Cultura

  • Cultura,  I confinati,  Poesia

    Marko Kravos in visita a Montecalvo Irpino

    Redazione

    [Edito 16/05/2019] Domenica 11 maggio 2019, a Pesco Sannita nel consueto Festival Ethnoi (culture, linguaggi e minoranze), giunto quest’anno alla dodicesima edizione, tra gli eventi proposti era previsto un incontro con la poesia di Josip Osti, poeta nazionale sloveno, e Marko Kravos, poeta italo-sloveno. Marko Kravos è il figlio di Josip (Giuseppe) Kravos (S. Croce di Audissina 5 agosto 1909 – Trieste 13 aprile 1972), il quale, durante il periodo dei noti campi fascisti, venne arrestato il 5 settembre 1940 a Cagliari, fu trasferito nelle carceri di Trieste e successivamente venne “condannato” all’internamento sull’isola di San Domino (Tremiti) dove rimane dal 27 marzo 1941 al 7 gennaio 1942, quando, in seguito a una richiesta di trasferimento per motivi di salute (deperimento psicofisico) viene inviato nella località di internamento di Montecalvo Irpino, in provincia di Avellino. Ed è qui che, nel 1943 nasce Marko Kravos, importante poeta e scrittore. Approfittando dell’evento in programma a Pesco Sannita, Francesco Cardinale e Antonio Cardillo, Presidente e Vice Presidente dell’Associazione montecalvese Lomax & Carpitella, si sono adoperati affinché l’illustre concittadino nato a Montecalvo, ritornasse nel paese che gli aveva dato i natali, e dal quale mancava dall’età di tre anni, anche se nei primi anni novanta vi passò in maniera fugace ed anonima, senza, però, potersi soffermare a contemplare i luoghi cari della sua infanzia. Ad accompagnare a Montecalvo Marko Kravos e Josip Osti, altro grande della poesia contemporanea, vi erano Sergio Iagulli e Raffaella Marzano, della “Casa della poesia” di Baronissi ed editori dei due poeti. Dopo aver intrattenuto gli ospiti con un pranzo a base di piatti tipici locali presso un noto agriturismo del luogo, vi è stato l’incontro con il Sindaco di Montecalvo, Mirko Iorillo, al quale Kravos ha consegnato, in dono, un prezioso volume, con dedica autografa, della sua importante produzione poetica che sarà a disposizione della collettività montecalvese. Successivamente Kravos e i suoi compagni, sono stati guidati attraverso un percorso alla riscoperta dei luoghi in cui era nato e in cui aveva vissuto i primi anni dell’infanzia. La visita è stata mediata sapientemente dallo scrittore e giornalista Mario Aucelli, che in uno dei suoi volumi sulla storia di Montecalvo, aveva dedicato ampio spazio alle vicissitudini legate a Josip Kravos, papà di Marko. E’ doveroso ricordare che i primi contatti con la famiglia Kravos, e precisamente con la sorella di Marko, l’autrice Bogomila Kravos, furono avviati nei primi anni del duemila da Alfonso Caccese attraverso il sito Irpino.it e proseguirono in seguito con Mario Aucelli. L’associazione Lomax & Carpitella, da sempre sensibile alle vicende legate al paese di Montecalvo Irpino, ha permesso che avvenisse questo importante “ricongiungimento” e ha documentato l’importante visita con foto e video. [Nativo]

    Marko Kravos in visita a Montecalvo Irpino

  • Cultura,  I confinati,  Poesia

    Dal confino in Irpinia al ritorno a Trieste nei versi di Marko Kravos

    “Esce per Multimedia Edizioni “Cera matria” l’ultima raccolta del poeta di madrelingua slovena. Un uso poliedrico del linguaggio che impone una riflessione sulle origini e la contemporaneità”

    [Edito 14/02/2023] Trieste – C’è un verso nell’ultima raccolta di Marko Kravos che recita esattamente così: “Di casa, io, dove sono? Il mio luogo natio dov’è?”. Così dall’introduzione di “Cera matria” (Multimedia Edizioni, pag. 128, euro 13) apprendiamo la storia di Kravos, ai più conosciuto come il poeta sloveno di Trieste. Ce la spiega Sinan Gudžević, prefattore del libro e sensibile conoscitore delle origini del nostro poeta. Kravos è nato in Irpinia, a Montecalvo, dove il regime fascista aveva confinato la sua famiglia: «Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato aveva condannato Josip Kravos, il padre di Marko, al campo di prigionia sull’isola di San Domino per internarlo poi, insieme alla famiglia, a Montecalvo Irpino» dove appunto il poeta nacque. Paese nativo in cui l’autore non è mai tornato, escluse due volte.

