Beni etno-antropologici
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Ospedale di S. Caterina
L’ospedale di S.Caterina sorse nel XIII secolo per volontà degli armigeri che, di ritorno dalla Terra Santa, lo costruirono addossandolo direttamente alla cerchia muraria. L’ospedale fu eretto accanto all’omonima chiesa, non più esistente, fondata alla fine dell’ XI secolo dai Crociati montecalvesi di ritorno dalla Terra Santa. L’esistenza, già a quell’epoca, di un ospedale è stata interpretata come segno del notevole livello raggiunto dalla società di Montecalvo, ove pare che si svolgesse una fiera intitolata anch’essa a S. Caterina e svolta nello stesso luogo. Più tardi sorse anche un altro ospedale, quello dell’Annunziata, ubicato fuori dalle mura. Nel 1518, grazie al conte Sigismondo Carafa, l’Ospedale e la chiesa di S. Caterina furono affidati a Felice da Corsano, religioso locale nonché fondamentale figura nella storia dell’Ordine Agostiniano. Un documento del XVII secolo rende note la quantità e la funzione degli ambienti che componevano l’ospedale, tra cui una stanza adibita a carcere, un’altra con grotta adiacente, due dormitori, otto celle oltre ai locali di servizio. L’Ospedale di S. Caterina è attualmente ricordato attraverso i suoi ruderi che mostrano, tuttavia, ancora gli ingressi: quello principale a sud, le altre entrate ad ovest. Chiaramente percepibile è l’imponente volumetria dell’edificio, in cui sono chiaramente definiti una torre tronco-conica ed un contrafforte.
Redazione
[Bibliografia di riferimento]
[Cavalletti G.B.M. Montecalvo dalle pietre alla storia, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1987]
[AA.VV., Progetto Itinerari turistici Campania interna: la valle del Miscano, Volume 1 , Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1993]
[Credit│Foto - G.B.M. Cavalletti]
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Fregi dai motivi ispano-americano sui portali di C. Umberto in Montecalvo Irpino
Montecalvo Irpino AV – I portali presenti in tutto il centro storico, in particolare in Corso Umberto, riportano nella chiave di volta fregi dai motivi ispano-americani, importati dai soldati spagnoli che in queste zone si stabilirono nei secoli passati. Non è difficile incappare in simboli quali facce di puma, foglie di marjuana, uccelli esotici.
Redazione
[Bibliografia di riferimento]
[Cavalletti G.B.M. Montecalvo dalle pietre alla storia, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1987]
[AA.VV., Progetto Itinerari turistici Campania interna: la valle del Miscano, Volume 1 , Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1993]
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LA «SEKOMA» DI MONTECALVO IRPINO
UN PO’ DI CHIAREZZA SULLA CORRETTA DATAZIONE – SEKOMA
SEC. XVI
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SEKOMA
III-II SECOLO A.C.
[…]
ETA’ ELLENISTICAGiovanni Bosco Maria Cavalletti
Sono, le soprascritte indicazioni, la sintesi di un dibattito che tra la primavera del 2010 e quella del 2011 animò la discussione culturale montecalvese.
In tale periodo, le due distinte ma attigue segnaletiche turistiche campeggiarono contemporaneamente davanti all’ingresso della Casa Comunale di Montecalvo Irpino per indicare l’età dello stesso reperto.
Una situazione tra il grottesco e il ridicolo che suscitava curiosità, ma anche sconcerto e incredulità.Cosa era successo? Molto semplicemente che in una revisione generale della datazione dei principali monumenti del paese e in seguito ad una mia consulenza che datava al XVI secolo il manufatto in questione, l’amministrazione comunale aveva provveduto a rettificarne la precedente cartellonistica che, di contro, lo datava all’epoca ellenistica.
Sekoma – Targa descrizione manufatto A quel punto si sarebbe dovuto rimuovere il vecchio cartello, ma prima di farlo l’amministrazione comunale voleva l’autorevole parere della competente soprintendenza.
