Ambiente
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IL TRATTURO DELLA TRANSUMANZA PESCASSEROLI – CANDELA
Mario Sorrentino
Il tratturo ai tempi del Sannio antico, oltre che una reale via d’erba che potevano percorrere gli animali, valeva come simbolo dell’unione prima di tutto sacrale e poi culturale e politica delle diverse tribù dello stesso ceppo etnico che si erano andate diversificando nel tempo e nello spazio nelle due culture materiali dei pastori e degli agricoltori.
Era la loro un’economia complementare che permetteva la reciproca sopravvivenza di allevatori e coltivatori in un territorio in prevalenza montuoso, aspro e molto freddo d’inverno, e con scarsi pianori coltivabili non molto fertili. Fondamento essenziale di quest’economia primitiva era perciò l’allevamento che avveniva con lo spostamento alternato in primavera e in autunno di milioni di capi di bestiame (pecore e capre, in prevalenza, ma anche buoi, maiali e cavalli) dai monti alle pianure, e viceversa, attraverso il vasto territorio compreso tra l’attuale Abruzzo e il Tavoliere pugliese.
I tratturi erano vie d’erba su terreni non fangosi aperti molto probabilmente dagli stessi animali che a branchi si spostavano alla ricerca dei pascoli, quando l’uomo del Neolitico si limitava a seguirli per cacciarli. Poi, con il susseguirsi delle varie civiltà (quella appenninica, i Sanniti, i Romani, ecc.) nel territorio attraversato dai maggiori tracciati, la transumanza fu organizzata e sfruttata economicamente, come è avvenuto sino a circa metà del secolo appena trascorso. “Sergenti” al comando dei pastori erano quei grandi e lanosi cani bianchi, selezionati anticamente e utilizzati ancora oggi per guidare le greggi: i cani di razza abruzzese.
Lungo il tratturo sorgevano le stazioni di sosta per il riposo di animali e uomini e per lo scambio di prodotti con gli agricoltori (lana, pelli, carne, formaggi, cuccioli contro cereali, olio e vino, e, su un piano solo per noi più elevato: lo scambio matrimoniale). Si svolgevano in quella occasione anche le varie ritualità ordinarie di tipo religioso (v. scheda su “Le Bolle della Malvizza”), politico e civile che cementavano la federazione delle diverse tribù sannite in tempo di pace. In guerra scattavano altri appuntamenti e riti propiziatori. Le stazioni di sosta erano quasi sempre comprese all’interno degli “oppida”. Piccoli centri urbani caratterizzati da un reticolo di vicoli contorti e stretti per poter controllare il deflusso delle greggi, dalla presenza di sorgenti abbondanti d’acqua, e difese da cinte di mura dette “ciclopiche” (mura di grosse pietre poste in opera a secco), le quali, dove possibile, venivano addossate a rocce, se non erano sostituite magari a tratti da queste quando erano inaccessibili naturalmente a nemici o a gruppi di predatori.
Gli “oppida” (sempre visibili tra loro almeno due a due) scandivano il tratturo in giornate di marcia in base alle esigenze del multiforme mondo di animali e uomini che si spostava due volte all’anno su e giù lungo il percorso, secondo il noto alternarsi “primavera – autunno” e “monte – piano”.L’informazione scritta più antica sulla transumanza è nel “De re rustica”, di Marco Terenzio Varrone : ”Neque eadem loca aestiva et hiberna idonea omnibus ad pascendum. Itaque greges ovium longe abiguntur ex Apulia in Samnium aestivatum atque ad publicanum profitentur ne, si inscriptum pecus paverint, lege censoria committant”; che traduciamo: “E gli stessi luoghi non sono idonei al pascolo di tutti gli animali d’estate e d’inverno. Perciò le greggi delle pecore sono condotte lontano dalla Puglia sino al Sannio per l’estate, chiedendone l’autorizzazione all’esattore delle imposte, per non incorrere nelle pene previste dalla legge censoria facendo pascolare un gregge non registrato.” (“De re rustica”, Liber II, 1, 16).
Oltre ai Romani, fu Alfonso d’Aragona ad accorgersi quale fonte di entrata per il Regno di Napoli potesse essere la transumanza. Con suo decreto del 1447 fu istituita “La Dogana delle Pecore di Foggia” nella cui giurisdizione confluivano tutti i tratturi che portavano le greggi a svernare nel Tavoliere pugliese non ancora dissodato per l’agricoltura. Regolato dalle norme della Dogana di Foggia era anche il tratturo che partiva da Pescasseroli e giungeva sino a Candela nelle Puglie. E’ un tratto di questo tratturo, di gran lunga il più importante nel vasto sistema della transumanza centro meridionale italiana, quello che ci interessa per il nostro museo all’aria aperta. Gli “oppida” e le stazioni di sosta nel tratto della “Pescasseroli – Candela” compresi nel nostro territorio erano Buonalbergo, Casalbore, la Malvizza (nel territorio di Montecalvo Irpino) e l’antica Aequum Tuticum (nel territorio di Ariano Irpino).