    L’ultima occasione fu per un reading insieme al poeta Josip Osti, nel 2019. Il confino da Trieste della famiglia Kravos è solo la prima parte della storia. Il rimpatrio fu un viaggio per nulla facile. Non è stato un rientro immediato insomma. Prima si trattò di trascorrere un anno intero nella base degli alleati a Bari, cui fece seguito l’imbarco sulla nave per Spalato. Dopo di che la famiglia fu sistemata nella cittadina di Castelnuovo, dove rimase fino a maggio del 1945, quando una nave della Brigata d’oltremare li riporterà finalmente a Trieste. Ma non ritroveranno la loro casa, distrutta dalle bombe degli alleati. Forse da questa storia ci si può avvicinare, con una certa cautela alla poetica di Marko Kravos, sempre incline a mostrarci le diverse prospettive della vita, le inclinazioni che può assumere improvvisamente, i rovesciamenti inaspettati che l’esistenza ci riserva. C’è forse un’unica fonte di salvezza che è il “verbo” appunto, la parola, il linguaggio. In “Cera matria” (che è un gioco di parole intorno al sintagma pappa reale) Kravos scende in verticale proprio nelle profondità della lingua. Ma lo fa con la sua solita leggerezza, con le possibilità conoscitive che dà anche l’ironia. Kravos formula così una struttura in quattro sezioni, dove a ognuna è riservata una parte della giorno, dagli albori al crepuscolo. E dove c’è una novità stilistica, alle sestine in versi sciolti, si accostano dei “bozzetti”, ovvero dei prosimetri, a una poesia quindi segue un bozzetto, non necessariamente connessi. Ciò che caratterizza la voce del poeta è proprio l’uso poliedrico del linguaggio: non va solo a scavare l’origine di identità e parole, ma lo fa affidandosi a una dimensione materica, è questo è sempre stato nelle corde del poeta, molto più fisico che metafisico. Così le metafore ci restituiscono il corpo fatto di carne e sangue, ma anche sede paradossale di segni. Tre ci dice sono le fonti della lingua: testa, cuore e bocca, non a caso messi in relazione con tre poteri: giudiziario, legislativo, esecutivo. Ciò che è fisico e ciò che è segnico riescono a trovare la loro espressione in fiato, voce, suono, facendo però attenzione che nulla sarebbe possibile senza un’altra dimensione, quella del silenzio. Di più: anche la punteggiatura, le preposizioni, le coniugazioni possono assumere il significato di una verità che unisce o divide. Ma nonostante “Cera matria” ruoti intorno a uno spazio con tutta evidenza (anche) metalinguistico, Kravos non è mai astratto. Ci racconta il verbo, certo, ma ci racconta anche la storia, l’uomo e i diversi uomini che differentemente sfruttano le parole. Ci racconta il Coronavirus, non privo di ironia, la paura della fine, ma anche le possibilità conoscitive dell’umano, scevre da ogni trascendenza, più inclini alle infinite possibilità che rivelano le neuro scienze, tutto concorre al “vero”, i sensi e i nuclei mnemonici della mente: «quando questi artefici si danno al connubio, nasce l’immaginazione» e chissà, forse un domani «diranno che tutto viene generato nel sogno o nell’immaginazione». Tuttavia, ricorda il poeta, è necessario ricordare che viviamo nell’epoca «del non sapore, un’era digitale» dove quel “sapore” è così assonante con “sapere”. [Nativo]

    Redazione

    [Crediti│Testo: “Il Piccolo” di Trieste]

  • Fascismo,  Guerra,  I confinati,  Il nostro passato,  Storia

    Montecalvo Irpino: confinati politici

    Mario Aucelli

    [Edito 19/02/2023] I confinati sono stati l’anima del partito comunista, ounque, nella provincia di Avellino.
    Al primo Congresso provinciale del PCI del settembre 1944, nella relazione introduttiva di Bruno Giordano, segretario formale del partito, si legge: “E’ stato merito dei compagni internati sparsi un po’ dappertutto nella provincia, quello di aver iniziato e portato a termine con fede e compostezza il lavoro organizzativo in molti comuni, dove forse non esisteva neppure qualche nostro elemento isolato. La loro presenza in queste regioni è stata per noi una vera fortuna, perché senza essi molti comuni, anzi la maggior parte di essi, sarebbero ancora in balia dei fascisti delle vecchie cricche paesane.” (Cfr. Quaderni Irpini- Anno I, n. 1, marzo 1988).

