che vi sono svolte, intrecciate nel tempo con quelle dei nobili che dominavano anche in altre regioni. Io, invece, approfittando delle mie origini contadine, ho scelto la cultura orale. Mi sono calato nella nostra realtà iniziando un lungo viaggio, articolato e affascinante: da un lato una ricerca meticolosa sul territorio per raccogliere fedelmente il materiale folclorico dalla viva voce degli informatori; dall’altro, il recupero e la riscrittura della parte sommersa di essa, non testimoniata, ma vissuta peronalmente o percepita nell’ambiente. Il tutto scritto nel dialetto Montecalvese parlato fino alla fine degli anni Sessanta, che era la lingua dei compaesani dell’Ottocento e si era venuta arricchendo di ben 34 parole inglesi importate dai nostri emigranti di ritorno dagli USA. Montecalvo conserva poco delle sue antiche architetture, a causa dei numerosi terremoti distruttivi che l’hanno interessato nei secoli, ma per ricchezza e cultura può essere inteso come un luogo della memoria, sicuramente degno di grande attenzione. [Nativo]
[Credit│Immagine - "Il ritorno" - Angelo Siciliano]
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Luogo della Memoria
Angelo Siciliano
[Edito 00/00/00] Da alcuni anni, e per la precisione dal 1987, mi sto occupando di ciò che era la civiltà contadina a Montecalvo Irpino. Dico era, perchè di essa è rimasto poco: ormai qualche frammento che affiora come cunto,detto,filastrocca o canto sulle labbra di qualche anziano che ne è depositario. Tutto è cambiato in paese,ma quella che è irriconoscibile, rispetto ad alcuni anni fa, è la campagna che brulicava di vita, mentre oggi in molte zone essa ha un aspetto selvaggio.E’ cambiato il mondo ed era inevitabile che la cultura orale , fino agli anni settanta,ancora viva e vitale, si avviasse verso un inesorabile declino. Ciò che fino a trenta anni fa era sub-cultura , perchè espressione di una società minoritaria, ha cominciato ad affascinarmi. Gli storiografi che in epoche diverse si sono occupati di Montecalvo, ci hanno descritto le origini del nostro paese e le vicende che vi sono svolte, intrecciate nel tempo con quelle dei nobili che dominavano anche in altre regioni. Io, invece, approfittando delle mie origini contadine, ho scelto la cultura orale. Mi sono calato nella nostra realtà iniziando un lungo viaggio, articolato e affascinante: da un lato una ricerca meticolosa sul territorio per raccogliere fedelmente il materiale folclorico dalla viva voce degli informatori; dall’altro, il recupero e la riscrittura della parte sommersa di essa, non testimoniata, ma vissuta personalmente o percepita nell’ambiente. Il tutto scritto nel dialetto Montecalvese parlato fino alla fine degli anni Sessanta, che era la lingua dei compaesani dell’Ottocento e si era venuta arricchendo di ben 34 parole inglesi importate dai nostri emigranti di ritorno dagli USA. Montecalvo conserva poco delle sue antiche architetture, a causa dei numerosi terremoti distruttivi che l’hanno interessato nei secoli, ma per ricchezza e cultura può essere inteso come un luogo della memoria, sicuramente degno di grande attenzione. [La foto è tratta dal volume Album di Famiglia] [Nativo]
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LI DITTI ANTICHI NUN FALLISCINU MAI (I detti antichi non falliscono mai)
Mario Corcetto
La presente raccolta riunisce 418 proverbi in vernacolo montecalvese, non proverbi “montecalvesi”, perché certamente non tutte le massime raccolte sono state coniate a Montecalvo, anche se comunemente usate nel quotidiano. Larghissima parte di esse credo provenga da paesi e popoli vicini, con cui i montecalvesi hanno interagito in passato. Sono entrati a far parte della nostra tradizione, oserei dire ammesse, non prima di avere subito una sagace selezione da parte dei nostri padri che, in quanto ad acume, non li si può ritenere secondi a nessuno. Nel raccoglierli, ho cercato, con rigore metodologico, di tenermi lontano da ogni contaminazione esterna, dovuta ai contatti con persone provenienti da tutt’Italia, che avrebbe potuto compromettere il lavoro di recupero sperato. Per questo motivo, ho trascritto soltanto quei proverbi che sono assolutamente certo di aver sentito dire a Montecalvo.