A tale effetto, con nota prot. n. 7180 del 17 agosto 2010 avente per oggetto datazione manufatto denominato «sekoma», l’ente comunale chiedeva ai sostenitori delle contrastanti tesi di relazionare per iscritto in merito alle loro argomentazioni. Acquisite le relazioni, con lo stesso protocollo, veniva formalmente richiesto il parere della Soprintendenza Archeologica per le province di Salerno, Avellino Benevento e Caserta.Intanto, in attesa del responso, permanevano entrambe le indicazioni fino a quando, con nota del 04/04/2011, prot. Cl. 28.14.00/51, inviata al Comune di Montecalvo, alla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici e Etnoantropologici di Salerno e Avellino, nonché all’Ufficio Archeologico di Avellino, la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, poneva fine al dubbio dando la seguente risposta, regolarmente notificatami dal Comune di Montecalvo con lettera del 07/05/2011, prot. n.3915, avente per oggetto «Richiesta datazione manufatto denominato “Sekoma”»:
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Convento S. Antonio da Padova di Montecalvo Irpino
[Edito 00/00/00] La famiglia francescana di Montecalvo Irpino vive all’ombra del convento di S. Antonio all’entrata del paese. Il convento, da sempre residenza dei frati minori , fu costruito intorno al 1600, distrutto molte volte dal terremoto, oggi si presenta come una struttura moderna e funzionale. Annessa al convento e alla chiesa di S.Antonio da Padova, c’è l’Oasi Maria Immacolata. Il convento rappresenta il punto di aggregazione degli amici di S. Antonio per rinfrancarsi spiritualmente e portare a tutti il messaggio cristiano di Pace e Bene. Nel 1222 San Francesco d’Assisi, percorrendo le antiche vie romane, andava pellegrino al Santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano. Montecalvo, centro strategico sulla via IGNATIA (al di sopra di Casalbore), lo vide passare non lontano e conservò il ricordo della sua predicazione e del suo insegnamento. Il seme gettato dal poverello di Assisi germogliò subito a Montecalvo grazie alla devozione a uno dei suoi figli più grandi: S. Antonio.
Nel 1520 Papa Leone X, con la bolla Esponi Nobis Nuper, accondiscese alla richiesta di Sigismondo Carafa, primo conte di Montecalvo, di poter costruire un monastero per i minori riformati di San Francesco.
Nel 1626 cominciavano i lavori per il convento di Sant’Antonio. In quell’occasione, si racconta, un frate piantò Il tiglio * (ormai vecchio di quattro secoli) che si ammira di fronte al monastero. Quel tiglio, per secoli, è stato il geloso custode di vita e miracoli dei viandanti che, all’ombra della sua frondosa chioma, si riposavano al ritorno dai faticosi lavori agricoli. Si dice pure che ai suoi maestosi rami, quando la giustizia veniva amministrata in loco, un cittadino, reo di un gravissimo misfatto contro la persona, sia stato impiccato. Da questo episodio, quando il convento si trovava “fuori terra”, cioè al di fuori del centro abitato, è scaturita la leggenda del fantasma che si aggira, di notte, attorno al tiglio (l’ “esistenza” di questa pianta di quasi quattrocento anni d’età è stata segnalata, con foto, da chi scrive, al FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano – per essere inserita nell’elenco degli alberi monumentali d’Italia).
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Montecalvo. Presentazione del restauro registro battezzati anni 1699-1716
Giovanni Bosco Maria Cavalletti
Una meravigliosa storia nell’affacinante contesto del Settecento montecalvese.
Tratto dalla mia relazione:
“… Rimasugli di secoli si addossavano gli uni agli altri rievocando tempi di gloria e di abbandono. Il grigio argenteo delle ragnatele, illuminate dal fascio improvviso di luce penetrato dalla porta sospinta, si rifletteva sulle pareti e sulle cose. Aveva avuto, netta, la sensazione di essere atteso in quella stanza. Penetrò con lo sguardo la trama d’argento.
Frammenti del tempo erano sparsi dovunque. Eppure da essi, impalpabili, lucide scie si componevano in disegni finiti e consumati. Vissuti. Ma c’era dell’altro, lo sentiva.