    I paesi dove si registra la massima presenza di ‘confinati”, sono: Montecalvo, Bisaccia, Flumeri, Lacedonia, Montella, Andretta. Grazie a questi “indottrinatori”, al Referendum istituzionale, alla Costituente e alle Amministrative del 1946 il consenso al PCI sfiora il 50%. A Montecalvo, durante il Fascismo (1941) furono inviate, al contine, diverse “persone indesiderate”. Alcuni di questi internati politici hanno lasciato il segno. Il dottor Giuseppe Camerlengo, con i suoi ricordi “giovanili”, ci ha messo sulle “tracce” di questi ospiti, suggerendoci i cognomi, alcuni dato il tempo trascorso, imperfetti. Grazie alla collaborazione del dirigente, Igino Tufo, e dei suoi validissimi collaboratori dell’ufficio anagrafe del comune, Mario Tulimieri, Marilena Tufo e Anna Argese, consultando schede, registri di morte, di nascita, schede di famiglia, siamo riusciti a ricostruire l’esattezza delle generalità e le date precise di arrivo in paese.
    Il primo è stato Concetto LO PRESTI di Angelo e di Prospera Massaglia, nato a Catania il 16 dicembre 1903 e morto il 26 novembre 1973 sempre a Catania, commerciante nel capoluogo siciliano, arrivato a Montecalvo il 4 settembre 1941. Ritornato nella patria d’origine, dopo aver sposato, a Catania, il 12/09/1942, la montecalvese Donna Luisa Maria Concetta Pizzillo (nata a Montecalvo Irpino il 18 marzo 1918, morta a Catania il 30 dicembre 2003), diventò deputato e assessore regionale della Sicilia. A Montecalvo “domiciliava” all’allora albergo gestito dalle sorelle Scoppettone. Dal matrimonio nacquero tre figli: Angelo Francesco, Maria Pia e Gemma.

  • Fascismo,  Guerra,  I confinati,  Il nostro passato

    Josip Kravos

    Bogomilla Kravos

    Nella foto Kravos è il primo da sinistra.

    [Edito 21/02/2023] Josip Kravos, nato a Vipavski Križ nell’allora impero Austro – Ungarico il 5 agosto 1909 (il nome Josip fu successivamente italianizzato in Giuseppe, come pure il luogo di nascita in S. Croce di Aidussina). Dopo un’ infanzia segnata dalla prima guerra mondiale (il villaggio si trovava nelle immediate retrovie) segue il duro periodo del dopoguerra. Entro i nuovi confini, che inglobano quasi un terzo della popolazione complessiva di lingua slovena (i due terzi entrano nel neo-costituito Regno di Jugoslavia), le nuove autorità italiane impongono dopo il 1920 l’uso esclusivo della lingua italiana. Vengono soppresse non solo le scuole di lingua slovena, ma anche tutte le attività culturali, economiche e sociali autoctone, confiscandone i beni. L’antifascismo di Kravos nasce come reazione a un sopruso identitario e riflette il sentimento comune della popolazione slovena.Quando nel 1931 si trasferisce a Trieste per motivi di lavoro, trova nel gruppo clandestino sloveno degli štampiharji convergenza di idee e ambizioni: l’operato del gruppo è di chiara matrice antifascista e opera esclusivamente in ambito culturale. Oltre alla propria professione di sarto negli anni ’30 Kravos si dedica al canto, alla musica e all’attività teatrale. Viene arrestato dalla milizia fascista il 5 settembre 1941, e dopo diversi interrogatori con sevizie viene candannato per un numero imprecisato di anni all’internamento nell’isola San Domino (Tremiti), dove rimane dal 27  marzo 1941 al 7 gennaio 1942. Successivamente, per deperimento fisico, viene trasferito e confinato a Montecalvo Irpino. Nei primi mesi divide la stanza con i confinati croati Čedo Žic e Riko Miler, entra in un rapporto di amicizia con altri compagni di sventura, come pure con la popolazione del luogo. E’ molto affezionato a comma’ Maria Giorgione e alla sua famiglia e ama partecipare alla vita sociale, alle processioni e alle diverse manifestazioni del luogo. Nell’estate del 1942 lo raggiunge la moglie Eufrasia Valič con la figlioletta Alenka (nata a Trieste il 28 giugno 1940 e battezzata per problemi razziali Alma). Alla coppia ricongiunta nasce il 16 maggio 1943 il figlio Marco (Marko). Con l’appoggio degli alleati la famiglia Kravos trova la via del ritorno che li porta prima a Bari, da lì in Dalmazia e poi a Trieste. Nelle memorie scritte da Kravos negli anni ’60 c’è poco rancore e tanta gratitudine per i gesti di solidarietà e umanità che ha avuto modo di apprezzare nei momenti più difficili. In un lungo capitolo ha descritto la sua vita a Montecalvo, le usanze del luogo e le persone che ha avuto modo di conoscere meglio. Attraverso gli occhi meravigliati di uno straniero viene descritta una Montecalvo ospitale, fortemente radicata alla terra,  ricca di preziose usanze e credenze, con donne che indossano il costume della pachiana, con i suoi piccoli traffici e le sue processioni. Josip Kravos muore nella sua casa di Trieste il 13 aprile 1972 per un ictus cerebrale. [Nativo]