E’ stato per me divertente scavare nei miei ricordi ed annotare, man mano che mi sovvenivano, queste massime che, se ne può convenire, sono delle vere e proprie perle di saggezza. Esse, con poche parole, riescono a sintetizzare giudizi, dettami o consigli che derivano da esperienze comuni di vita vissuta. Si tratta di confortanti pensieri di verità, capaci di esorcizzare paure, preoccupazioni ed incertezze, fornendo una chiave di lettura dei fatti umani, stemperandone a volte la gravità con la mera testimonianza del già vissuto. Quasi una sorta di nobilitazione dei fatti ordinari e delle miserie, che possono così assurgere a “cultura”. Li potremmo definire delle istantanee di esperienze, capaci di immortalare un sentire piuttosto che un vedere! Sono tutti belli. Alcuni li ho trovati esilaranti, come la pretestuosa condizione de “Lu mijézzu puórcu miju lu vogliu vivu” (Il mio mezzo maiale lo voglio vivo), altri amari, altri poetici… qualcuno forse un po’ scurrile. Ma tutti profondi e capaci di esprimere e tramandare il sapere popolare meglio di qualsiasi trattato. Oltre ad evidenziare una spesso misconosciuta nobiltà d’animo del popolo montecalvese: “A la casa di lu pizzente nu’mmanchino maj li tozzira” (Nella casa del povero non mancano mai i tozzi di pane): per dire che il povero, più che il ricco, sa essere disponibile verso chi è nel bisogno.
Molti li ho “testati” fuori sede! Ricordo di aver sollecitato una pratica ad un collega di Trento, apostrofandolo dicendo che “La cera si cunzuma e la prucissione nu’cammìna” (La cera si consuma e la processione non cammina). Ai miei diretti collaboratori dicevo spesso: “Ti sacciu piru a la vigna mija” (Ti conosco pero alla mia vigna) per richiamare coi piedi per terra chi tendeva a sopravvalutarsi. Ad un collega che si era venuto a sfogare per l’incauto acquisto di una macchina usata, rivelatasi una fregatura, dissi che: “Lu ciucciu viécchju a la casa di lu fessa móre” (L’asino vecchio in casa del fesso muore). Debbo dire che hanno tutti centrato l’obiettivo! Ho sempre strappato un sorriso ed ottenuto l’effetto sperato.
Citandoli, non ho fatto altro che esportare saggezza, non mia certamente, ma dei nostri avi.
Questi proverbi, spesso in metafora, talvolta in rima, hanno tutti la caratteristica di non stigmatizzare comportamenti, quanto di tesaurizzare le esperienze per evitare che si ripetano gli errori commessi.
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Suoni e Sapori della Valle del Miscano con Canti e Cunti Montecalvesi
Sabato 21 gennaio ore 20:00 presso l’Agriturismo Serafino Family presentazione dell’album rievocativo “Canti e Cunti Montecalvesi VOL.1” del cantore Alberto Tedesco.
Durante la serata è possibile degustare i piatti della tradizione contadina della Valle del Miscano i quali saranno raccontati attraverso le parole e i suoni che armonizzano la valle.
In questo piccolo viaggio nel passato ci sarà in formazione acustica la band Rural Jazz “Fujenti” e l’attrice Consuelo Giangregorio.
Il progetto artistico pone come obiettivo principale quello della ricerca delle tradizioni musicali che hanno attraversato il territorio. La Valle del Miscano è stata un crocevia di diverse strade di collegamento tra l’Europa e l’Oriente, questo ha fatto in modo che la nostra terra fosse contaminata da una grande diversità culturale, la quale ha dato vita ad una miscela di suoni, racconti e sapori che caratterizzano tutto il territorio. Un esempio è la cultura abruzzese che grazie alla via della Transumanza (Regio Tratturo) ha inciso molto nella storia musicale della Valle del Miscano.