Le vie della transumanza all’epoca del Regno di Napoli avevano erano larghe sessanta “trapassi” napoletani (m. 111,11). -
IL PONTE DI SANTO SPIRITO, DETTO ANCHE “DEL DIAVOLO”
Mario Sorrentino
[Ed. 00/00/0000] Rudere del pilone di un ponte, con gli innesti delle arcate che una volta vi si appoggiavano; il ponte è detto anche “del Diavolo”, poiché in una leggenda agiografica, tra le altre cose, si narrava che era stato eretto e distrutto magicamente in una sola notte dal Diavolo. Lontano da ogni opera dell’uomo, alto e scabro, lo spuntone atterriva veramente i viandanti creduloni che non potevano evitare di passarci vicino di notte.
In realtà il pilone è tutto ciò che resta di un ponte romano che, come quello delle Chianche, nel territorio di Buonalbergo sorgeva lungo la Via Traiana, costruita agli inizi del II sec. d.C. per collegare più celermente Benevento a Brindisi, rispetto alla più antica Via Appia che portava ugualmente a Brindisi, ma passando da Aeclanum.
Il Ponte di Santo Spirito era probabilmente di dimensioni maggiori rispetto a quello delle Chianche, poiché doveva superare in questo caso un fiume, e un fiume dalle rive molto scoscese, il Miscano.
Nel greto ciottoloso di questo corso d’acqua, diventato ai nostri giorni una “jumara” secca, fu rinvenuta, qualche decennio fa, non lontano dal rudere del ponte, una pietra miliare di dimensioni non comuni, forse perché accoglieva nell’epigrafe informazioni anche sull’opera e sul committente in forma celebrativa. La lapide si trova ora in località Malvizza di Sopra, ma la sua sede originale era stata molto probabilmente uno dei capi del ponte.
Come si può vedere nelle nostre foto della lapide, si legge appena qualcosa dell’epigrafe. Troppo poco per ricostruire il suo senso completo. Comunque, il termine mutilo “–ONTES” che vale (P)ONTES, senz’altro accusativo plurale, e BRVNDISIVM possono farci azzardare l’ipotesi che nell’epigrafe si parlava di tutti i ponti costruiti da Benevento a Brindisi a spese di qualcuno, se “–(I?)A – SVA” si ricostruisce con (PECVNI)A SVA, cioè “con i suoi soldi”. Mentre la doppia abbreviazione “P – P”, “Pater Patriae” (“Padre della Patria”) è uno dei titoli ufficiali dell’imperatore come attesta l’epigrafe dedicatoria dell’Arco di Traiano a Benevento.
Chi poteva avere dunque tanti soldi se non il munifico M. Ulpio Nerva Traiano, che per finanziare tutte le sue bellissime e grandiose opere a Roma (il Foro con la famosa Colonna Ulpia e i Mercati coperti, le Terme con cui ricoprì la Domus Aurea di Nerone) e porti, ponti e archi ad Ancona, a Ostia, in Romania, a Benevento e in tanti altri posti stava quasi per dichiarare fallimento, imperatore e tutto che era?
Non ci risulta che l’epigrafe del Ponte del Diavolo sia stato registrato nel Corpus Inscriptionum Latinarum (C.I.L.)