    [Bibliografia di riferimento]
    [M.Aucelli, Il fascismo a Montecalvo Irpino, Irpinia Libri, Monteforte Irpino AV, 2019]

  • I confinati,  Persone

    Bogomilla Kravos

    Mario Aucelli

    [Edito 21/02/2023] Bogomila Kravos, figlia minore di Josip – Giuseppe Kravos, è nata a Trieste il 12 gennaio 1948 ed è  curatrice della sua memoria. Si è laureata in Lingue e letterature moderne con una tesi dal titolo: Josip Kravos – vita e opere e si è specializzata in teatralogia all’Università di Lubiana con una tesi sui generi teatrali minori, dei quali il padre è stato protagonista nell’ambito dell’attività clandestina slovena negli anni ’30.

    Ha insegnato lettere nelle scuole secondarie di secondo grado, ma dagli anni ’90 si dedica alla ricerca sul teatro e la critica teatrale, coaudiuvando anche attività culturali in alcune associazioni triestine. In qualità di studiosa collabora con i teatri ed i Musei teatrali di Lubiana e Trieste. Tra i lavori pubblicati è fondamentale la sua monografia sul teatro sloveno di Trieste (Slovensko gledališče v Trstu 1945-1965, Slovenski Gledališki Muzej, Ljubljana, 2001), un libro sulla vita di un’attrice slovena (Zlatina leta v tržaškem gledališču. Po pripovedi igralke Zlate Rodošek zapisala Bogomila Kravos, Ed. Lipa, Koper, 2003) e il volume sulla nascita di una compagnia teatrale (Narodni dom pri Sv. Ivanu [a cura di e alcune voci], Trst: Skd Škamperle, 2007). Altri scritti vengono pubblicati su giornali e riviste slovene. Di rilievo anche la sua opera di mediazione del teatro italiano nell’ambito della cultura slovena. Oltre ad articoli sulla commedia dell’arte, su Giorgio Strehler, sul teatro di Carlo Goldoni, Luigi Pirandello, Eduardo De Filippo, ha tradotto e curato l’edizione slovena del Mistero buffo di Dario Fo (Dario Fo, Burkaški misterj, Ed. Didakta Radovljica 1988) [Nativo]

    [Bibliografia di riferimento]
    [M.Aucelli, Il fascismo a Montecalvo Irpino, Irpinia Libri, Monteforte Irpino AV, 2019]

  • Fascismo,  Guerra,  I confinati,  Il nostro passato

    Racconti dal Confino delle Isole Tremiti: Josip Kravos

    Josip Kravos

    Josip – Giuseppe Kravos (S. Croce di Audissina 5 agosto 1909 – Trieste 13 aprile 1972) viene arrestato il 5 settembre 1940 a Cagliari1, trasferito nelle carceri di Trieste e successivamente “condannato” all’internamento sull’isola di San Domino (Tremiti) dove rimane dal 27 marzo 1941 al 7 gennaio 1942, quando, in seguito a una richiesta di trasferimento per motivi di salute (deperimento psicofisico) viene inviato nella località di internamento di Montecalvo Irpino, in provincia di Avellino. La descrizione del suo periodo di internamento a San Domino è tratta da: Josip Kravos, Moje in vaše zgodbe iz let 1931 – 1945, ZTT-EST, Trst – Trieste, 1975, pp. 73-85.

