Cultura

  • Canti popolari di tradizione orale,  Commiati,  Persone

    Addio a ‘Zi Liberato, messaggero della musica di tradizione

    Francesco Cardinale

    Montecalvo Irpino AV – L’organettista Liberatore Russolillo, meglio conosciuto come ‘Zi Liberato, è stato un vero monumento della musica popolare montecalvese, rappresentando una delle massime e più genuine espressioni della cultura orale locale.
    Di questa straordinaria icona popolare si potrebbe scrivere a iosa, ma mi limiterò ad alcune considerazioni personali, chiedendo scusa sin d’ora se non menzionerò le decine di persone che si sono interessate e hanno contribuito a trasformare Liberatore Russolillo in una sorta di leggenda vivente.

    Già trombettiere durante il servizio militare, ‘Zi Liberato aveva coltivato la passione per la musica sin da giovanissimo. Grazie a una incredibile e longeva carriera, è stato possibile recuperare suoni, canti e modi di dire ancor prima che la musica popolare si propagasse attraverso i media come la radio e la televisione.

    Ha partecipato a trasmissioni televisive, girato documentari, concorsi, sagre, matrimoni, insomma: non si negava a nessuno. Amava esibirsi con il gruppo delle Pacchiane. Era solito iniziare le sue performance con il suo ormai celebre motto: “Bandiera vecchia, onore di Capitano[1]. Fuoco!”

    Grazie ad Angelo Siciliano, Liberatore Russolillo fu sdoganato da un ambito paesano per assurgere ad una notorietà anche oltre i confini nostrani. Il ricercatore, circa 15 anni fa, volle conoscere Liberato a tutti i costi, convinto che fosse proprio lui l’ultimo depositario della tarantella montecalvese. Infatti, insieme a chi scrive, lo aspettammo al mercato settimanale dove ‘Zi Liberato era solito recarsi con il suo immancabile motocarro  per poi proporgli una seduta di registrazione a casa mia.  Quest’ultima è diventata nel frattempo virale, poiché i suoi video sono ancora tra i più visti sul canale YouTube di irpino.it.

    Tra le tante persone che lo hanno amato e intuito il suo potenziale, e che hanno contribuito a fargli rivivere una seconda giovinezza, non va dimenticata la promotrice Lucia Cafazzo che lo propose alla trasmissione televisiva “La Corrida”, e il musicista Valerio Ricciardelli che lo incluse nei suoi spettacoli.
    [Crediti│Foto: Angelo Siciliano]

    [1]In riferimento al suo strumento ultracentenario

  • Cultura,  Il nostro passato

    Rione Serra intitolato a Cristino

    Angelo Siciliano

    [Ed. 10/05/2013] L’ex rione Serra di Montecalvo Irpino sarà dedicato al farmacista Pietro Cristino, il primo sindaco di Montecalvo Irpino. Lo ha deciso la giunta esecutiva guidata dal sindaco Carlo Pizzillo. Il dottore Cristino fu commissario civico dal giugno del 1944 al 6 aprile del 1946; Parlare di Giuseppe e Pietro Cristino, oggi, nell’epoca del crollo delle ideologie, dopo l’implosione dei regimi totalitari dell’Est europeo, ma anche di guerre sanguinose – basti pensare a quella del Golfo Persico e all’altra tra le nazioni dell’ex Iugoslavia – che sicuramente hanno trovato una concausa nel crollo del Muro di Berlino del 1989,che ha segnato la fine della guerra fredda e dei blocchi contrapposti, guidati dalla fine della seconda guerra mondiale rispettivamente da USA ed URSS, potrebbe anche significare andare ad indagare fatti, persone e vicende del Novecento, la cui storia, oltre che non sempre ripercorsa e chiarita adeguatamente e a sufficienza, ci appare distante anni luce. E proprio tale distanza consente che tanti personaggi di primo piano, che hanno fatto la storia civile e sociale del nostro paese, possano essere spesso posti in discussione per le scelte politiche fatte e per il loro operato nel secondo dopoguerra, in quanto hanno contribuito, seppure indirettamente, a quel sistema politico nazionale bloccato, rimasto senza alternativa. Si è parlato e si parla anche di democrazia incompiuta.