[Nativo][Correlato nel SITO│Ponte di S. Spirito o del Diavolo]
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IL TIGLIO DEL 1626
[Edito 00/00/00] Nel 1626 cominciavano i lavori per il convento di Sant’Antonio. In quell’occasione, si racconta, un frate piantò Il tiglio * (ormai vecchio di quattro secoli) che si ammira di fronte al monastero. Quel tiglio, per secoli, è stato il geloso custode di vita e miracoli dei viandanti che, all’ombra della sua frondosa chioma, si riposavano al ritorno dai faticosi lavori agricoli. Si dice pure che ai suoi maestosi rami, quando la giustizia veniva amministrata in loco, un cittadino, reo di un gravissimo misfatto contro la persona, sia stato impiccato. Da questo episodio, quando il convento si trovava “fuori terra”, cioè al di fuori del centro abitato, è scaturita la leggenda del fantasma che si aggira, di notte, attorno al tiglio (l’ “esistenza” di questa pianta di quasi quattrocento anni d’età è stata segnalata, con foto, al FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano – per essere inserita nell’elenco degli alberi monumentali d’Italia). [Nativo]
Redazione
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Presentato il programma per la raccolta differenziata
[Ed. 11/02/2008] Montecalvo Irpino – Il Comune si attrezza per contribuire a risolvere il problema relativo alla emergenza rifiuti ed individuare alcune aree potenzialmente idonee per lo stoccaggio: si tratta delle zone Valli, Trigna-Mauriello e Brecce. La decisione è emersa al termine della conferenza dei capigruppo, che si è svolta ieri sera nella sede del comune di Montecalvo Irpino, alla presenza del sindaco Giancarlo Di Rubbo. Il tema in discussione riguardava la condivisione delle problematiche legate ai rifiuti, l’esame della ordinanza emessa dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, l’individuazione delle aree di conferenza provvisoria e la programmazione della raccolta differenziata. Il primo cittadino ha espresso sconcerto per l’assenza delle organizzazioni sindacali, “perché – ha affermato – mai come in questo caso la solidarietà delle istituzioni e delle rappresentanze sindacali deve realizzare l’azione di corretta informazione e di supporto al Commissario delegato per porre finalmente la parola fine a decenni di incuria ed incapacità”. I capigruppo, Alfonso Caccese e Carlo Pizzillo hanno condiviso l’iniziativa assunta da Di Rubbo e l’assessore Carlo Serafino ha proceduto a presentare la bozza di programma per la raccolta differenziata, basata sul codice identificativo del produttore a lettura elettronica con scheda personale di carico, dal cui novero, a fine anno saranno calcolate le detrazioni dall’importo della tassa. [Nativo]
[Credit│irpinianews.it]
Redazione
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La stagione del fiume Miscano
Francesco Cardinale
[Ed. 25/11/2010] Il fiume Miscano è una delle risorse naturali più imponenti e suggestive del nostro territorio; non a caso, la nostra valle porta il suo nome. È considerato una fonte inesauribile per itinerari storico-culturali e, quando è in piena, offre uno spettacolo indescrivibile, anche se ciò accade raramente. Tuttavia, è un peccato che sembri interessare a poche persone. L’incuria con cui è stato trattato e viene trattato è un chiaro segno di questo disinteresse. Il suo nome sembra emergere solo in occasione di straripamenti o eventi drammatici come l’incidente recente con l’auto bloccata tra le due sponde. Questa è la sua stagione, anche se per un breve periodo, in cui può riappropriarsi del suo status e tornare ad essere quello che era un tempo: un fiume. [Nativo] Foto Franco D’Addona
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Allarme in pineta a Montecalvo
[Edito 15/06/2005] Montecalvo Irpino AV – Alcuni alberi della pineta comunale sono secchi e pericolanti ed il parco non è inutilizzabile. Rischia così di essere compromesso l’uso del polmone verde e del parco giochi per bambini. Il luogo è meta abituale di molti cittadini che amano trascorre le ore più calde della giornata al fresco delle chiome degli alberi del parco pubblico. Sono alcune decine gli alberi secchi che attendono di essere abbattuti da diverso tempo. L’amministrazione comunale ha indetto già due gare d’appalto per l’esecuzione del lavoro ma, finora, nessuna ditta ha risposto. In sostanza gli alberi non vengono abbattuti perché nessuno è interessato a svolgere il lavoro. Intanto, però, il parco continua a versare in una situazione di pericolo. Sì, perché gli alberi sono davvero pericolanti e rischiano di cadere da soli da un momento all’altro. Il parco è affetto dalla processionaria che lo sta lentamente distruggendo, al punto che è allo studio l’ipotesi di reimpiantare un’intera ala. Intanto giungono rassicurazioni dal Comune. “Abbiamo indetto più volte la gara che è sempre andata deserta – ribadisce il vice sindaco Gianni Iorio – adesso si è presentata una ditta ed abbiamo affidato il lavoro. Nei prossimi giorni l’abbattimento sarà effettuato ed il parco ritornerà ad essere pienamente funzionante.
[Credit│Corriere dell'Irpinia]
[Nativo]Redazione
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Il problema annoso dei rifiuti campani
[Ed. 08/03/2005] In Campania il problema dei rifiuti perdura da almeno un decennio e ricorrentemente sale alla ribalta della cronaca locale e nazionale, anche per le implicazioni e le complicazioni d’ordine pubblico che va ad innescare.