Canti e Cunti Montecalvesi VOL.1 è un album rievocativo e ricalpesta le tracce lasciate dai nostri avi.
“L’idea nasce dall’esigenza di rendere accessibili a tutti i racconti e i canti della civiltà arcaica contadina Montecalvese, ogni racconto e canto che ho interpretato viene da uno studio sia intellettuale che spirituale che mi ha tenuto coinvolto negli ultimi anni. L’album è composto da nove tracce audio in cui si alternano Racconti e Canti. Per ogni singola traccia ho cercato di mantenere inalterata la terminologia dialettale e le melodie di un tempo, lavoro per me non facile perché si tratta di testi in dialetto dell’800 e di melodie difficili da recuperare, ma grazie al sostegno del prof. Angelo Siciliano e della sua ricerca sulla civiltà arcaica contadina Montecalvese (per me un pilastro portante) e grazie all’aiuto di Francesco Cardinale (ricercatore appassionato di etnomusicologia) sono riuscito ad entrare in una buona prospettiva di studio e di reinterpretazione dei Cunti e dei Canti.
Canti e Cunti Montecalvesi VOL.1 si interseca perfettamente con il progetto musicale “Fujenti”, infatti durante i concerti della band, periodici tra il Sannio e l’Irpinia, i brani eseguiti in stile World Music sono intervallati dai Cunti Montecalvesi.” –Alberto Tedesco voce dei Fujenti.
Durante la serata sarà proiettato un video riassuntivo della ricerca effettuata sul territorio da Francesco Cardinale e Antonio Cardillo (Autori di “Alan Lomax – Passaggio a Montecalvo”) nel corso degli anni, dalla quale il cantore trae ispirazione per la rievocazione
La cena sarà un vero e proprio viaggio nei sapori della Valle del Miscano, un menù ricco dell’Agriturismo Serafino accompagnerà la serata teatro-musicale.
Minestra Maritata
Polenta con “Sausicchio di Pignata”
Ruocchili e Cicatielli
Spezzatino
Dolce
E’ obbligatoria la prenotazione al numero 3356377187 (Nicola Serafino)
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Il Dialetto di Montecalvo Irpino
Angelo Siciliano
[Ed. 24/11/2004] Montecalvo Irpino è situato nell’Alta Irpinia nord-orientale e la sua parlata presenta affinità con i dialetti dell’Abruzzo, del Molise, del Sannio, della Daunia, della Lucania e della Calabria settentrionale, aventi tutti come sostrato l’antica lingua osca, e anche della Sicilia.
Per scrivere i miei testi vernacolari nella parlata montecalvese, appartenente alla vasta famiglia del dialetto irpino, dopo attenta valutazione ho adottato l’ortografia fonetica.
Questa parlata presenta la stessa varietà vocalica dei dialetti delle aree geografiche suindicate. La e tende ad essere muta, come quella francese, e nel finale delle parole s’avvicina al suono della i, come in fémmini (donne). La e aperta, con accento grave, si è conservata, come ad es. nelle parole bèlla, facènni, èriva, èscu, mèle, fèddra (bella, faccende, erba, esco, miele, fetta).
La vocale o può avere due suoni distinti: aperto, ad es. in ‘ncòppa (sopra), oppure chiuso come in cócche (qualche). In finale di parola assume un suono indistinto tra la o e la u, es. dòppu (dopo).
La j è semivocale o semiconsonante ed è associata a delle vocali, come ad esempio nelle seguenti parole: éja, uócchji, vìja, mìju, pilìji, manéja, ruzzéja (è, occhi, via, mio, scuse, maneggia, ruzza).