    La realtà è che per più di quaranta anni ci hanno governato più o meno le stesse persone, realizzando – caso unico tra i paesi occidentali – una sorta di “dittatura” in democrazia, che ha determinato conseguenze assai gravi: invecchiamento e inefficienza delle Istituzioni pubbliche; alcuni fenomeni gravi di collusione tra politica e criminalità organizzata; intere regioni alla mercé di mafia, ‘ndrangheta o camorra che insanguinano il Sud sostituendosi allo Stato come se questo avesse rinunciato alle proprie funzioni; malcostume diffuso della pratica del pizzo e della bustarella per cui, sempre più spesso, la cronaca nera è ricca di casi di burocrati e amministratori locali divenuti essi stessi, in prima persona, i gestori del malaffare. È il “diritto negato” ad alimentare spesso faide tra i malavitosi e comportamenti omertosi anche tra i cittadini. I partiti politici si sono trasformati in qualcosa di diverso da ciò che erano originariamente: da strumenti di democrazia sono diventati organizzazioni di potere. Tuttavia pare che ora qualcosa cominci a cambiare e fasce non trascurabili della popolazione non sono più disposte a concedere la propria delega in bianco ai politici, portati sempre più ad anteporre gli interessi particolari, di pochi privilegiati, all’interesse generale della collettività.

  • Cultura,  Persone

    Benito Caruso artista del legno

    Francesco Cardinale

    Benito Caruso, pittore e scultore nato a Montecalvo Irpino nel 1943, è stato un artista del legno di cui, probabilmente, la considerazione nella comunità in cui ha operato non ha avuto riscontro pari alla sua arte. Allo stesso modo, non si può dire che la stampa locale abbia dedicato un adeguato spazio alla sua opera.

    Benché abbia frequentato un corso di grafica e pittura, può essere considerato un autodidatta. Le sue opere sono nate grazie a un’innata indole creativa. Ha ottenuto premi e riconoscimenti di rilievo, fra cui l’Oscar dell’Arte del ’95, i titoli di Cavaliere dell’Arte e Magister Artis.

    E’ stato recensito da numerosi critici su giornali, riviste e volumi d’arte. Egli amplia il suo gesto creativo formulando sculture di chiara dizione sociale e, con garbo, sottolinea la sua frase sull’amore universale M. Belgiovine. Il pittore Caruso riesce a comporre una delicata allegoria fatta di simboli ma anche di un cromatismo teso a valorizzarlo […] R. Biancalani. […] Dall’amore per le cose del creato cosi come Dio le ha fatte, scaturisce questo suo canto d’amore verso creature considerate nella loro funzione essenziale di essere viventi, sia che appartengono al regno animale , sia che appartengono al regno vegetale […] C. Nastro

    Benito Caruso è venuto a mancare  il 19 novembre 2019 .

     

  • Beni,  Beni artistici e storici

    Lo storico Palazzo Stiscia

    Per gentile concessione di Giovanni Bosco Maria Cavalletti, Storia di Montecalvo Irpino, opera in allestimento.

     

    La famiglia Stiscia, attuale proprietaria dell’immobile che la tradizione orale tramanda come l’antica residenza di Mario Carafa, figlio di Giovan Francesco secondo conte di Montecalvo, riferisce che ancor prima dell’elezione episcopale di monsignor Gaetano Maria Stiscia a vescovo di Nusco (1860-1870), un loro avo l’acquistò dalla famiglia Volpe, di origine beneventana […][1]. Potremmo ipotizzare, secondo tale ricostruzione, che dagli eredi di Mario Carafa l’antico palazzo sia passato alla famiglia Volpe […] e, da questa, agli attuali proprietari Stiscia. Il palazzo originario fu raso al suolo e ricostruito ex novo dopo il terremoto del 21 agosto 1962.