È sotto gli occhi di tutti che la politica ha difettato di una visione lungimirante, dimostrando finora incapacità e impotenza a risolvere questo problema.
L’ecomafia avrebbe adoperato ex cave e siti non autorizzati per lo smaltimento abusivo dei rifiuti tossici, di cui si è persa traccia. Insomma la raccolta dei rifiuti è un business molto appetibile e su di esso l’ecomafia è riuscita a mettere le mani, con danni molto gravi per l’ambiente e il rischio serio d’inquinamento delle falde acquifere.
Da qualche anno la megadiscarica di Pianura (NA) è satura e non è più in grado di ricevere rifiuti.
Anche i sette impianti, allestiti in Campania per la produzione di combustibili ricavati dai rifiuti, finiscono spesso nell’occhio del ciclone. La magistratura interviene ponendoli sotto sequestro. In tali frangenti la crisi dei rifiuti si acuisce e Napoli e altre città campane sono sommerse da cataste d’immondizie, che ammorbano l’aria e rendono invivibili strade e quartieri.
In queste fasi confuse, le autorità cercano affannosamente di individuare dei siti per nuove discariche. A causa di ciò montano le proteste da parte di chi vive in prossimità delle aree prescelte, ma si sospetta che talvolta esse siano pilotate. -
L’Occhio del Diavolo
Mario Sorrentino
[Ed. 24/11/2007] Montecalvo Irpino AV – Sono andato di recente insieme a Gaetano Caccese, un animatore culturale di Ariano, ma con radici montecalvesi, e un suo amico, Antonio Bufano, che fungeva da guida “indigena”, a fare un’escursione durante la quale Gaetano ed Antonio dovevano completare un sentiero che partendo dal greto verso nord/est del ruscello Miscanello ai piedi del calanco di Ripa della Conca (un’altissima parete di roccia a circa duecento e più metri di dislivello dall’ex ospedale di Santa Caterina) prima salendo sul ciglio del fosso e poi percorrendolo lungo una pista segnata dai cinghiali, dovrebbe giungere alla fine del fosso digradante a sud/ovest e tornare più o meno al punto di partenza, seguendo il greto dello stesso torrente Miscanello.
Il percorso però non si è potuto completare per la mancanza di tempo e soprattutto per le difficoltà ad aprirsi una via agevole attraverso un intrigo vegetale di rovi, tronchi caduti di traverso, canneti in decomposizione, ecc. – una cosa peggiore della giungla tropicale.
Siamo però giunti sino al punto in cui il ciglione digrada sin quasi al letto del ruscello, all’altra estremità della ripa. E qui Antonio si è prodotto in una impresa da equilibrista pazzo, scendendo lungo l’ultima fragilissima cresta cretacea che si stacca dalla parete avendo ai lati degli strapiombi quasi verticali, E’ dovuto risalire perché Gaetano e lo stesso Antonio si sono ricordati che lo scopo dell’escursione era aprire un sentiero per tipi un po’ sportivi, sì, ma non pazzi spericolati..
Siamo tornati al punto di partenza rifacendo grosso modo lo stesso cammino a ritroso.
Questa la storia del percorso; mi resta però da descrivere le cose belle e anche bellissime viste laggiù. La parete stessa vista prima dal basso, e che offre prospettive sempre diverse e cangianti alla luce, a mano a amano che ci si avvicina, la si scala, passando a lato di una sonante cascata alta almeno venti metri di un’acqua un po’ sporca però, la quale (cosa incredibile per l’arida Montecalvo) faceva girare la ruota di un mulino ora scomparso, e poi la vista da capogiro delle creste che potevamo vedere sporgendoci dal ciglio.La meraviglia maggiore però ci è stata offerta da una cascatella laterale rispetto alla cascata più alta e copiosa. In quel momento la cascatella era povera d’acqua, che fuoriesce da un foro oblungo di una roccia stranamente dura e grigia (tipo di roccia chiamata dai geologi metamorfica, diversissima dalla roccia di arenaria dominante tutt’intorno e ricca di fossili marini – ed è detta sedimentaria). Il getto, sia pure scarsissimo, è di un’acqua densamente rossa, molto più rossa dell’acqua ferruginosa. Be’, quel foro nella roccia è l’occhio del Diavolo. Uno di noi tre neanche si è avvicinato perché crede come i nostri antenati che il posto è malefico e che lì si ritrovavano a trescare col Maligno streghe e “mavari”.