Presente nel dialetto montecalvese è lo iotacismo, vale a dire quel fenomeno linguistico per cui la j prende il posto di una consonante: quello della b, come nella parole janchijàni, jancu, jastéma, jastimàni (biancheggiare e bianco dal germ. blank, bestemmia e bestemmiare dal lat. blasphemare); quello della d come nelle parole juórnu, jurnàta, jurnatiéru (giorno, giornata e bracciante dal lat.diurnum); quello della f, come nella parole jatàni, jàura, jèttula, juccàni, juccanìzzu, jucchiliàni (fiatare dal lat. flatare, vapore caldo dal lat. flagrum, verga spaccata di salice per intrecciare cesti o legare scope dal lat. flecta, fioccare, forte nevicata e nevicare lievemente dal lat. floccu); quello della g, come nelle parole jatta, jattarùlu, jéffula, jilàma, jilàni (gatta, gattaiola o erba gattaiola dal lat. cattu, pezzetto dal fr. gifle, gelata e gelare dal lat. gelare); quello della h come nelle parole jalìzzu, jàsima (piccola superficie o respiro lieve, sbadiglio, dal lat. halare).
È un finto iotacismo quello relativamente alle parole: jiéncu, jini, jittàni, jittàtu, jónce, jónta, juócu, jussu, justu (vitello, andare, gettare, debosciato, giunco, giunta, gioco, diritto, giusto) che derivando dal latino (juvencus, ire, iectare, iuncu, iungere, iocu, ius, iustu) iniziano già tutte con la lettera j o i; jippóne e jòtta (indumento malridotto dal fr. jupon o dall’ar. ğubba, sottana, e acqua dopo la cottura della pasta dallo sp. jota) che già iniziano per j. -
Il contadino che cantò il 2 giugno
[Ed.00/00/0000] Scarsissime in Campania si contano le testimonianze di autentiche espressioni di canto politico, anche se va attestata, al contrario, una sommersa produzione di tal genere, specialmente in Irpinia. Il canto politico, dal punto di vista musicale, raramente può riferirsi a moduli etnici, e generalmente si poggia su melodie popolaresche di larga diffusione, più atte ad accogliere un testo destinato ad una chiara comprensione verbale. Questo è il motivo per cui, assolta la sua funzione storica, un canto politico esce poi dall’uso, dai repertori che connotano la funzione metastorica del canto espresso in un rituale collettivo. Il canto politico, quindi, rimane vivo solo nella memoria di chi visse quel momento, di cui quel canto fu voce reale di avvenimenti che coinvolsero il contesto sociale. Ciò spiega anche la esigua documentazione di canti popolari politici, che, necessariamente, vivendo di trasmissione orale funzionale alla collettività, quando hanno esaurito la loro funzione storica, si dissolvono nei recessi della memoria collettiva.
Né, come abbiamo detto, essi sono relativi a strutture musicali autonome o specifiche, ma, risultando come prodotto di un processo parodistico, hanno durata effimera cui segue l’inesorabile annegamento del testo nel trascorrere di una realtà dinamica e non statica della cultura orale. In tale consapevolezza, ho più volte stimolato la memoria di informatori anziani circa avvenimenti storici stigmatizzati da un peculiare componimento orale, e più volte la mia richiesta ha sortito esiti positivi. Assecondando un’insopprimibile vocazione ai percorsi esplorativi, su segnalazione dell’amico Aniello Russo, tempo fa mi recai a Montecalvo Irpino allo scopo di incontrarmi con Felice Cristino, contadino ottantaseienne, la cui memoria rappresenta una biblioteca orale di notevole interesse per ciò che riguarda la storia altra, quella non ufficiale, dell’area meridionale in generale edell’Irpinia in particolare. In essa è testimoniata una diffusa resistenza al fascismo, e, successivamente, al potere clerico-fascista del dopoguerra. Felice Cristino, o meglio zi’ Felice – come tutti lo chiamano a Montecalvo – mi aprì gli scrigni del suo ricordare e mi comunicò la sua attiva partecipazione al dissenso contadino contro le ingiustizie baronali, i privilegi politici, evocando luminosamente il tragico