    L’attuale residenza Stiscia




    [1] La presenza a Montecalvo della famiglia Volpe è testimoniata dal certificato del 24 gennaio 1713 che attesta le pubblicazioni di matrimonio da celebrarsi tra la signora Giuseppa Piccirillo e il dottor fisico signor Luca Volpe di Benevento. Il cognome della futura sposa ci riannoda alla famiglia del rettore parroco di San Nicola, il reverendo Giuseppe Piccirillo che ebbe intensi rapporti con la città di Benevento essendo già dal 1695 il procuratore del canonico Paolo Farelli, arcidiacono della cattedrale beneventana, e dal 1706, per concessione dell’arcivescovo di Benevento il cardinale Vincenzo Maria Orsini, potette fregiarsi delle insegne canonicali della collegiata beneventana di Santo Spirito.

    Redazione
    [Crediti│Foto: Album di Famiglia]
  • Guerra,  I confinati

    La maestrina Maria Aymini

    Mario Aucelli

    Maria Aymini

    Da noi, a quell’insegnante, presunta fiamma del monaco innamorato, fu “appiccicato” il nome: “La signurina Imini“. Il nome corretto era: Maria Aymini (nata il 22 gennaio 1914), colta docente, inviata a Montecalvo Irpino, dalla provincia di Cuneo in “confino” perché contraria alla “filosofia mussoliniana“. Giovanissima (a vent’anni, il 22 ottobre 1934) fu inviata, suo malgrado, a insegnare nel nostro paese (dopo essere transitata per il “confino” di San Bartolomeo in Galdo in provincia di Benevento) e vi restò fino al 18 maggio 1951 (insegnò a Montecalvo per 17 anni), allorquando si traferi a Savigliano, in provincia di Cuneo, paese d’origine della mamma. In lei, dopo 1’8 settembre 1943, prevalse lo spirito “barracadiero” lasciata la casetta asismica dove viveva con la madre alla base della pineta comunale, si uni ai partigiani e andò verso Cassino a fare la crocerossina in un ospedale da campo, precisamente a Capua, nel Casertano. Per questo, al termine della guerra, fu premiata con una medaglia. Alla fine delle ostilità ritornò a insegnare a Montecalvo dove la mamma era rimasta in attesa del suo ritorno nell’alloggio precario della pineta.

    Il 18 luglio 1975, il Presidente della Repubblica concesse alla cara e indimenticata maestra Aymini, il “diploma di benemerenza di prima classe per otto lustri di lodevole servizio nelle scuole elementari” con facoltà di fregiarsi di medaglia d’oro al merito. Nel 2014, per i tipi di Irpinia Libri (curatore Alfonso De Cristofaro), il professore Mario Sorrentino, dedicò alla sua maestra Maria Aymini, un bel libro di ricordi dal titolo “Dall’irpinia a Cassino

    [Bibliografia]
    [M.Aucelli, Il fascismo a Montecalvo Irpino, Irpinia Libri, Monteforte Irpino AV, 2019]

  • Approfondimenti,  Cronaca,  Viabilità

    Stazione ferroviaria: una vera Via Crucis

    Redazione

    [Edito 27/08/2014] Già nel lontano 1913 Padre Bernardino  Santosuosso, nel suo libro Pagine di Storia Civile, scriveva:  “alcune modeste aspirazioni dei cittadini di Montecalvo  per mettere, veramente, il nostro paese su la via del progresso. Aspirazioni, che sono già in realtà per le più umili borgate che non hanno una storia e che per noi oggi sono un pio desiderio – ma che sarebbero urgenti, per far sparire il nostro isolamento ed, insiememente, si praticherebbe un commercio utile ed altro”.
    Dopo un secolo niente è cambiato, anzi , cose che avevano acquisite con grandi lotte e mobilitazioni popolari ci sono state tolte a discapito dell’esigenza di un progresso eco sostenibile.
    Una  linea ferrovia che collegasse il mar Tirreno con il mar Adriatico ed in particolare Napoli con la provincia di Foggia era già stata disegnata nel 1836, ma tra questa ipotesi e la realizzazione della linea trascorsero alcuni decenni: infatti, le diverse questioni che sorsero attorno al progetto della linea riguardavano non il collegamento ferroviario in sé, quanto il percorso che esso avrebbe dovuto seguire.