    INTERNAMENTO ALLE TREMITI
    L’isola di San Domino era piena di internati di tutte le etnie, italiani, croati, francesi, spagnoli perfino ebrei e zingari. C’erano anche alcuni neri. Ma per metà eravamo sloveni e croati, perlopiù dalla Venezia Giulia. Noi eravamo tutti antifascisti, anche se di diverso credo ideologico.
    La maggior parte degli internati politici italiani era composta di comunisti. Erano ben organizzati. Ricevevano notizie e istruzioni dalla terra ferma. Fra loro, il personaggio di spicco era il dottor Eugenio Musolino, persona piena di entusiasmo, sempre ben disposta e molto rispettosa nei confronti degli altri. I comunisti della Venezia Giulia si erano uniti a loro. Non mi ricordo chi fosse il capo tra gli sloveni. Ho sempre un bel ricordo del mio benefattore Rihard Cebron, di Armido Ukmar e del buon Rudi Vilhelm, uomo taciturno.
    Tra gli internati comuni c’erano anche dei truffatori, degli assassini, rapinatori e borsaioli. C’era anche qualche cerebroleso. Questi erano stati internati per fare «numero», al posto dei veri delinquenti che invece avevano corrotto i testimoni ed erano riusti a salvarsi.

  • Cultura,  Cultura orale

    Alan Lomax. Il passaggio a Montecalvo Irpino – Il fotografo dei suoni

    [Edito 30/03/2023] Cosa ci fanno alcune donne di Montecalvo Irpino in un fotogramma di una pellicola per macchine fotografiche analogiche, pubblicata nell’inserto La domenica del quotidiano la Repubblica il 16 novembre 2008? Probabilmente, quel giorno, nessun lettore di Montecalvo, sfogliando il giornale, avrà prestato attenzione a tale foto, né riconosciuto, in quella vecchia immagine, le conterranee Libera Gruosso (Murante), Angela Paduano (Tagliacòccia), Rosa Tufo (Vavone) e Giuseppina Iannone (Pippinèlla Vintidóji).
    Ebbene, nel servizio firmato dal compianto Edmondo Berselli, si parla dell’etnomusicologo americano Alan Lomax, e del suo soggiorno in Italia, da lui ricordato nelle sue memorie e successivamente confluito nella pubblicazione curata da Goffredo Plastino dal titolo L’anno più felice della mia vita. Un viaggio in Italia: 1954-1955.
    Quattro anni più tardi, giovedì 2 febbraio 2012, nella rubrica Costume & Società, anche Il Mattino di Napoli titolava su Lomax, soffermandosi sul suo viaggio in Irpinia, con l’articolo A Montecalvo la voce perduta del Sud, a firma di Giuseppe De Nisco .
    È opportuno partire da queste due pubblicazioni, apparentemente dissimili l’una dall’altra, ma, come chiariremo in seguito, strettamente connesse tra loro, per capire quanto poco si conosca della tradizione musicale montecalvese più o meno recente. [Nativo]

    Redazione

    [Bibliografia di riferimento]
    [A. Cardillo – F. Cardinale Alan Lomax. Il passaggio a Montecalvo Irpino Terebinto Edizioni, Avellino, 2021]

