Cultura
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Fregi dai motivi ispano-americano sui portali di C. Umberto in Montecalvo Irpino
Montecalvo Irpino AV – I portali presenti in tutto il centro storico, in particolare in Corso Umberto, riportano nella chiave di volta fregi dai motivi ispano-americani, importati dai soldati spagnoli che in queste zone si stabilirono nei secoli passati. Non è difficile incappare in simboli quali facce di puma, foglie di marjuana, uccelli esotici.
Redazione
[Bibliografia di riferimento]
[Cavalletti G.B.M. Montecalvo dalle pietre alla storia, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1987]
[AA.VV., Progetto Itinerari turistici Campania interna: la valle del Miscano, Volume 1 , Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1993]
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LA «SEKOMA» DI MONTECALVO IRPINO
UN PO’ DI CHIAREZZA SULLA CORRETTA DATAZIONE – SEKOMA
SEC. XVI
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SEKOMA
III-II SECOLO A.C.
[…]
ETA’ ELLENISTICAGiovanni Bosco Maria Cavalletti
Sono, le soprascritte indicazioni, la sintesi di un dibattito che tra la primavera del 2010 e quella del 2011 animò la discussione culturale montecalvese.
In tale periodo, le due distinte ma attigue segnaletiche turistiche campeggiarono contemporaneamente davanti all’ingresso della Casa Comunale di Montecalvo Irpino per indicare l’età dello stesso reperto.
Una situazione tra il grottesco e il ridicolo che suscitava curiosità, ma anche sconcerto e incredulità.Cosa era successo? Molto semplicemente che in una revisione generale della datazione dei principali monumenti del paese e in seguito ad una mia consulenza che datava al XVI secolo il manufatto in questione, l’amministrazione comunale aveva provveduto a rettificarne la precedente cartellonistica che, di contro, lo datava all’epoca ellenistica.
Sekoma – Targa descrizione manufatto A quel punto si sarebbe dovuto rimuovere il vecchio cartello, ma prima di farlo l’amministrazione comunale voleva l’autorevole parere della competente soprintendenza.
A tale effetto, con nota prot. n. 7180 del 17 agosto 2010 avente per oggetto datazione manufatto denominato «sekoma», l’ente comunale chiedeva ai sostenitori delle contrastanti tesi di relazionare per iscritto in merito alle loro argomentazioni. Acquisite le relazioni, con lo stesso protocollo, veniva formalmente richiesto il parere della Soprintendenza Archeologica per le province di Salerno, Avellino Benevento e Caserta.Intanto, in attesa del responso, permanevano entrambe le indicazioni fino a quando, con nota del 04/04/2011, prot. Cl. 28.14.00/51, inviata al Comune di Montecalvo, alla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici e Etnoantropologici di Salerno e Avellino, nonché all’Ufficio Archeologico di Avellino, la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, poneva fine al dubbio dando la seguente risposta, regolarmente notificatami dal Comune di Montecalvo con lettera del 07/05/2011, prot. n.3915, avente per oggetto «Richiesta datazione manufatto denominato “Sekoma”»:
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IL POSTO DELLE ASCE DI PIETRA A MONTECALVO IRPINO
Angelo Siciliano
[Edito 05/09/2005] Una quarantina d’anni fa, usciva nelle sale cinematografiche un film del regista svedese Ingmar Bergman, “Il posto delle fragole”. Lo trovai bellissimo, per i rimandi metafisici e surreali che riusciva a trasmettere. Era incentrato su un maturo professore che, a coronamento della propria carriera, stava per ricevere il premio Nobel dagli accademici di Svezia.
La notte che precedeva la premiazione, egli faceva un sogno particolare: si rivedeva bambino nel luogo degli affetti, dov’era cresciuto serenamente con i familiari. Un posto tranquillo, con un giardino con le fragole. Evidentemente si trattava di un luogo idealizzato. Poi, un carro funebre, trainato da un cavallo imbizzarrito, andava a sbattere contro un lampione. Nella bara che scivolava a terra, e il cui coperchio saltava via nell’impatto, c’era proprio il professore.
Asce di pietra a Montecalvo Irpino
A Montecalvo, io non ricordo che vi fossero fragole in passato. Forse ora le coltivano in serra. Tuttavia, il mio posto delle fragole è sempre stato qui: la Costa della Menola, a scendere giù, fino alla Ripa della Conca. Questa campagna coltivata per secoli, fino agli anni Settanta del Novecento, forse perché condotta a coltura promiscua, con ogni tipo d’albero da frutta, appariva come un eden. Ora è in buona parte abbandonata e selvaggia, e alberi selvatici la infestano e soffocano da ogni parte. Ma è anche un contesto archeologico devastato. Come risulta d’altronde tutto il territorio montecalvese. E nel resto dell’Irpinia non è che le cose vadano meglio.