    Le diatribe nacquero nel dover decidere quali centri sarebbero stati toccati dalla nuova linea, oltre alle solite considerazioni di carattere tecnico ed economico e agli interessi della stessa Società per le Strade ferrate meridionali che era la concessionaria per la costruzione della linea. E così si optò per l’attuale linea e vennero isitituite le stazioni Ariano Irpino, Montecalvo – Buonalbergo – Casalbore. Si tentava di avviare lentamente un tentativo di sviluppo per le zone delle aree interne con un servizio ferroviario che unendo Napoli a Foggia offrisse nuovi spunti di progresso per gli abitanti della Valle del Miscano. Nel 2013, un secolo dopo l’auspicio di Padre Bernardino Santosuosso  si torna indietro.

  • Araldica,  Cultura,  Il nostro passato

    Le origini dell’antica e nobile famiglia Franco in Montecalvo Irpino

    Redazione

    [Crediti│Testo: nobili-napoletani]
    [Edito 07/10/2021] Le origini dell’antica e nobile famiglia Franco si radicano probabilmente nella presenza politica di Re Guglielmo il Buono sul territorio irpino e che identifica nella figura di Petrus Frànculo (XII sec.), primo feudatario di Mons Calvus (attuale Montecalvo) che insieme a Gugliemo Potofranco per primo amministrò Mons Calvus come riportato nel Catalogo dei Baroni Normanni compilato ai tempi di Guglielmo il Buono e conservato presso l’archivio di Stato di Napoli,  il proprio capostipite.

    “Petri Franculi et Guillelini Potifranci – tenent Montem calvum, quod est feudum quatuor militum et Genestram feudum unius militis –
    et cum augumento obtullt milites decem”.

    A seguito della probabile cessione del feudo la famiglia, stanziatasi stabilmente sul territorio montecalvese scelse, probabilmente per motivi di carattere patrimoniale, di non abbandonare la cittadina perpetuando il suo ruolo di riferimento politico per il popolo nei successivi secoli. L’archivio storico della città documenta la presenza stabile della famiglia sul territorio nel corso dei secoli concedendo una traccia ben delineata nella sua linea genealogica principale degli ultimi trecentocinquanta anni.Tra la fine del 1600 e gli inizi del 1700 la famiglia risulta risiedere nel grande palazzo della piazza Purgatorio, la principale piazza della città attualmente detta “della Vittoria” e solo in seguito, a causa della scissione della famiglia in due ceppi primordiali ossia quello di Domenico e quello secondogenito di Nicola, che alla fine del 1700 Nicola edifica  “dirimpetto” al palazzo della famiglia acquistando alcune case di borgata il secondo palazzo Franco ed il giardino riportato negli annali locali come il più bello del paese.

  • Beni,  Beni artistici e storici

    Piazza Purgatorio, oggi Piazza Vittoria

    Per gentile concessione di Giovanni Bosco Maria Cavalletti, Storia di Montecalvo Irpino, opera in allestimento.
    All’inizio di Corso Vittorio Emanuele sorgeva il palazzo Caccese, uno dei più interessanti dal punto di vista architettonico. Esso faceva angolo tra il corso, ove affacciava l’ingresso principale, e la Piazza Purgatorio, oggi Piazza Vittoria. Era caratterizzato da una serie di cinque balconi sulla facciata principale e di due sul lato di Piazza Vittoria. Tutti della stessa grandezza si presentavano slanciati e sormontati ciascuno da armonici triangoli ornamentali scalpellati in pietra bianca. Privo di finestre su lato nord est, su cui insistevano due balconi armonizzanti con quelli del lato nord ovest, ne presentava otto sulla facciata principale, poste in doppia fila in corrispondenza dei quattro balconi, le superiori di doppia altezza rispetto alle omologhe sottostanti. Sotto il balcone centrale, ancora esistente, è collocato il magnifico portale in pietra bianca, vero capolavoro di sottili ricami. Su di esso campeggia lo stemma di famiglia. L’ala nord est del palazzo fu demolita dopo il terremoto del 1962; la parte estrema di quella nord ovest fu distrutta dopo qualche anno dal terremoto del 23 novembre 1980. Oltre al sontuoso portale ancora rimangono, del tutto, il balcone centrale ed uno laterale. Il palazzo Caccese a sud ovest, i Palazzi Franco a sud est e Capozzi a nord est, circondavano la vecchia piazza Purgatorio, così detta per la presenza della settecentesca chiesa del sacro cimitero intitolata a Gesù, Giuseppe e Maria, demolita a causa del sisma del 1930. Tutti e tre gli edifici furono letteralmente rasi al suolo dopo il terremoto del 1962. Sui loro siti sorsero delle moderne costruzioni che, irrispettose della storia e dell’arte, niente hanno conservato delle precedenti. La famiglia Franco era giunta a Montecalvo dopo la peste del 1656 inserendosi da subito tra le distinte famiglie locali. I Capozzi risiedevano a Montecalvo già nel XVI secolo, ma la loro residenza in Via Piano era stata costruita tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700. In virtù di alleanze familiari il palazzo assunse il nome di Capozzi-Camerlengo-Caccese.