  • Canti popolari di tradizione orale,  Cultura,  Pellegrinaggi

    Il pellegrinaggio al Santuario della Madonna Incoronata

    Redazione

    [Edito 31/03/2023] Rievocazione allegorica di leggende e apparizioni che gruppi di devoti di varia provenienza interpretano annualmente ritrovandosi e mescolandosi sul luogo del santuario.
    Rito millenario che torna a rinnovarsi ogni primavera, al centro del Tavoliere, in onore della Madonna nera: è un culto basato sulla leggenda di fondazione che vede la Madonna Incoronata apparire su di una quercia, attorniata da figure di angeli e santi; ai suoi piedi il pastore contadino in adorazione e San Michele nell’atto di trafiggere il demonio con la spada.
    Questa immagine la tradizione popolare l’ha fatta propria, adattandola e riadattandola a pratiche giuridiche e magico-religiose, espressioni letterarie, iconografiche, gestuali e spettacolari, miscelandosi con la tradizione colta e la propaganda religiosa.
    I pellegrini allestiscono vere e proprie sacre rappresentazioni itineranti su carri agricoli e mezzi di lavoro motorizzati (un tempo carretti, cavalli e buoi), accompagnando questi ‘allestimenti scenografici’ con preghiere, laudi, inni, musiche, che nei tre giri rituali intorno al Santuario compongono l’ultimo venerdì di aprile nella solenne parata allegorica che è la “Cavalcata degli Angeli”. L’indagine fu condotta nel luogo d’incontro (il Santuario) dei vari gruppi provenienti dalle diverse località e successivamente anche nei rispettivi paesi d’origine, documentando modi di aggregazione, identità sociale, motivazioni e organizzazione in partenza e durante il pellegrinaggio al santuario.

    La documentazione sonora presenta canti di pellegrinaggio di diversa provenienza: Subappennino Dauno (Sant’Agata di Puglia), Basilicata (Palazzo San Gervasio, Tricarico), Campania (Montecalvo Irpino), Tavoliere (Cerignola), Murgia (Minervino Murge); canti religiosi polivocali, con aerofoni (zampogne, soprattutto dei gruppi provenienti dalla Basilicata, come il gruppo di Tricarico). In alcuni casi la maggiore ‘familiarità’ instaurata tra i ricercatori e i pellegrini residenti per alcuni giorni presso gli spazi del Santuario, ha permesso anche la raccolta di sequenze di canti di lavoro, narrativi e di cerimoniali laici (si veda in particolare la raccolta relativa a Minervino Murge, con un portatore come Leonardo Malizia che esegue soprattutto canti di lavoro, stornelli e canti narrativi). Diverse interviste contengono informazioni sull’origine dei pellegrinaggi per ogni comunità, le modalità organizzative, di allestimento dei carri votivi e narrazioni biografiche dei singoli pellegrini. [Nativo]
    [Crediti│Testo: Altrosud] [Correlato]

  • Beni,  Beni culturali,  Cronaca

    Crocefisso aureo sparito, Monsignor Acrocca chiarisce la sua posizione

    Redazione

    [Ed. 17/04/2021] Sulla posizione che ha ritenuto di assumere l’Arcivescovo, Monsignor Felice Accrocca, in merito alla vicenda della sparizione del ‘Crocifisso aureo’, giunge la spiegazione ufficiale. “Oggi, durante la trasmissione televisiva ‘ItaliaSì’, in onda su Rai 1 in orario pomeridiano, l’arcivescovo, monsignor Felice Accrocca, è stato chiamato in causa in riferimento alla vicenda della sparizione del ‘Crocifisso aureo’, forgiato con oro votivo, offerto in dono a san Pompilio Maria Pirrotti e conservato a Montecalvo Irpino (AV) presso il Museo parrocchiale. Chi ha parlato, ha affermato – impropriamente – che l’arcivescovo non sarebbe “intervenuto”.

    Al contrario, si precisa che, non appena è stato informato del fatto – che riveste gli estremi del reato –, l’arcivescovo ne ha riconosciuto la gravità e, dopo un confronto con il parroco del luogo, ne ha sostenuto la scelta che lo stesso inoltrasse denuncia all’Autorità giudiziaria, come poi è avvenuto. Al momento le indagini sono in corso e – come è suo costume, non da oggi, ed obbligo –, finché non si avranno risultati sicuri, egli reputa suo proprio dovere, nel rispetto della giustizia, non interferire in alcun modo su di esse. Quando le indagini avranno dato il loro esito, alla luce di responsabilità certe prenderà le opportune decisioni. Tal modo di agire non è segno né – ancor meno – frutto di disinteresse, ma è dettato dalla doverosa prudenza; diversamente, si rischierebbe di procedere in base a sospetti e illazioni, senza supporto alcuno di prova, aggiungendo così danno a danno in una comunità già lacerata.

    Si spera, in tal modo, di aver chiarito le ragioni che hanno, fino al presente, orientato le scelte dell’arcivescovo”. [Nativo] [Correlato]

    [Crediti│Testo e Foto: tgnewstv]