Il luogo del ritrovamento (costa della menola) I ritrovamenti di reperti archeologici, qui sono sempre stati casuali e sporadici. Gli strati, accumulatisi nelle varie epoche, non sono sovrapposti in regolare successione temporale, ma risultano quasi sempre sconvolti e mescolati. E ciò a causa dei disboscamenti, per la messa a coltura della terra, a partire da quando l’uomo, da cacciatore e raccoglitore, scelse di diventare stanziale. L’uso della zappa, poi dell’aratro trainato da muli o buoi, e dei trattori nel Novecento, e ultima l’introduzione di scavatori per il livellamento del terreno e lo scavo di buche per i nuovi impianti d’ulivi o noci, finanziati dall’ente pubblico, hanno portato ad un paesaggio molto diverso da quello preistorico e quelli successivi, osco-sannitico prima e romano poi. E di non secondaria importanza sono l’erosione del terreno e i franamenti provocati da acqua e neve, associati all’intervento umano non sempre corretto e rispettoso dell’ambiente. Anche i tanti calanchi che si vedono in giro, al di là della conformazione del territorio, sono una chiara testimonianza del prolungato dissesto geologico.Nel territorio montecalvese, che io ricordi, non sono mai venuti alla luce reperti preziosi, anche se le leggende narravano del ritrovamento fortuito di qualche vaso interrato, pieno di marenghi d’oro, la saróla cu li mmarénghi, per spiegare un arricchimento di qualche famiglia contadina, che agli occhi della gente appariva come improvviso. Tuttavia va detto, che ogni reperto ritrovato, anche quello in apparenza insignificante, è sempre da considerare importante, perché contribuisce a farci capire chi ci ha preceduto sul nostro territorio e come ha vissuto.
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Convento S. Antonio da Padova di Montecalvo Irpino
[Edito 00/00/00] La famiglia francescana di Montecalvo Irpino vive all’ombra del convento di S. Antonio all’entrata del paese. Il convento, da sempre residenza dei frati minori , fu costruito intorno al 1600, distrutto molte volte dal terremoto, oggi si presenta come una struttura moderna e funzionale. Annessa al convento e alla chiesa di S.Antonio da Padova, c’è l’Oasi Maria Immacolata. Il convento rappresenta il punto di aggregazione degli amici di S. Antonio per rinfrancarsi spiritualmente e portare a tutti il messaggio cristiano di Pace e Bene. Nel 1222 San Francesco d’Assisi, percorrendo le antiche vie romane, andava pellegrino al Santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano. Montecalvo, centro strategico sulla via IGNATIA (al di sopra di Casalbore), lo vide passare non lontano e conservò il ricordo della sua predicazione e del suo insegnamento. Il seme gettato dal poverello di Assisi germogliò subito a Montecalvo grazie alla devozione a uno dei suoi figli più grandi: S. Antonio.
Nel 1520 Papa Leone X, con la bolla Esponi Nobis Nuper, accondiscese alla richiesta di Sigismondo Carafa, primo conte di Montecalvo, di poter costruire un monastero per i minori riformati di San Francesco.
Nel 1626 cominciavano i lavori per il convento di Sant’Antonio. In quell’occasione, si racconta, un frate piantò Il tiglio * (ormai vecchio di quattro secoli) che si ammira di fronte al monastero. Quel tiglio, per secoli, è stato il geloso custode di vita e miracoli dei viandanti che, all’ombra della sua frondosa chioma, si riposavano al ritorno dai faticosi lavori agricoli. Si dice pure che ai suoi maestosi rami, quando la giustizia veniva amministrata in loco, un cittadino, reo di un gravissimo misfatto contro la persona, sia stato impiccato. Da questo episodio, quando il convento si trovava “fuori terra”, cioè al di fuori del centro abitato, è scaturita la leggenda del fantasma che si aggira, di notte, attorno al tiglio (l’ “esistenza” di questa pianta di quasi quattrocento anni d’età è stata segnalata, con foto, da chi scrive, al FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano – per essere inserita nell’elenco degli alberi monumentali d’Italia).