Avvertiva un richiamo istintivo, necessario. Avanzò con cautela, timoroso di rompere quello strano, affascinante equilibrio. Un rumore leggero, un fruscio, quasi un sussurro, accompagnò un lievissimo sfarfallio delle ragnatele. Trepidante, come in attesa, si senti scivolare in una strana dimensione, come avvolto dal tempo. Mamma Bella! – Esclamò…
…
… La fisicità della morte ancora promanava dall’aria. Era presente nella memoria e nei luoghi, nelle tracce di bruciato come nell’acre odore della calce cosparsa a coprire e a cancellare.
Era lì, tra i vivi, angosciante negli echi sopiti degli urli, terrificante nei silenzi degli sguardi impotenti.
Rievocata dai fumi d’incenso, prodighi ma insufficienti a coprirne i vapori esalanti dalle cripte.
Non erano bastate le fosse di sepoltura: Santa Maria, San Sebastiano, Santa Caterina, il Santissimo, la Buona Morte, Sant’Antonio, l’Angelo…, si era ricorsi alle fosse comuni.
Sentimenti di intensa pietà, misticismo, ambizione di poteri straordinari, magia: questo il variegato scenario, surreale, apparentemente normale nella pratica indifferente del popolo che la quotidianità affollava di esperti fattucchieri, mavari, ianare e occhiarole, e con essi, le storie raccontate ai guizzi dei caldi camini invernali, o sulle afose aie d’estate intorno a covoni sempre più magri di grano, in tuguri di tufo già risuonati di pianto, bisognosi di forti esorcismi…” -
Oreficeria montecalvese
[Ed. 04/10/2004] Quando si parla di cose preziose e di valore,di oggetti inestimabili,di rarità e quant’altro,il pensiero corre automaticamente all’oro.
Non è casuale tale ovvia e scontata considerazione, specie quando il metallo incorruttibile ha segnato tutte le fasi storiche ed esistenziali del nostro essere uomini, in lotta con la natura ostile prima,e fedeli alleati oggi,per garantirci un futuro e una evoluzione.
Migliaia di anni di evoluzione e di civiltà,hanno prodotto l’uomo che noi conosciamo e temiamo,ma quel che non è cambiato quasi per niente,in questi millenni e il rapporto con l’oro,sia sotto l’aspetto economico che sotto l’aspetto ornamentale.
Quel che più stupisce e che anche la tecnica di lavorazione e rimasta sostanzialmente identica,anzi ancor oggi,alcune tecniche rimangono sconosciute e la perfezione di alcuni monili raggiungono vette ineguagliabili .
La considerazione più ricorrente di una donna che visita un museo e che osserva le vetrine destinate ai pezzi di oreficeria,e la bellezza ,l’attualità e modernità dei pezzi,con quella naturale propensione ad averli,non per l’intrinseco valore artistico,ma come oggetto da ostentare e indossare nelle occasioni importanti della vita.E’ questo il senso logico che ha contraddistinto la creazione e l’evoluzione della oreficeria nei secoli,la sua inutilità materiale,la esclusiva destinazione all’incanto al desiderio,alla fantasia,alla bellezza della ricchezza,mancando o difettando la bellezza naturale… -
Breve storia dell’arte orafa montecalvese
[Ed. 04/10/2004] Con l’unità d’Italia furono realizzate le prime sistematiche statistiche economiche,con mirati censimenti volti alla conoscenza del territorio dello Stato.
Anche i Borbone,in verità, vi avevano pensato,appena qualche decennio prima del tracollo,ma con un intento completamente diverso:magnificare le bellezze e le ricchezze del paese,senza alcuno scientifico riferimento all’aspetto economico,che veniva demandato alla autonoma capacità gestionale del territorio.
Da questi dati,estremamente interessanti si evincono le peculiarità dei vari comuni, come per Montecalvo,che ben appalesava la sua certa vocazione agricola,ma anche una non secondaria attività artigianale (100 scarpari,fabbri,armaioli,ricamatrici… ).
Tra i tanti traspare la presenza di un Orafo,che non è considerato come una professione vera e propria,forse perché riconducibile a particolari gruppi etnico-religiosi,o per quella naturale ritrosia Del meridionale a manifestare le proprie “debolezze”,ingigantendo le proprie miserie.
Un paese di commercianti e artigiani dunque,che da oltre quattro secoli non e mai sceso sotto i quattromila abitanti e con una storia politica,militare,ecclesiastica di primaria importanza e di sicuro prestigio nazionale.