A me sono piaciuti specialmente dei giganteschi pioppi che forse costituiscono lo scampolo rimasto della foresta fittissima che una volta ricopriva tutto il nostro monte, prima che si guadagnasse il triste nome di “calvo”. Saranno lì da millenni, se si pensa alla capacità inesausta degli alberi di riprodursi “via pollone”. Sempre che nessuno interrompa la catena, ovviamente. Ma questa è un’altra storia e molto lunga da raccontare qui. Una nota malinconica per finire: a un certo punto, Antonio ha guardato una macchia opposta alla ripa su cui stavamo allora e ci ha raccontato la morte di suo nonno precipitato insieme alla sua mula mentre scendeva al fiume. Foto A. Siciliano [Nativo]
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Cronaca di un disastro ambientale annunciato
[Ed. 00/03/2004] Montecalvo Irpino AV – L’impatto che avrebbe provocato la vicinissima discarica in contrada Difesa Grande di Ariano Irpino sull’ambiente circostante lo si sapeva già da tempo. Ma con il trascorrere del tempo è diventato un problema di interesse generale nazionale. Dove un tempo si produceva grano per gran parte dell’Italia meridionale, d’improvviso fu deciso di stipare i rifiuti provenienti da tutta la regione campana, riconvertendo la zona ad una grande pattumiera nazionale. Vanamente ,gli agricoltori del luogo, già sul finire degli anni novanta avevano fatto le loro civile rimostranze verso quella che si sarebbe rivelata una scelta scellerata e catastrofica. Poco interesse, già allora come oggi, della classe politica dirigente che nulla poteva fare a salvaguardia dei cittadini arianesi contro una decisione presa sulla propria pelle. Vari i periodi di fermo dell’attività dello sversatoio, che anzi ogni volta riapriva sempre con maggiore quantità di rifiuti da compattare. Poco considerato il segnale di sconvolgimento sanitario e ambientale che anno dopo anno modificavano l’equilibrio del piccolo ecosistema della cittadina arianese e dei paesi limitrofi con l’aumento dell’insorgenza di malattie ed infezioni a danno di persone e animali fino ad arrivare alla grande protesta di questi giorni che vede la gente di questa parte d’Irpinia, schierata compatta, particolarmente agguerrita , questa volta,a porre fine a questa lunga e trascinante tragedia collettiva.
Gli arianesi e non solo loro, non mollano. Non credono più alle promesse e capiscono, mantenendo una grande compostezza civile, che quella discarica ormai è da chiudere.Le scene di assedio forzato si ripetono ormai da giorni,e si moltiplicano in tutti quei punti di possibile transito per lo strisciante convoglio carico di liquame tossico. In mezzo ai presidi allestiti le fasce tricolori dei sindaci della zona si confondono tra la popolazione presente in tutte le sue componenti, la protesta adesso diventa una sfida e un messaggio unitario di all’erta allo Stato centralistico al momento ancora sordo al richiamo della gente di questa parte d’Irpinia. Ma la vittoria finale è ancora difficile da raggiungere,per ora resta il segnale di una grande manifestazione popolare contro la disattenzione della politica per il rispetto degli uomini e dell’ambiente. [Nativo]
Alfonso Caccese
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Manifestazione Difesa Grande
[Ed. 10/03/2004] Ariano Irpino AV – Il problema della discarica di difesa grande era latente ed ha rappresentato uno dei problemi delle comunità appartenenti per vicinanza geografica all’area in questione. Un problema che già da diversi anni anni occupava i pensieri della cittadina del tricolle in particolare. Finalmente qualcosa si è mosso.I cittadini Arianesi finalmente hanno preso coscienza della reale situazione e dopo anni di lunga ed interrotta mediazione hanno scelto di scendere in piazza ed appropriarsi del loro futuro.In questo la chiave delle manifestazioni che da circa 5 giorni stà catalizzando la attenzione della cronaca nazionale. Anche oggi,10 marzo, la protesta è andata in scena con una partecipazione massiccia allargata,questa volta, anche ai rappresentanti dei comuni limitrofi. Dei nostri collaboratori erano presenti nella manifestazione odierna ed hanno potuto documentare sullo stato attuale della civica protesta. Ma oggi è stata anche la giornata della solidarietà. Infatti su un palco improvvisato hanno tenuto banco le dichiarazioni dei primi amministratori dei comuni vicini che in varie forme hanno espresso la loro solidarietà ed il loro incondizionato appoggio alla buona riuscita della manifestazione. Significativi gli interventi da parte dei vari sindaci che si sono avvicendati sul palco. Tra di loro anche il sindaco di Montecalvo Irpino, Alfonso Caccese, che in poche battute ha voluto significare tutto il contenuto della protesta con una semplice frase”Sono dalla vostra parte e lotterò con voi fino in fondo”. [Nativo]
Redazione