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Il pomodorino di collina servito nei ristoranti cinesi
[Edito 00/00/0000] Montecalvo Irpino AV – Il pomodorino di collina arriva in Cina. A portarlo la Crisef di Montecalvo irpino, azienda che incentra il proprio business imprenditoriale proprio sulla promozione del pregevole prodotto agroalimentare. Grazie ad un rapporto di fornitura con una società di import-export cinese, l’impresa ufitana ha spedito nel mercato internazionale un container di 210 quintali
Sbarca il Cina il pomodorino di collina della Valle Ufita. Artefice e protagonista dell’importante missione internazionale la Crisef srl di Montecalvo Irpino: azienda che incentra il proprio business imprenditoriale proprio sulla promozione del pregevole prodotto agroalimentare. Un container di 210 quintali è infatti stato spedito, la scorsa settimana, nella piazza d’affari asiatica ed è già stato distribuito all’interno dei canali di vendita e ristorazione locali. Tutto nasce attraverso una rapporto di fornitura instaurato con una società di import-export cinese. Ma c’è di più.
“Adesso- mette in evidenza Nicola Serafino, amministratore unico della società- il nostro pomodorino è in esposizione al Tempio Italiano. Una sorta di grosso centro commerciale, presente in Cina, adibito alla promozione e vendita dei prodotti italiani”. L’approccio al mercato asiatico non è nuovo per l’azienda ufitana. Gia fitto e consolidato il business con il Giappone.
Oggi il prodotto ufitano, commercializzato con il marchio “Serafino”, è venduto in quaranta supermercati di Tokyo. Il tutto grazie a un legame con un distributore del luogo con il quale sono stati avviati proficui rapporti commerciali. I soci della Crisef hanno operato per diversi anni in una cooperativa agricola (Copam arl) produttrice di pomodori – pomodorini di collina – ortaggi. Nella cooperativa i soci si sono occupati di tutti i reparti: amministrativo, produttivo, commerciale.
Da ciò è maturato il progetto di distribuire il pomodorino di collina prodotto dalla cooperativa e dai suoi associati.
Con l’attività in cooperazione gli imprenditori hanno avuto modo di conoscere i problemi del settore e di creare nuove tecnologie dirette a sviluppare e migliorare l’attività agricola, in particolare la produzione del pomodorino di collina.
Per diverso tempo ci si è dedicati sia alla produzione che alla commercializzazione e trasformazione del pomodorino con l’obiettivo di portare sul mercato un prodotto genuino e di ottima qualità.
L’idea di lanciare direttamente sul mercato il pomodorino di collina è alla base della nascita della Crisef. I pomodorini vengono offerti in barattoli di diversi tipi e formati. La commercializzazione avviene con il marchio Serafino.
La società è entrata nel mercato nazionale ed estero tramite campagne di promozione, contatti diretti con i potenziali consumatori (ristoranti,negozi, supermercati, privati), attraverso la partecipazione a fiere e manifestazioni pubbliche. [Nativo]Stefano Belfiore
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I PROTESTANTI A MONTECALVO IRPINO
Storia della comunità rurale protestante montecalvese gelosa custode della propria autonomia e identità.
Angelo Siciliano
[Edito 22/08/2000] I protestanti di Montecalvo Irpino (AV), li putristànti, nel 1947 si costituivano in Chiesa Evangelica dei Pentecostali, con sede a Corsano, contrada in cui esisteva un antico e orgoglioso castello, retaggio di un feudo indipendente nei secoli passati, ancora integro, seppure danneggiato dal sisma del 1930. Lo avrebbe sgarrupàtu il sisma successivo, quello del 1962, e danni ulteriori li avrebbe arrecati il terremoto del 1980. Poi, l’incuria dei proprietari, e quella assai più grave delle amministrazioni locali, succedutesi nei decenni successivi, lo avrebbero condannato a perpetuare di sé una testimonianza di indegne macerie, invase inesorabilmente dalla boscaglia.
La gente del posto era portatrice di una spiccata identità etnica, con distintive connotazioni rispetto a quelle degli altri montecalvesi. Forse era alimentata non solo dalla presenza del castello suddetto, ma anche dal fatto che alcuni curzanìsi non erano nativi del luogo, oppure erano discendenti da immigrati da qualche paese del beneventano, che avevano trovato in questo territorio una sistemazione definitiva o delle soddisfacenti opportunità di lavoro.
L’evangelizzazione era cominciata nel 1942-43, con la conversione, grazie ad un pastore di Cervinara (AV), Giuseppe Paduano, di una contadina di contrada Sauda e suo suocero. Poi si erano convertiti il marito di costei e altri contadini, grazie ad un fervente proselitismo.
Il fascismo, che perseguitava e vessava i protestanti, con sequestri personali e ammende, anche su istigazione del clero, a Montecalvo, per ragioni temporali, non faceva in tempo ad intervenire con i suoi metodi autoritari e coercitivi.