    Redazione

  • ASPETTI ANTROPOLOGICI CULTURALI,  Canti popolari di tradizione orale,  Cultura orale

    Il folk edulcorato

    Angelo Siciliano

    [Edito 30/09/2021] Quello che è stato divulgato in questi anni, anche attraverso le tivù, è un folk edulcorato, fasullo, lontano mille miglia dall’autenticità ormai perduta col tramonto e coll’affossamento della nostra civiltà agro-pastorale. Solo un analfabe…tismo culturale, glottologico, antropologico, etnografico e una riscrittura di canti volgari, estranei alla tradizione montecalvese, e una miopia più o meno diffusa possono far ritenere che tanti sforzi fatti abbiano colto nel segno e fatto rivivere qualcosa che non potrà mai più ritornare. Anche i costumi delle pacchiane sono una vera pacchianata. Certo, fanno colore ma sarebbe stato meglio andare alla ricerca dei costumi autentici delle nostre bisnonne – e chi conserva qualche foto antica può rendersi conto di quel che dico – per ripensare a un modo diverso di far vestire qualche gruppo nostrano che ha l’ardire di esibirsi in giro. E non sono cento o mille persone o un milione di telespettatori che possono attribuire la patente di autenticità a uno spettacolo che di autentico non potrà avere nulla. Certo è uno spettacolo e lo è come tanti altri, e basta frequentare i festival del folklore, nazionale o internazionale, per ampliare le proprie vedute – d’altronde il nostro paesello non è l’ombelico del mondo – per capire che di quella “radice autentica” non è rimasto quasi nulla. Insomma si fanno delle variazioni sul tema. Gli oltre 200 canti , compreso un poema cantato di 107 quartine, che ho raccolto in paese in decenni di ricerca sul campo, mi mettono nelle condizioni di emettere questo severo giudizio. [Nativo]

  • Canti popolari di tradizione orale,  Editoria

    Il volume “Alan Lomax – Passaggio a Montecalvo Irpino” presentato a Palermo

    Antonio Cardillo

    [Edito 21/06/2022] Il 9, 10 e 11 Dicembre 2021, si è tenuto a Palermo il Convegno “Musiche di tradizione orale nell’era della conversione digitale”.
    Si sono avvicendati numerosi etnomusicologi italiani, tra cui Raffaele Di Mauro, Sergio Bonanzinga, Giovanni Giuriati, Giorgio Adamo, e tanti altri. Presenti anche alcuni studiosi della Association for Cultural Equity, fondata da Alan Lomax, e rappresentata oggi dalla figlia Anna L. Wood. Nell’ultima giornata, Giorgio Adamo nel suo intervento, presentando gli studi e le ricerche sui materiali dell’Archivio Lomax, per quanto riguarda la Campania si è soffermato sullo straordinario lavoro compiuto negli anni a Montemarano da Luigi D’Agnese e sul volume che abbiamo pubblicato con l’amico Francesco Cardinale sulla visita di Lomax a Montecalvo Irpino. [Nativo]