contesto dell’ultimo dopoguerra. Rappresentante esecutivo di un tradizionale stile di canto irpino, egli si dichiarava autore di un componimento politico da lui creato, a scopo propagandistico, in occasione della campagna elettorale indetta per il referendum del 2 giugno 1946. L’eccezionale documento ha tutte le caratteristiche della più autentica popolarità: esso si plasma sulle strutture antifonali degli antichi canti di lavoro, risulta composto secondo le tecniche orali, presenta un testo estraneo a formule di retorica politica, esprime un «noi» e non l’ «io» della sentenziosità borghese, e si carica di quell’ironia irridente che si sprigiona dall’autenticità realistica delle culture orali. In tal senso, nello snodarsi strofico del canto, ricorrono alcune figure della realtà montecalvese di quel tempo, disegnate a vividi tratti dalla fertile vigorosità sfottitoria dell’antico contadino, al quale i suoi vecchi amici riconoscono un indiscusso ruolo di leader autorevole. [Nativo] [Foto di Angelo Siciliano]
Roberto De Simone – Il Mattino
Compagni, il due giugno – Felice Cristino [Demo]
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Un patrimonio ritrovato nel dialetto Irpino dell’Ottocento
[Ed. 04/12/2003] Da molti anni sto lavorando al recupero del patrimonio di ciò che fu la civiltà contadina in Irpinia. La ricerca è incentrata sul mio paese natale, Montecalvo Irpino (AV), piccolo comune dell’Alta Irpinia nord-orientale, area geografica che è stata sempre a stretto contatto con le genti d’Abruzzo, del Molise, del Sannio e della Daunia.
Il suo territorio, già frequentato e abitato nel neolitico, è attraversato dal tratturo “La Via della Lana”, che consentiva ai pastori abruzzesi la transumanza delle greggi da Pescasseroli a Candela, in provincia di Foggia. Come molti paesi del Sud, Montecalvo è situato ad un crocevia, dove tanti dominatori sono passati con le loro culture, lasciando segni indelebili che si riscontrano nella lingua, negli usi e costumi, nella storia, nelle credenze magiche e religiose, nel carattere delle persone. È un paese che, come altri nei secoli passati, ha accolto genti di altre regioni meridionali, dopo che la peste o il colera ne avevano falcidiato gli abitanti. Infatti, su invito dei regnanti, molte famiglie della Sicilia e della Puglia erano sollecitate a spostarsi, con migrazioni interne, per cogliere nuove opportunità e ridare nel contempo linfa vitale a tutte quelle contrade del regno che si erano spopolate.
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Canti e cunti di tradizione orale nel nuovo CD di Alberto Tedesco
Lunedì 31 Ottobre, alle ore 21:30, presso “Lu Varrile”, a Montecalvo Irpino, viene presentato il CD “Canti e Cunti Montecalvesi Vol.1”, di Alberto Tedesco: un viaggio nei suoni e nelle leggende della civiltà arcaica contadina Montecalvese. L’autore tiene a precisare che le copie fisiche sono limitate; pertanto la diffusione avverrà attraverso le piattaforme digitali.
Ho avuto modo di apprezzare Alberto Tedesco in uno dei suoi concerti con i Fujenti, gruppo il cui stile fonde il jazz con la musica popolare, anche se, a dire il vero, in Alberto l’attaccamento, la passione e il sentimento per la musica di tradizione orale risalgono già a qualche anno fa. Durante l’esibizione del gruppo in questione, mi ha piacevolmente sorpreso la particolare interpretazione del canto “Inno alle Grazie”, che richiama alla mente “Madonna de la grazia”, brano della NCCP, portato alla ribalta già negli anni Settanta del secolo scorso, nonché l’esecuzione di alcuni vocalizzi a supporto del sassofonista Ettore Patrevita, secondo una pratica in uso nella musica jazz. Il termine tecnico per definizione è “scat”, e maestri di questo genere sono stati, tra i tanti, Dizzy Gillespie e il compianto Lucio Dalla dei primordi, mentre tra i contemporanei è da annoverare il foggiano Gege Telesforo.