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La Masseria Stiscia
Antonio Stiscia
[Edito 23/04/2005] La Masseria Stiscia è databile alla metà del 1600, e comunque edificata su più antiche vestigia, legate alla presenza delle Bolle della Malvizza e all’antichissimo Tratturello che da Casalbore attraversava la Malvizza e si congiungeva al Grande Regio Tratturo (Pescasseroli-Candela) nonché alla Via Traiana, per sconfinare nelle fertili pianure pugliesi. La masseria Stiscia occupa la parte centrale di una vasta area (Campana) di circa 1 Ha e comprende mandrie, ovili, pollai, orti e una sorgente. La mancanza di strutture difensive, testimonia una certa tranquillità del sito, dovuta anche alla presenza di un posto di guardia e/o stazione di sosta per i cavalli (Taverna del Duca), lungo uno delle direttrici più antiche. La masseria ha dato comoda ospitalità fino a 30 persone, in quella straordinarie famiglie patriarcali, dove vi era un saggio e proficuo utilizzo della forza lavoro e una rigida divisione dei compiti. La famiglia era composta da un Patriarca, dalla moglie, dai figli maschi con le rispettive mogli e figli, e dalle figlie nubili.Ognuno aveva degli spazi alloggiativi propri, nel mentre la grande cucina e sala da pranzo, vedeva allo stesso desco l’intero nucleo familiare, che si ampliava enormemente con l’aggiunta dei tanti braccianti durante la mietitura. La presenza di 2 grandi Stalloni (Cavalli e Vacche), di 1 piccionaia, di 2 grandi ovili, di grandi recinti per i cavalli (malvizzani), e le tante camere da letto, con numerose altre costruzioni, posizionate perfettamente sull’aia, davano alla struttura la configurazione di una piccola cittadella autonoma,considerando la notevole estensione dei terreni da coltivare 300 Ha circa, (compreso il feudo di Pietra Piccola), posti anche nei territori dei vicini Comuni di Casalbore, Castelfranco, Ginestra, Ariano. [Nativo]
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La Chiesetta dedicata a San Gaetano Thiene in C/da Malvizza
Antonio Stiscia
Masseria Stiscia sec. XVII [Edito 23/04/2005] Mi sono deciso a scrivere questo piccolo saggio, non per divulgare o promuovere qualcosa, ma solo per rispettare la tradizione storica e religiosa di questa terra,che insegue le mode e ingigantisce le normalità, dimenticando i valori e le tradizioni fondanti.
E’ proprio strano, ma sa di rancido, questo esasperato ecumenismo, intriso di goliardia e dionisismo, frutto del protagonismo e non della vera fede. Altro non può essere,se si pensa al chiaro contraddittorio porsi nei confronti dei sentimenti umani e delle miserie della vita.Come può accadere che incredibili testimonianza di vera fede e nobile tradizione,vengano abbandonate alla sicura distruzione ed all’oblìo? Forse perché viene graduata la spiritualità dei luoghi in base alla loro grandezza e magnificenza? Non è stato proprio il Poverello di Assisi,ad insegnarci che il Buon Dio abita le case più umili e le chiese abbandonate (Porziuncola)? -
In difesa del centro storico
Carlo Cavotta
[Edito 00/00/2004] Passeggiare lungo le strade del centro storico di Montecalvo, rito che peraltro compio sempre con estremo piacere, è occasione per partorire valutazioni e osservazioni foriere di sana frustrazione. Visitare e perlustrare altre realtà cittadine, limitrofe o lontane che siano, qualche volta più sfortunate della nostra, è motivo di ulteriore avvilimento, che si origina dalla comparazione delle nostre condizioni urbanistiche con gli assetti decorosi che altre comunità hanno saputo dare ai propri luoghi.
Alle rovinose aggressioni dei cataclisma, succedutisi nel corso della storia, hanno fatto seguito, con conseguenze non meno dannose, l’incuria e l’imperizia di chi è stato chiamato a tutelare il nostro territorio, di chi, forse per incapacità o negligenza, non è stato in grado di preservare le antiche vestigia della bella Montecalvo.
E’ scoraggiante constatare, giorno dopo giorno, lo stato di abbandono e degrado a cui è stato condannato il nostro amabile centro storico, relegato ad un luogo di fugace passaggio o ad un peripatetico trastullo.
Comunità, ispirate da alto senso civico, hanno reso il centro storico lo spazio vitalizzante di ogni attività, l’area in cui consumare le esperienze quotidiane, il momento centrale della vita cittadina. Perché da noi questo non è possibile? Qual è il progetto sul nostro centro storico?
Credo che manchi un reale disegno lungimirante, un investimento culturale di ampi orizzonti. Montecalvo non può permettersi altri differimenti: si rende urgente e necessario intervenire. In che modo?
In primis, convogliare nel centro storico interessi, attività, iniziative.
Sarebbe stato opportuno, in tal senso, spostare gli ambulanti, accorsi in occasione della fiera di Santa Caterina, allocare stands e banchi espositivi lungo Corso Umberto; si sarebbe potuto installare anche nella zona antica le luminarie natalizie. Si potrebbero prevedere sussidi e sconti fiscali per chi intenda trasferire la propria dimora nel centro storico; favorire allo stesso modo l’apertura di attività commerciali; occupare immobili abbandonati e utilizzarli come sedi di associazioni, circoli, partiti; elaborare la possibilità di rendere lo spazio isola pedonale, se non permanente, almeno ogni domenica, data l’affluenza dei fedeli presso la chiesa Collegiata. Il tutto sorretto da un serio programma di interventi urbanistici e architettonici, diretti a preservare e soprattutto ristrutturare, nel pieno rispetto dei canoni estetici e dei criteri normativi, gli spazi e gli edifici in rovina. Ben vengano le opere di recupero, ma che siano compiute con gusto, con cura e con l’attenzione rivolta al possibile utilizzo del bene: non si interviene per stravolgere bensì per abbellire e funzionalizzare. Si predispongano incontri, tavole rotonde attorno alle quali confrontarsi pacificamente, con spirito collaborativo e prospettive di feconde finalità.
Perché attendere?
Costa dell’Angelo non può soffocare sotto le lastre di cemento che ne hanno deturpato la grazia; corso Umberto soffre una pavimentazione di basolato frammista a cemento e catrame; i vicoli che si inerpicano fin su a Santa Maria meritano più decoro e valorizzazione, al pari dei vichi che da corso Umberto in picchiata si tuffano in Via Santa Caterina, in via Lungara Fossi o verso il Tappeto. E basterebbe veramente poco: pulizia, riassetto pavimentazione e illuminazione. Il Trappeto, gioiello del nostro centro storico, dichiaratamente castigato e condannato all’oblio.E si potrebbe continuare, ma qui ora non preme fare elencazioni. Urge assolutamente intervenire!!
Io, giovane di Montecalvo, amante della mia terra, elevo un grido: difendiamo il centro storico.[Credit│alternativapermontecalvo.it]
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Preghiera a S. Antonio
Montecalvo Irpino AV – Cari fratelli e sorelle tutti con il cuore e con la mente rivolti verso Sant’Antonio per chiedergli che abbiamo bisogno del suo amore, del suo aiuto e del suo perdono. Ci presentiamo umilmente così come siamo in ginocchio davanti a Lui che può capire l’amore che proviamo nel seguire la Santa Messa domenicale delle ore 10,00 presso il nostro amato Convento. Per Lui portiamo in seno l’amore la gioia che ci permettono di vivere la vita quotidiana tranquilla. Aiutaci, dacci speranza, perché dalla brutta notizia della chiusura del nostro Convento non riusciamo più a pregare da soli. Facci riprendere il volo, dai la pace ai nostri cuori, perché molti di noi non credono più a niente, in particolare quando la nostra fede tentenna, il nostro cuore è nella tempesta, un diavolo notte e giorno ci innebbia la testa, specialmente quando la fede vacilla come la sabbia sconvolta dal vento. Molte volte i nostri occhi lo scoglio non vedano, Sant’Antonio dei miracoli guidaci tu. Con la messa ti sei illuminato verso il dono dell’eucarestia, confessando hai aperto la via, hai toccato le porte del nostro cuore, hai aperto le piaghe di Cristo, la tua croce e il tuo sudario, sei salito sul Suo calvario per aiutare l’umanità. Aiutaci o Santo della speranza in questa dolorosa circostanza perché non riusciamo più a vivere la vita tranquilli, facci riprendere il volo, dai la pace ai nostri cuori e nelle nostre famiglie, o Santo della speranza, illumina il nostro cammino, notte e giorno stacci vicino perché, abbiamo veramente bisogno di te. Facci vivere la vita su qùesta terra con l’amore, l’ardore e lo splendore verso Dio e verso l’umanità. Con la preghiera della tua benedizione accompagnaci alle nostre abitazioni in grazia di· Dio, diciamo un Padre Nostro e un’Ave Maria, facendoci vivere una vita felice su questa terra per sempre in eterno. Cari fratelli e sorelle sono un cittadino montecalvese che manca dal nostro paese da 77 anni, ma nel cuore ho sempre presente S. Antonio, il convento e tutti i miei concittadini.
Lo Conte Francesco